Martedì , 19 Marzo 2024
VIGNETTA della SETTIMANA
Esercente l'attività editoriale
Realizzazione ed housing
BLOG
MACROLIBRARSI.IT
RICERCA
SU TUTTO IL SITO
TellusFolio > Critica della cultura > Telluserra
 
Share on Facebook Share on Twitter Share on Linkedin Delicious
Pina Rando. Distacco
03 Maggio 2015
 

L’aria della stanza era pesante, immobile, retaggio di una notte insonne, agitata da incubi.

All’alba Cristiana lasciò il letto e si diresse verso la finestra, l’aprì e per un po’ stette con lo sguardo fisso verso il cielo che man mano si colorava delle sue stesse più intime, profonde ferite.

La malattia di Carlo le aveva fatto scoprire il linguaggio del cielo, quello che, nel dolore e nell’angoscia, permetteva di mantenere viva nel suo cuore la fiamma della speranza, le comunicava la forza di procedere, di avanzare tra gli schianti e le macerie visibili e invisibili, ma ancora roventi, le dava la forza di affrontare il nuovo giorno.

Andò di qua e di là per la casa come una sonnambula, come un automa, infine entrò nella stanza di Carlo e lo svegliò.

Il bambino si stropicciò gli occhi ed emise incomprensibili suoni gutturali, fece qualche resistenza alla madre mentre lo trascinava in bagno e poi a tavola ove era già pronta la sua colazione, una tazza di latte con orzo che egli rifiutò quasi capisse che c’era qualcosa di sgradito nell’aria.

La madre gli portò diverse volte la tazza alle labbra, ma lui a denti serrati alzò lo sguardo verso il soffitto e dette una spinta alla scodella che soltanto la mossa abile del braccio di Cristiana evitò che il latte si versasse sulla tovaglia.

Un bambino di sette anni Carlo, dagli immensi occhi neri inespressivi, come di vetro, i capelli a riccioli scuri come quelli della madre. La carnagione chiara, quasi diafana; le mani in continuo movimento esprimevano il disagio e la propria estraneità al mondo circostante.

A fatica Cristiana lo vestì. Lo lasciò seduto su una poltrona del soggiorno. Andò a rifare i letti e raccogliere qua e là pezzi di riviste che il figlio aveva strappato la sera prima.

L’appartamento in cui vivevano in affitto, per quanto lei si sforzasse di renderlo accogliente, lo percepiva cupo, oscuro, opprimente: si trovava al quarto piano di un vecchio stabile e quando saliva le scale, al ritorno da una stressante giornata di lavoro, i calcinacci dei muri scrostati delle scale pungevano come spine sul suo esistere che ogni giorno si trascinava una solitudine lancinante.

L’angoscia e la paura della diversità, della estraneità del figlio l’allontanavano tanto dal controllo razionale e dalla decifrazione emozionale, quanto da ogni strategia di cura, che pure, nei modi e nei tempi a lei possibili, procurava al figlio, sempre senza alcun risultato.

E ciò la deprimeva, la scoraggiava.

Magra e fragile Cristiana era troppo debole per portare il peso che la vita le aveva riservato; ritmava i suoi giorni come quelli di un film in bianco e nero anche se nella parte più profonda di se stessa sognava un’esistenza altra, certamente a colori.

Finì di vestirsi, indossò su un vestito di maglia a fantasia una giacca di finto camoscio e un vezzoso cappellino.

Si avvicinò alla poltrona dove stava seduto il bambino e, come a voler spezzare quella lastra di ghiaccio che si era creata tra loro, chiese:

– Ti piace, Carlo, il mio cappellino? Usciamo. Sei contento?

Carlo sembrava non averla sentita e continuava a guardare il soffitto, ma l’espressione del suo volto diventò ancora più tesa, lo sguardo si riempì di agitazione. Cristiana capì che, invece, aveva sentito. Andò a prendergli il giubbotto di pelle nell’armadio che le era costato più di una settimana di lavoro, ma a Carlo non piaceva, lui voleva sempre quella vecchia, una giacca rossa di lana che ormai gli stava stretta. Riuscì ad infilargli il giubbotto nuovo tra un brontolio ed uno scossone, poi gli aggiustò il collo della camicia e lo prese per mano.

Davanti alla porta c’era già pronta la valigia che Carlo guardò attentamente, ma soltanto perché era nuova.

– Partiamo – disse la madre – andiamo in città – ma il volto del bambino non cambiò espressione, impassibile.

– È tua Carlo! È la tua valigia, dentro ci sono i tuoi vestiti, i tuoi giocattoli.

Ma lo disse con voce tremante e con tono sbagliato. Il ragazzo sembrò non capire.

– Prendiamo l’autobus, Carlo, andiamo in città!

Non era mai stato su un autobus né era mai andato in città.

Dopo essersi accertata di aver spento le luci e il gas varcò la soglia con il figlio e la valigia. Chiuse la porta e fu subito investita da un mix di odori di cucina e di bagno, sgradevoli, detestava quel cocktail olfattivo cui si era rassegnata con dispettosa fatica.

Scendendo le scale, la valigia le sbatacchiava contro la gamba e se non si fosse sostenuta all’appiccicosa e sporca ringhiera di legno, avrebbe perso l’equilibrio e scivolato lungo le scale fino a raggiungere il pianerottolo sottostante. Qui c’era già ad aspettarla la signora Teresa, una anziana donna che per tanto tempo si era occupata di Carlo nelle ore in cui lei era a lavoro; faceva da baby-sitter, ma negli ultimi mesi si era dichiarata incapace per quel difficile compito.

– Ciao, mio caro, – disse rivolgendosi al ragazzino – ti ho preparato i biscotti alle mele che tanto ti piacciono!

Carlo si girò verso il muro ed emise un grugnito.

Cristiana avrebbe voluto che almeno le facesse un sorriso o semplicemente prendesse i biscotti.

– Grazie, Signora Teresa – disse prendendo lei il pacchetto – lei è sempre tanto gentile!

– Lo perdoni! Purtroppo è la malattia che avanza. Ma sono sicura che i suoi biscotti gli piaceranno tanto.

La signora Teresa, aiutandosi col bastone, tenne aperta la porta che stava per chiudersi, e si allontanò singhiozzando. Cristiana sentì una fitta al cuore.

Povera Teresa! anche lei aveva capito quanto straziante fosse la decisione che era stata costretta a prendere.

Alla fermata dell’autobus le persone, che erano là in attesa, puntarono tutti contemporaneamente gli occhi sul ragazzino, incuriositi dalla sua andatura dondolante e dal continuo movimento della testa, ora in avanti ora indietro.

Come avrebbe voluto dare una sberla a quei curiosi!

Grande sollievo per lei quando vide arrivare l’auto.

Con disinvoltura e ostentata indifferenza verso gli sguardi indiscreti degli astanti, aiutò il piccolo a salire e, dopo averlo sistemato nel sedile vicino al finestrino, si sedette accanto, lo accarezzò e gli scartò una caramella.

Carlo dimostrava nervosismo, saltellava sul sedile, apriva e chiudeva il portacenere e avrebbe voluto abbassare il vetro per sporgersi. Quando l’auto raggiunse una velocità costante, il piccolo si calmò e, dopo aver appoggiato la testa sul seno della madre, si addormentò.

 

Anche Cristiana chiuse gli occhi e col pensiero rievocò i momenti più tragici degli ultimi sette anni della sua pur breve esistenza.

Rivide Carlo appena nato: un batuffolo rosa in perpetuo moto: fin dai primi giorni di vita non faceva sonni tranquilli e si contorceva ad ogni minimo rumore. Quando lei si rese conto che qualcosa non andava, pregò il padre di portare il figlio dal pediatra.

Le analisi e gli accertamenti furono lunghi e accurati, ma la diagnosi tardava ad arrivare.

Quando finalmente il medico convocò i genitori nel suo studio, parlò a lungo di una grave lesione cerebrale congenita che, difficilmente sarebbe guarita e la terapia sarebbe stata molto costosa e lunga. Prospettò anche la possibilità di un soggiorno negli Stati Uniti d’America per un consulto con gli specialisti del settore.

Dopo quel colloquio, il padre si disinteressò del figlio e lo considerò un estraneo, un essere che non gli apparteneva. Iniziarono le liti e la vita di Cristiana divenne un inferno: l’accusa più infamante, essere lei la responsabile della malattia di Carlo.

Così, senza altra spiegazione, l’uomo che l’aveva fatto sognare andò via.

Si erano uniti giovanissimi e contro il volere dei genitori di lei.

A quel tempo Cristiana aveva soltanto sedici anni e un solo desiderio: andare via di casa, lasciare la vita monotona di quel paesino dell’isola, vivere al nord, ove credeva di realizzare tutti i sogni colorati dell’adolescenza.

Si pentì quasi subito di essere andata così lontana dalla sua terra, dal suo mare e ancor più si afflisse quando i genitori, molto sensibili, in seguito alla fuga dell’unica figlia, a poco a poco si consumarono e si spensero nel giro di qualche anno. Ma più di tutto si pentì della sua scelta, quando l’unione con l’uomo amato fallì e fu da lui abbandonata.

Restò in quella casa nella speranza che lui tornasse.

Per pagare l’affitto e poter sopravvivere assieme al figlio e procurargli le medicine indispensabili, andò a servizio come domestica ad ore presso le famiglie del luogo.

Impensabile sarebbe stato un suo ritorno al paese natio.

Come in visione le apparve il cielo sempre azzurro del suo paese, la casa a pochi passi dal mare, confusa tra quelle degli altri pescatori, rivide la grande barca con cui ogni sera il padre con i suoi uomini, andava a pescare e ritornava, all’alba, carica di pesci, rievocò i dolci momenti in cui papà voleva insegnarle a cavalcare le onde, ma lei, paurosa, non imparò mai.

Al rischio dell’onda alta preferiva stare sdraiata sulla terrazza, al sole, accarezzata dal profumo del bucato al vento.

Struggenti ricordi!

I sogni, nati tra i colori cangianti del mare e il calore del sole, sono finiti sotto l’aggressione della muta e grigia nebbia di quella maledetta città nordica, dove le stagioni si sono precipitosamente addensate e affondate nel silenzio.

O, se tutto potesse sparire ad un soffio e riapparire il papà e la mamma!

 

Un sussulto di Carlo ed i suoi brontolii la riportarono al presente; riuscì a calmarlo canticchiandogli sottovoce la filastrocca preferita...

 

L’autobus a poco a poco rallentò: erano già giunti in città.

 

Dalla fermata dell’auto alla Associazione Oasi del Bambin Gesù il tratto da percorrere fu breve. L’Oasi era un centro - a carattere scientifico - al servizio dei soggetti con ritardo mentale per lo studio delle cause delle malattie cerebrali e dell’individualizzazione dei mezzi di prevenzione, cura e riabilitazione.

Una struttura consigliata già da tempo dal pediatra ma che lei, irrazionalmente, aveva sempre rifiutato.

All’accettazione Carlo fu attratto dalle lampade del soffitto che emanavano una luce bianca, ed incominciò a dondolare il corpo e la testa.

Cristiana dovette firmare delle carte.

Arrivò intanto un’infermiera, alta e snella, e rivolgendosi loro, disse: – Vieni, Carlo. Venga signora a vedere dove abiterà questo bel bimbo.

Tornarono nell’ingresso ed aspettarono l’ascensore, entrarono e l’infermiera pigiò il numero tre. All’uscita li investì un forte odore di disinfettante. Attraversarono un corridoio e l’infermiera aprì con la chiave una porta doppia che aveva una rete davanti ai vetri. Entrarono in un altro immenso corridoio lungo il quale erano allineati diversi lettini bianchi. Non c’era nessun altro e niente faceva pensare che lì vivessero dei bambini tranne un piccolo clown colorato appeso ad una parete.

– Questo è il tuo letto,Carlo – disse l’infermiera. Cristiana vi appoggiò la valigia.

Con voce metallizzata l’infermiera spiegò: – Preferiamo lasciar passare almeno sei mesi prima che i nuovi pazienti ricevano visite dai familiari. Così si abituano più in fretta, mi spiego? Adesso, se vuole, può salutarlo.

Una spina le attraversò il cuore.

Con la mano tremante lentamente gli accarezzò la testolina.

– Tesoro! – disse, ma lui con la bocca aperta guardava le luci del soffitto. Gli diede un bacio: – Ciao, Carlo, ci vedremo stasera.

Era il saluto giornaliero, prima di andare a lavoro.

Uscì dal reparto con l’infermiera e ripercorse il corridoio. Mentre quella apriva la porta con la chiave sentì un grido terribile, ma l’infermiera le diede un colpetto sulla spalla e la spinse delicatamente fuori.

Singhiozzando scese tutte le scale a piedi e diverse volte si dovette fermare. Nell’ultima rampa non vide un gradino e ruzzolò per un tratto. Si rialzò stordita.

Uscì finalmente nella strada e provò un certo sollievo nel respirare aria naturale.

Riprese lo stesso autobus per ritornare a casa.

Si lasciava alle spalle duri anni di amarezze, di rinunce, di umiliazioni, di solitudine.

Provò uno strano trasalimento contemplando la prospettiva di una vita diversa, senza Carlo.

Che cosa l’attendeva adesso? Il dolore del pensare o forse il film senza racconto di una verità? o l’attesa spasmodica di una vita altra, magari a colori? e poi… sarebbe arrivata?

Scese dall’auto tutta sgualcita nell’abito e nei pensieri.

Camminò lentamente nella strada, incontrò qualcuno che la salutò. Non rispose. Forse non sentì. Alzò lo sguardo verso il quarto piano del vecchio stabile: dalla finestra del suo appartamento filtrava una pallida lama di luce, come se lei, uscendo, avesse dimenticato di spegnere la lampada.

Rifece le lunghe scale, arrivò al quarto piano, la chiave entrò rapida nella toppa. Aprì la porta e vide nel corridoio le vecchie scarpe di Carlo, a terra, e, su una sedia, l’ultimo album illustrato che aveva comprato per lui, qualche foglio strappato qua e là.

Senza rendersene conto disse ad alta voce: – Carlo, tesoro, che hai fatto?

L’afferrò la vertigine del vuoto dentro e fuori di sé: in lontananza il rombo di un tuono, alle sue spalle il tintinnio dei vetri della finestra per il vento che improvvisamente si era levato, forte.

In quel paese il vento segnava sempre il passaggio delle stagioni.

Guardò l’ora e si lasciò cadere sulla poltrona. Cercava di capire, di vedere chiaro nell’intrigo dei suoi pensieri. Alla fine soltanto una cosa comprese perfettamente: da quel momento in poi, nel film, in bianco e nero, della sua vita, sarebbe rimasto soltanto il nero.

 

Pina Rando

 

 

 

Il racconto “Distacco” è pubblicato in:

AA.VV., La vita in prosa, puntoacapo Editrice 2015,

antologia dell'omonimo Concorso letterario.


Foto allegate

La copertina dell
Articoli correlati

  Vetrina/ Giuseppina Rando. Consummatum est
  Giuseppina Rando. L’artista pellegrino
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel vuoto domenicale...
  In libreria/ Giuseppina Rando. Geometria della rosa
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Il gioco dei dadi...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Bianca salmodia del silenzio
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Resiste al disincanto...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. sequenza
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Danza sotto il cipresso...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fioriscono tra le mani...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sul veliero...
  Pina Rando. A Patrizia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A notte basta un soffio...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non odo più parole
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Corpo e mente afflizione...
  Giuseppina Rando. Le belle parole
  Vetrina/ Parvenze. Giuseppina Rando con Gianluca Moiser
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Del buio della terra...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Necessità di vita
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Si fa scrittura la mano
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Variazione in gioco
  Vetrina/ Giuseppina Rando. In basso continuo
  In libreria/ Domenico Pisana. In punta di libro…
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel variar di vento...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Voci
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Tempo
  Piera Isgrò. Le belle parole di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Una fila di foglie acuminate...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Gli anni bianchi
  Vetrina/ Giuseppina Rando. ancora
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Acqua di gora ti inchioda
  Vetrina/ Giuseppina Rando. analfabeta
  Giuseppina Rando. Voci di mare
  In libreria/ Angelo Andreotti. “Geometria della Rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. vittima innocente
  In libreria/ Guglielmo Peralta. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Giuseppina Rando. Si riaprono i cancelli delle scuole, finalmente!
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Se il presente colorando...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Oltre la pietra la voce
  “Bioccoli” di Giuseppina Rando in Limina di Anterem Edizioni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Soffocate dallo scirocco
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Incompiuta
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A notte – al gelo...
  In libreria/ Pasquale Matrone. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Giuseppina Rando. Rifrangenze
  Giuseppina Rando. Un clone
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Al poeta Ashraf Fayadh*
  Giuseppina Rando. Guerra in tempo di pace
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Némesis
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Urla squarciano il silenzio...
  Patrizia Garofalo. Dei Bioccoli di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. L'angelo della sera
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Smarrito il codice...
  In libreria/ Geometria della rosa di G. Rando. Nota di Claudia Vazzoler
  Giuseppina Rando. Era un angelo
  Giuseppina Rando. L’America dei miracoli
  Giuseppina Rando. Noi e il tempo
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Trovino rifugio le lacrime
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Del dire indicibile...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. In processione...
  Vetrina/ Pina Rando. ingiustizia dei giusti
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Tetra luce...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. E quel che è peggio
  Giuseppina Rando. Covid 19: “lectio magistralis”
  Giuseppina Rando. Etica e valori sociali
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La realtà è inganno
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Trasparenze
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sgomenta l’aggirarsi...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Stelle marine
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Allo scoccare dell’ora...
  Giuseppina Rando. Misura
  Giuseppina Rando: Nota a margine su “Pudore” di Angelo Andreotti
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Il silenzio della fine...
  Spigolature/ Giuseppina Rando. Solitudine o isolamento?
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Resiste il corpo alla ferita...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Eterna sinfonia
  Patrizia Garofalo. Le belle parole di Giuseppina Rando
  Premi e concorsi/ Poesia e prosa: i vincitori del “Lorenzo Montano” XXXI edizione
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non cessa la vendetta
  Giuseppina Rando. Sulla statua di Indro Montanelli
  Premi e concorsi/ Giuseppina Rando. Vuoto
  In libreria/ Giuseppina Rando. Geometria della rosa
  In libreria/ Giuseppina Rando. L’altra letteratura contemporanea siciliana di Carmelo Aliberti
  Giuseppina Rando. Sulla noia
  Vetrina. Giuseppina Rando. Geografie dell’io
  Vetrina/ Giuseppina Rando. S’adagia sonnolenta...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nella notte sempre più notte...
  L’almanaccone impertinente. Tellus 34-38
  Vetrina/ Pina Rando. Nella nebbia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. S’apre il sipario...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Come cervi assetati larve umane...
  Giuseppina Rando. La pietas di Antigone
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel labirinto di parole
  Giuseppina Rando. Movide selvagge del “bel paese”
  Vetrina/ Giuseppina Rando. All’alba
  In libreria/ Patrizia Garofalo. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Vaga sui tetti...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Occhi aperti non videro
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Mutazione
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nastro di memoria...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Come l’erica
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Dilata la giostra...
  Giuseppina Rando. Il fantasma di Dora
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Camminano i sogni...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Invisibile quel fuoco...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ofelia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sull’isola del silenzio (con Patrizia Garofalo)
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fluidoandare
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La deriva
  Giuseppina Rando. Un alito metafisico
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Piccola silloge senza dedica
  Barcellona Pozzo di Gotto. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando alla Biblioteca N. Di Giovanni
  Vetrina/ Giuseppina Rando (Due inedite poesie)
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Mormora il vento
  Giuseppina Rando. Il dire poetico di Dylan Thomas
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Da stazione marina...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Luce blu
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non sapeva il bambino dagli occhi neri...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. danza magica
  Vetrina/ I maledetti. Giuseppina Rando con Patrizia Garofalo
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Albero stecchito...
  Giuseppina Rando. I dipinti di David
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Follia di sole
  In libreria/ Ginevra Grisi. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Giuseppina Rando. La paura
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Oro filato
  Giuseppina Rando. Sensibilità e delicatezza
  Vetrina/ Giuseppina Rando. I lager non sono mai finiti
  In libreria/ Pina Rando. Verità
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Traversata infinita
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Immane tu
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fuoco spento
  Giuseppina Rando: Nota a margine su “A un passo” di Angelo Andreotti
  Vetrina/ Pina Rando. Di te
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A sera
  In libreria/ Domenico Pisana. “Pianeta donna”
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Vertigine mortale
  Vetrina/ Giuseppina Rando. parvenze di giorni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Altalena di giorni...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. la mia alba
  Vetrina/ Giuseppina Rando. … nel muto disfacimento...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Adesso abiti dove...
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Dal monte a valle saette...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Controvento
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nei giorni tiepidi di quest’inverno...
  Flavio Ermini. Esistenza e libertà
  Vetrina/ Pina Rando. Esistenza che s’attarda...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non abita il tempo...
  In libreria/ Pina Rando. Attesa
  Vetrina/ Giuseppina Rando, Ada Negri. Riflessioni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Verso l'ignoto
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A Mario Luzi
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Strugge la caducità...
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. S’è spenta la luce...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Va la barchetta all’alba...
  Giuseppina Rando. Empatia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Luce altra
  Vetrina/ Giuseppina Rando. l’ordine dell’esistere.
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ogni istante si muore...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Odore d’abisso...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Due poesie di stagione
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Leggera l’ombra...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La lucciola
  Vetrina/ Pina Rando. Il volto
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ala di sogno
 
 
 
Commenti
Lascia un commentoNessun commento da leggere
 
Indietro      Home Page
STRUMENTI
Versione stampabile
Gli articoli più letti
Invia questo articolo
INTERVENTI dei LETTORI
Un'area interamente dedicata agli interventi dei lettori
SONDAGGIO
TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA?

 72.6%
NO
 27.4%

  vota
  presentazione
  altri sondaggi
RICERCA nel SITO



Agende e Calendari

Archeologia e Storia

Attualità e temi sociali

Bambini e adolescenti

Bioarchitettura

CD / Musica

Cospirazionismo e misteri

Cucina e alimentazione

Discipline orientali

Esoterismo

Fate, Gnomi, Elfi, Folletti

I nostri Amici Animali

Letture

Maestri spirituali

Massaggi e Trattamenti

Migliorare se stessi

Paranormale

Patologie & Malattie

PNL

Psicologia

Religione

Rimedi Naturali

Scienza

Sessualità

Spiritualità

UFO

Vacanze Alternative

TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
Sede legale: Via Fontana, 11 - 23017 MORBEGNO - Tel. +39 0342 610861 - C.F./P.IVA 01022920142 - REA SO-77208 privacy policy