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Tra l’epica e la lirica. Intervista a Heberto Padilla 
a cura di Miguel Angel Zapata (traduzione di Gordiano Lupi)
23 Settembre 2014
   

M. A. Zapata - Parliamo innanzi tutto delle tue prime pubblicazioni. Secondo me s’incontrava un paesaggio puro dell’Isola, dettato da una spinta creativa fresca, genuina, inoltre si notava la presenza costante del mare.

 

H. Padilla - Las rosas audaces è un libro che non posso considerare tale. Sono le prime poesie che ho scritto, lavori molto formali, per la maggior parte sonetti. È un libro scritto tra i 14 e i 15 anni, pubblicato quando ne avevo 17, credo che non possa essere considerato parte della mia opera. Non tanto perché fu pubblicato quando avevo 17 anni, perché Rimbaud a 17 anni aveva scritto libri geniali e dopo non ne scrisse altri, quanto perché fu pubblicato per una serie di coincidenze fortuite. C’era un casa editrice di un mio amico che si chiamava Los nuevos e pubblicava libri di giovani, io avevo quelle poesie, gliele detti e lui le pubblicò… ma non ho il minimo interesse a ricordare quel libro. Tuttavia c’è una poesia, la prima del libro, che posso citare come una prima vera poesia giovanile. Ti reciterò alcuni versi, perché è una poesia, come tu dici, che riflette proprio la realtà di Cuba, il sole, il mare: Togliti le vesti e appoggia la spalla d’oro sul mio torace marino… sono in vacanza a piedi scalzi, costume e sole che brucia sulle guance… si tratta di un attimo di vitalità giovanile, dove si esalta la vitalità del paesaggio cubano.

 

MAZ - Come erano in quel tempo a Cuba le letture e gli amici poeti?

 

HP - Non vivevo all’Avana dove si leggeva con maggior serietà e impegno. Abitavo in un piccolo centro come Pinar del Río, che nel nome descrive la sua realtà di paese situato accanto a un fiume. Le mie letture in quel tempo erano limitate, ma cercavo ugualmente di farmi strada. Ti dirò una cosa curiosa: i primi poeti che ho letto, è terribile dirlo, fanno parte della vita scolastica, e non dimenticherò mai questa cosa; li ho letti nei libri di lettura della scuola primaria quando frequentavo il quarto grado (la nostra quarta elementare, ndt). Fu la prima volta che lessi poesie, te ne posso citare una del poeta belga Mauricio Maiterlin, che lessi molto ben tradotto in spagnolo e fu un’esperienza decisiva. Eccola: Se arriverà un giorno che dovrò rispondergli ... mostragli il mio anello d’oro/ digli che soffro per lui. Per me questa lirica contiene la fonte stessa di ciò che ho sempre ritenuto poesia. Era una poesia scarna, disadorna, rappresentava un avvenimento concreto, sulle tavole di un palcoscenico, come se fosse teatro. Sono le parole di una persona rivolte a un altro individuo, quella poesia m’impressionò molto, davvero.

 

MAZ – Ma il poeta, di vecchia o nuova concezione, credo che debba sempre leggere cose di diverso tipo, vero?

 

HP - Credo che il poeta debba leggere libri di ingegneria, persino di economia. A mio parere il linguaggio, come diceva Stendhal, non è sempre nei libri di letteratura, ormai dotati di una lingua consunta e ripetuta, mentre i libri di scienza possiedono la lingua necessaria per descrivere fenomeni concreti. Per esempio mi affascinano i termini degli economisti. Un cattivo investimento economico può deprimere un mercato. Mi sembra una frase incredibile, deprimere un mercato, ma a parte questo, in fisica, in chimica, non esistono altri modi per descrivere la realtà se non con la precisione e la precisione è fare di una lingua uno strumento di comunicazione. Ricordo che Stendhal diceva che lo stile è aggiungere a un pensiero determinato tutte le circostanze per cui quel pensiero produca l’effetto voluto. Tu ricorderai che uno dei modelli di Stendhal era il Codice Napoleone, che leggeva frequentemente, perché era un codice molto ben scritto.

 

MAZ - Credo che La certosa di Parma sia considerata un testo dalla struttura perfetta. Credi che sia concepibile fare poesia con tali caratteristiche? Pensi di poter scrivere una cosa simile, visto che una delle tue principali ricerche è la sintesi, la precisione delle parole? Credi di aver ottenuto tale risultato?

 

HP - Non so se l’ho ottenuto, ma il mio proposito quando scrivo una poesia è sempre quello di eliminare, di cancellare. Potrebbe essere anche un errore. Molte volte ho conservato con timore gli originali delle poesie che sono state pubblicate in volume, solo per vedere se mi sbagliavo, e credo di non essermi mai sbagliato, non perché ho fatto poesie molto buone, ma perché sarebbero state peggiori se le avessi mantenuto come le avevo concepite inizialmente. Non credo come Lope che la cosa migliore di un poeta sia non tanto quel che ha scritto quanto ciò che ha cancellato dopo, ma penso che un poeta sia tale nella misura in cui cancella ed elimina i vizi acquisiti con le sue letture. Heidegger diceva che lo stile di un poeta consiste nell’eliminare le influenze della sua adolescenza, cancellarle e ripulirle. Lo stile di una poesia genuina è un procedimento asettico, come una medicina. Tutti siamo pieni di vecchia retorica, ogni pensiero è intriso di luoghi comuni, che possono essere di diverso tipo. Ci sono molti luoghi comuni anche in letteratura. Per questo penso che la pulizia, l’eliminazione del superfluo, sia una delle cose fondamentali in una poesia, elemento essenziale perché un poeta possa scrivere una grande poesia.

 

MAZ - Voglio citarti, con tutto il rispetto che meritano, Góngora e Quevedo, che ho letto molte volte, come poeta, non come studente incaricato di scrivere un piccolo saggio. Ho trovato in entrambi uno stile rigoroso e un grande rispetto per la forma, solo che in Quevedo ho notato un modo di vedere le cose più metafisico, uno stile che si addentra maggiormente nella profondità dell’essere.

 

HP - Ti risponderò seriamente. Ho letto molto Góngora, come tutti noi, ma penso che questo poeta rappresenta un grande equivoco nella letteratura ispanica, non lui stesso, chiaro, come mai accade in un poeta che cerca ed esperimenta nuove forme. Sto parlando del góngorismo, della sua scuola, della direzione della sua poesia, perché credo che con Góngora comincia la decadenza della poesia ispanica. Non penso che la poesia sia una mistificazione permanente della realtà, non lo credo proprio. Per questo ritengo che il gongorismo sia un errore che continueremo a pagare per molto tempo. Non è piacevole dire queste cose, ma non posso fare altro. Quevedo è grande poeta, sicuramente lo preferisco. Intendiamoci, ci sono poesie di Gongora straordinarie; a me quel che proprio non piace di Gongora sono i suoi discepoli, la generazione del 27, coloro che prendono Gongora come un metodo e che lo fanno diventare una degradazione della lingua castigliana.

 

MAZ - Proprio tutti quelli del 27?

 

HP - Sì, tutti quelli del 27. Alberti, Aleixandre, ecc.

 

MAZ - Aleixandre in tutte le sue fasi?

 

HP - A me Aleixandre non interessa per niente. Se la poesia spagnola è Aleixandre o Aliberti, si può prescindere dalla poesia spagnola e infatti il mondo ne sta facendo a meno. Non so se agli ispanici importa sapere che la poesia spagnola non interessa in nessuna parte del mondo. Abbiamo letto la poesia tradotta di Brecht, Stevens, Eliot, le opere dei poeti francesi, ma chi traduce i poeti spagnoli? E gli ispanici? Poche persone al mondo. E quando li traducono lo fanno con commiserazione. Questo è il mio pensiero anche se non mi fa piacere doverlo esprimere.

 

MAZ - Una delle tendenze della poesia attuale è la propensione a diventare discorsiva. La poesia contemporanea abbonda di dati, nomi di luoghi, ci sono molte parentesi che a volte sembrano eccessive. Io sono d’accordo con la forma discorsiva, ma dev’essere controllata, altrimenti…

 

HP - Trovo orribile l’abuso di parentesi e mi fa piacere sapere che la pensi come me. Le parentesi, nella poesia contemporanea ispanoamericana, servono ad accentuare la forma discorsiva. A mio parere si tratta soltanto di merda, come si dice in castigliano. Merda e non poesia.

 

MAZ - Perché si usa una simile tecnica?

 

HP - Serve per esprimere una sorta di disprezzo verso la forma letteraria, come diceva un cubano, Lezama Lima, è un modo per fare ironia su quel che accade. In ogni caso io penso che riveli le difficoltà dei poeti che scrivono in castigliano.

 

MAZ - A tuo parere esistono anche parentesi necessarie?

 

HP - Certo. Sono le inevitabili parentesi di una riflessione intelligente. Ma quando la parentesi diventa una poetica, una sciocchezza ripetuta, non ha alcun valore. Bisogna evitare le parentesi. La poesia è un discorso concreto.

 

MAZ - Credi che il trattamento che il mondo riserva agli intellettuali che protestano contro un sistema sia diverso - nel bene o nel male - se questi ultimi provengono da società comuniste o capitaliste? Perché Heberto Padilla è stato messo sotto processo a Cuba?

 

HP - Una denuncia fatta nei confronti del mondo capitalista riguarda un mondo ereditato, che non hai scelto, che hai ricevuto, dove puoi muoverti rifiutandolo o criticandolo, ma di cui non sei responsabile. Se tu scegli un processo rivoluzionario, come nel caso di Cuba, e quello è stato il mio caso, e fai parte di un processo che promuove un cambiamento radicale, significa che c’è una rottura con l’eredità, una frattura con le forme di Stato anteriori, che tu vuoi cambiare cercando un’alternativa politica. Pertanto sei responsabile di quel cambiamento e la tua situazione di intellettuale assume una connotazione quasi religiosa, nel senso che sei responsabile del cambiamento. Se a un certo punto, all’interno di quel gruppo di persone che sembrano approvare il cambiamento e le difficili politiche che comporta, emerge una voce non conforme, può essere la voce di un codardo, di un nemico, di un controrivoluzionario. Ecco perché si fa più attenzione a questa difformità di pensiero di quanto possa accadere in un paese capitalista, dove non essere d’accordo è un modo per costruire il futuro. Ora, io ho scoperto - come tutti se ne sono resi conto - che la Rivoluzione Cubana non è la risposta, non è la strada giusta per costruire il futuro. Ma uno scrittore che critica dall’interno il mondo comunista viene sempre attaccato - anche dall’esterno - in maniera forte, perché distrugge un sogno, una speranza, qualcosa alla quale la gente vuole credere per avere la possibilità di migliorare il proprio futuro. Le persone non vogliono ricevere cattive notizie da un mondo che considerano parte della loro speranza. Inoltre ritengo che in ogni fede politica ci siano persone stupide e intelligenti. I secondi riescono a dissociarsi dalla menzogna ideologica di un procedimento che ha tradito il progetto iniziale. I primi, come accade in ogni società, non dissentono, salgono sul carro e si ostinano a difendere con passione le menzogne che continuano a ritenere verità. Tutto questo accade anche nel capitalismo, nella religione…

 

MAZ - Leggi molto?

 

HP - Tutto quel che si pubblica e tutto quel che mi capita tra le mani. Non ho letture speciali. In questo momento prediligo testi in lingua inglese. Prima di cominciare questa intervista mi hai recitato una poesia di Blake: “The tiger”. A me interessa Blake come fenomeno storico, m’interessa persino politicamente, è un uomo che ha vissuto la Rivoluzione Francese, l’ha cantata ed esaltata, ma ha messo a nudo anche i suoi fallimenti morali. Blake ha inserito nella sua poesia il problema della politica concreta e quotidiana, portandolo su un piano metafisico. La sua figura è molto interessante.

 

MAZ - E la poesia giovane?

 

HP - Mi piace molto. Ho appena finito di redigere una recensione sui giovani poeti cileni che hanno realizzato un’antologia con traduzioni di White. Ho scritto che si tratta di un buon lavoro perché White ha la stesa età delle persone presenti nell’antologia, quindi la sua valorizzazione non viene fatta da un’altra generazione, ma dalla propria. Questa particolarità rende ancora più interessante l’antologia. Ho scritto anche che questi poeti scrivono come se Neruda, Gabriela Mistral, Huidobro non esistessero.

 

Miguel Angel Zapata

(Revista de literatura hispánica, Autunno – Primavera, 1987, Numero 26, Articolo 22)

Traduzione di Gordiano Lupi


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