Ospito volentieri in questa sezione di Critica della Cultura il breve racconto della scrittrice e poetessa romana. Le incursioni nella cronaca, e la decifrazione dei suoi meccanismi alla luce dell’umorismo, valgono molto di più di tanti saggi sul sacro nell’epoca postmoderna che o si liquefà nella secolarizzazione, magari dietro alle forme procaci dell’Eva di Turno, o diventa marmoreo come una cupola irraggiungibile. (Claudio Di Scalzo)
L’ULTIMO MILINGO A ZAGAROL
«Mi pento, riconosco di aver sbagliato», e monsignor Milingo con queste poche parole tornerebbe nel seno di Santa Madre Chiesa come se mai se ne fosse discostato. Ma monsignore non ci sta. Né a fare la parte della pecorella smarrita, né a beccarsi l’inevitabile scomunica. E porta avanti la sua battaglia sui preti sposati facendo di Maria Sung la sua spada e il suo scudo. E Maria Sung sguazza nel suo ruolo come una paperella nel laghetto di Villa Borghese.
Milingo l’ho avuto a un tiro di schioppo quando è stato mandato in buon ritiro in quel di Zagarolo, lo stesso paese in provincia di Roma in cui venne girato L’ultimo tango a Zagarol con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Il vescovo esorcista onorò in quel periodo la città di Velletri – roccaforte del Vaticano da cui sono stati lanciati nel corso dei secoli oltre una dozzina di papi, ultimo in ordine di tempo Benedetto XVI – recandosi nella cattedrale di San Clemente a dir messa, e accolto sempre con grandi parate dai fedeli veliterni, sudditi vilipesi e contenti della Chiesa come tutti gli abitanti delle altre roccaforti che circondano il regno del vaticano.
Io stavo lì, con la penna il blocchetto la fotocamera digitale, e carta bianca su un settimanale locale.
Ma Milingo nemmeno lo nominai. Credo che fu per una questione di ripulsa verso ogni genere di scandalo, che qui in provincia son sempre ghiottonerie con le quali la gente s’ingrassa.
Perché lo nomino oggi?
Perché Milingo durante la sua pausa di riflessione all’aria buona delle colline romane invece di meditare pare che abbia ordito un suo piano.
Perché Milingo dimostra oggi un’arroganza che offende il principio stesso di istituzione con i suoi regolamenti.
Perché della sua condizione di padre della chiesa si prende tutti i privilegi e rigetta le normative che non gli stanno a pennello.
Perché usa il nome di Maria per farsi largo nel tentativo di raggiungere i suoi scopi innovativi - leggi di comodo - senza voler rinunciare né ai piaceri della carne né alle prerogative del suo potente abito talare.
Perché gli piace stare impunito con quattro piedi in due staffe, bene eretto in groppa all’onda che cavalca.
Milingo, bilingo, ma perché non te ne torni a Zagarol?
Maria Lanciotti