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Maria Lanciotti. La Cina nel cuore
Capodanno cinese
Capodanno cinese 
20 Settembre 2017
 

La passione per i libri e l’influenza che certi testi possono esercitare specialmente sui giovani lettori.

Una bambina che nei primi anni ’70 si trova a leggere le opere di Pearl S. Buck e s’innamora della Cina del primo Novecento.

Una terra lontana e sconosciuta eppure “familiare” se rapportata alla vita contadina che ancora resisteva nelle nostre campagne.

Un percorso discontinuo di studi per apprendere la lingua e realizzare “il sogno della Cina”.

 

 

Il sonno di primavera non conosce l'alba,
ovunque si ode il canto degli uccelli.
La notte ha portato pioggia e vento,
quanti fiori saranno caduti?

Meng Haoran, dinastia Tang

 

Le prime gemme stanno sbocciando sui rami spogli. Il canto degli uccelli rallegra l’animo e porta ricordi di primavere lontane.

Una bambina si sveglia all’alba e subito si affaccia alla finestrella che dà sui monti. Il sole che spunta dipinge il mondo di rosa. La rugiada brilla sull’erba e sulle ragnatele tessute durante la notte. La bambina scende a lavarsi al ruscello, osserva il gioco dei girini tra i ciottoli bianchi, poi risale verso la casa.

È una casa povera ma solida. Fu costruita dagli avi, perché durasse nel tempo. Tutti coloro che l’hanno abitata ne hanno avuto cura e prima d’ogni inverno hanno controllato la tenuta del tetto, ripulito il camino, riparato crepe e intonacato le mura.

La bambina indossa casacca e pantaloni larghi che ripiega fino al ginocchio, prende il cappello a cono di bambù e corre scalza nei campi dove i grandi sono già al lavoro.

Nonna, che guardi?

L’arrivo della primavera, venite a vedere. – E la nonna mostra dalla finestra il pesco in fiore.

Nonna, ci racconti una storia? – È la richiesta che i nipotini le fanno ogni giorno e sempre lei acconsente.

Oggi, bambini, vorrei sfogliare con voi il libro dei ricordi, seduti in giardino sotto il pesco.

Sì, sì, andiamo!

I bimbetti corrono fuori, tirando per le maniche la nonna che stringe al petto un vecchio album di fotografie.

Siedono in cerchio sotto l’albero che sembra una nuvola rosa e la brezza prende a soffiare tra le pagine, facendo scorrere le immagini.

Nonna, chi è questa bambina che corre nei campi?

Una bambina che aveva nel cuore la Cina.

Racconta, racconta!

Quella bambina amava i libri e le belle storie, tanto da calarsi spesso nei personaggi che più la rapivano; era stata Perla di Labuan durante le letture di Salgari, Michele Strogoff del romanzo di Verne, Jo di Piccole donne della Alcott. Quando s’immerse nelle storie narrate da Pearl Buck, cambiò nazionalità e colore di pelle.

Racconta, racconta!

La scrittrice statunitense, che trascorse l’infanzia e tanta parte della sua vita in Cina, parla nei suoi libri della condizione dei contadini cinesi agli inizi del ‘900, che la bambina trova per tanti aspetti simile alla vita contadina che si svolge nella campagna in cui vivono i suoi parenti.

Il venticello gioca tra le pagine e mostra l’immagine della bambina che risale dalla sorgente con due secchielli colmi d’acqua, seguita dai grandi che a piedi nudi affrontano la salita ognuno col suo pesante carico, bidoni e secchi portati in testa o a spalla.

Perché sono scalzi? Perché camminano curvi?

A quel tempo la vita in campagna era molto dura. Il contadino andava scalzo per non sciupare le sue calzature, e l’acqua era un bene prezioso da procurarsi con fatica e usare con parsimonia. Si attingeva alla sorgente l’acqua per bere e cucinare, e alla cisterna per innaffiare le coltivazioni. E chi non aveva la sorgente nel suo terreno, doveva chiedere l’acqua al suo vicino o camminare a volte anche per un giorno intero per procurarsela altrove, se il favore gli veniva rifiutato.

Ma non si può negare l’acqua a chi non ne ha!

È vero, ma la miseria a volte inaridisce anche l’animo, così come la siccità inaridisce i campi.

I parenti della bambina permettevano agli altri di attingere alla loro sorgente?

Certamente. Erano persone buone, pronte a dividere ogni boccone, ogni sorso d’acqua, con chiunque ne avesse bisogno. Pronte anche a toglierselo di bocca, quel poco che avevano, se poteva servire a bambini e anziani.

Scorrono le pagine dell’album, come nel torrente limpido della memoria scorrono i ricordi. Riappare la bambina, con le babbucce ricamate e il cappello a cono, che insegue i suoni e i canti della sua gente al lavoro. Il campo di mais diventa nella sua fantasia un’immensa risaia, affogata nella foschia e nel ronzio degli insetti.

E poi, e poi?

La bambina, crescendo, continuava nelle sue letture e sempre più si appassionava alla storia del popolo cinese: desiderava conoscerla a fondo, viverla, sentirsene parte. Da un vecchio lenzuolo bianco ricavò casacca e pantaloni, vi ricamò sopra con la lana nera di una calza sfilacciata il dragone cinese, simbolo di forza, e con le mani infilate nelle ampie maniche, scivolando a piccoli passetti, girava per la casa inchinandosi dinanzi ai suoi parenti, ma anche a personaggi immaginari, chiamandoli tutti ‘onolevoli’.

Giocava a fare la cinese?

Sì, pensava fosse un gioco, all’inizio lo credeva, ma poi…

Ma poi?

Poi capì che non era un gioco, lei… si ‘sentiva’ cinese!

Anche da grande continuava a pensare alla Cina, trovando sempre nuovi punti d’incontro tra quella civiltà e quella europea. Ciò che leggeva – o rileggeva – nei libri di Pearl S. Buck, in particolare La buona terra, lo ritrovava osservando il mondo contadino dei suoi luoghi. Le stesse fatiche nel coltivare la terra e procurarsi l’acqua, l’importanza di ogni raccolto, il timore costante per i capricci del cielo osservato sempre con grande attenzione, la cura per la casa e i pochi oggetti indispensabili, la gerarchia familiare che al vertice poneva l’anziano cui spettava ogni riguardo, il culto degli antenati, i riti e le superstizioni.

E che fece la bambina che si sentiva cinese?

Volendo approfondire la conoscenza della civiltà che tanto l’affascinava, comprese che doveva impararne la scrittura e iniziò a studiarne i caratteri.

Andò alla scuola di cinese?

No, non subito. Allora la Cina era ancora una realtà lontana, di cui pochissimo si sapeva, che s’immaginava confinata nell’immobilismo della sua cultura millenaria. La ragazza…

La nonna s’interrompe, nessuno l’ascolta. I tre bimbetti si rotolano nel prato giocando fra loro come gattini, e lei sorridendo tace. E ricorda.

Si rivede, mentre traccia i primi segni di una scrittura fra le più complesse del mondo col pennello, l’inchiostro di china e la carta di riso, concentrata nel comporre il suo “codice segreto”.

Capisce ben presto che la sua è una passione vera e non un’infatuazione passeggera.

Ha bisogno di maestri. Prova a frequentare un corso di cinese, impara a scrivere ma non a parlare la lingua. Abbandona il corso ma continua a esercitarsi per suo conto nella scrittura.

Per la prima volta, le giunge il suono della lingua amata. Si trova in un ristorante cinese nei pressi della stazione di Roma Laziali nei primi anni ’80. Il ragazzo – cinese di prima generazione – le consente di registrare la sua voce. Sarà lo stimolo per riprendere e proseguire lo studio della lingua.

S’iscrive a un corso triennale presso l’Associazione Italia-Cina a Roma, apprende la lingua parlata mediante la ripetizione dei suoni, tanti esercizi come nella musica si fa solfeggio per imparare a leggere uno spartito; ma dovendo prepararsi all’esame di Maturità, e anche per altre circostanze che l’impegnano nel fermento di quegli anni, non completa il ciclo. Quel gruppo di studio partì per la Cina, e fu per lei un grande rammarico non farne parte.

Inizia a lavorare in una grande azienda italiana, tra le prime a importare direttamente oggettistica cinese.

Tutto cambia in pochi anni. Crolla l’idea di un popolo sterminato teso verso un sogno impossibile che porterà il Paese al disastro, e subentra il colosso che conquisterà in breve il mercato mondiale. Al di fuori del contesto nazionale le “formichine” lavorano sodo e in sordina e s’impongono ora in tutti i campi, compreso il settore della tecnologia e dell'informatica di cui si avvalgono anche per rendere fruibile ai cinesi e poi al resto del mondo la loro lingua. Fino a quel momento era infatti difficilissimo stampare o scrivere a macchina in cinese. Si pensava addirittura di sostituire gli ideogrammi con l’alfabeto latino, sembrava la sola strada possibile per sconfiggere l’analfabetismo, che era altissimo. Oggi la tecnologia rende possibile a tutti scrivere gli ideogrammi.

Ma per quella bambina che aveva nel cuore la Cina, nulla cambia. Lei conserva l’idea romantica dell’antico impero, la terra dei fiori di pesco, La buona terra che mai tradisce.

Diventata adulta, assume impegni di famiglia e di lavoro, lotta con le avversità della vita, diventa mamma. Ma nel suo angolo segreto continua a praticare lo studio e la scrittura degli ideogrammi, memorizzando il significato dei caratteri e interpretandone la particolare simbologia.

Sempre con la Cina nel cuore, intende progredire nella conoscenza del cinese mandarino. S’informa sulle varie possibilità, ma si trova di fronte al dilemma di dover ricominciare daccapo o di affrontare un esame. In quel momento della sua vita non si sente in grado d’impegnarsi a fondo in una direzione o nell’altra. Rinuncia, momentaneamente.

Verso la fine degli anni ’90 approda all’Upter (Università Popolare per la Terza Età) di Roma e s’inserisce nel corso di lingua cinese. Si stupisce: ricordava tutto di quanto aveva appreso in passato.

Si studiava tanta letteratura, ma non erano previsti esami e non si parlava la lingua. Gli altri allievi erano tutti più grandi di lei, quasi tutti insegnanti in pensione che frequentavano il corso per passione. Non si aveva modo di parlare con persone cinesi ma neanche interessava. Si leggevano i classici, poesia antica cinese, si cercava d’imparare a memoria la poesia dell’epoca Tang, le frasi di Confucio:

学而时习之,不亦说乎?

Studiare e continuamente esercitarsi, non è dunque un piacere?”

Anni intensi ma piano piano gli iscritti abbandonavano per motivi legati all’età e infine il corso non fu più attivato.

 

Albano Laziale, 2014. Si svolgono corsi di cinese che consentono alla loro conclusione di affrontare i vari livelli degli esami per il rilascio della certificazione ufficiale per la lingua cinese, riconosciuta a livello internazionale.

La bambina di un tempo, donna appagata e nonna felice, pensa – per la prima volta! – che sia arrivato il momento di sottoporsi agli esami. S’iscrive al secondo livello prefiggendosi, giunta al quarto livello, di partire con il suo gruppo di studio per la Cina.

Nonna, dormi?

I bimbetti, accaldati e stanchi di giochi, scuotono dolcemente la nonna, che pare destarsi da un sogno.

Ricordavo.

Racconta, racconta!

C’era una piccola cinese che non parlava l’italiano e insegnava la sua lingua a una fanciulla italiana; un giorno le portò in regalo un fazzoletto di seta e la fanciulla le donò in cambio un libro di grammatica italiana in cinese, raro, che molto aveva faticato a trovare. E la piccola cinese le portò a sua volta, in una ciotolina, i ravioli che aveva fatto in casa…

E poi?

E poi credo di essermi addormentata… e di aver sognato che un gruppo di giovani cinesi era venuto a trovarci qui, a casa nostra, portando piatti della loro cucina e mangiavamo tutti insieme scambiandoci i cibi. Dopo eravamo andati fuori a giocare a pallone e quando tutti eravamo stanchi i nostri ospiti hanno preparato il loro thè, ce lo hanno offerto e mentre lo gustavamo hanno iniziato con leggerezza, quasi distrattamente, a giocare con i tovagliolini di carta, piegandoli abilmente e trasformandoli in tante piccole figure: uccelli, fiori di loto, cuoricini, stelline e rose.

Ma… non mi ero addormentata e non sognavo, tutto è accaduto realmente, ricordate bambini? C’eravate anche voi! Incantati dal gioco del “piegare la carta” 折纸 zhezhi –, curiosi di provare a farlo anche voi. Ricordi, piccolina, la rosa ‘origami’ che ti regalò quel ragazzo?

Sì, sì! Poi ti hanno invitata a mangiare a casa loro, mi racconti?

Provo a dirti: avevano allestito un banchetto con cibi assortiti, e tante ciotoline con salse e spezie particolari. Ho provato a mangiare alla loro maniera osservandoli e cercando di imitarli mentre prendevano con i bastoncini un boccone di carne, pesce o verdure, lo aggiungevano al riso nella ciotola che reggevano in mano e lo portavano alla bocca. Non mi era facile, essi sorridevano in quel loro modo discreto, quasi divertiti ma accorti a non farmi “perdere la faccia” – 丢面子 diu mianzi –; trovavano strano che non sapessi fare la cosa più semplice del mondo: mangiare educatamente con i bastoncini. Ho rischiato anche di offenderli, smettendo di mangiare quando ero sazia e non quando le ciotole erano tutte vuote.

Se non avevi più fame, perché dovevi ancora mangiare?

Nel loro Paese, per fare onore alla tavola e dimostrare che hai gradito l’invito, devi mangiare tutto.

È stato sempre quel giorno che un ragazzo ti ha aiutato a scegliere il tuo nome cinese?

Sì, è da quel giorno che ho il mio nome cinese: Lin Xi.

La nonna ricorda. Le tornano alla mente poche righe nella prefazione del libro di Lu Xun (1881–1936) che così bene esprimono ciò che lei sentiva: “Questi miei racconti pensati in gioventù ma scritti e pubblicati solo in vecchiaia sono come quei fiori che raccolti la sera ancora conservano la rugiada e la freschezza del mattino”. Così com’era accaduto a lei per la lingua amata: sarebbe stato meglio se l’avesse studiata da giovane, ma era bello anche studiarla ora.

朝花夕拾 “Fiori del mattino raccolti la sera” il titolo di quel libro, e lei pensò che potesse essere il suo nome cinese. Il ragazzo le disse che non era adatto, però questa frase gli ricordava un nome secondo lui significativo, composto da due ideogrammi: Foresta, uno dei cento antichi cognomi cinesi e Sera林 夕 Lin Xi – che sovrapposti formano: sogno. Il suo sogno della Cina.

Nonna, nonna, ci fai ascoltare quella canzone che ci piace tanto? quella che parla della luna e del cuore?

Va bene, rientriamo in casa e ascoltiamo il canto di Teresa Teng.

月亮代表我的心 La luna rappresenta il mio cuore.

La musica familiare crea un clima di dolcezza e di serenità. Mentre i bambini riposano, lo sguardo della nonna si posa su un vecchio cappello a cono di foglie di granturco, quel cappello che in tante avventure, fughe e traslochi l’ha sempre accompagnata. Come il testimone che non si può perdere. E che certamente la seguirà anche quel giorno che prenderà l’aereo in partenza per la Cina.

Non cercare abiti dai fili dorati

ma afferra il momento della giovinezza.

Puoi prendere il fiore al suo sbocciare

Non aspettare di stringere uno stelo appassito.

Du Qiu Niang, dinastia Tang

 

Maria Lanciotti


Foto allegate

Quel cappello a cono di foglie di granturco che non l
Albano Laziale. Foto di gruppo Corso di 1° livello
Roma, Gelateria
Roma. Al Colosseo
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