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Gino Songini. L'abbiamo scampata bella
07 Luglio 2014
 

Mi trovavo tra la gente davanti al Quirinale, in attesa di assistere al cambio della guardia. Nel corridoio di entrata stava un corazziere in alta uniforme, serio e immobile come soltanto i corazzieri sanno essere. A dire il vero non ero neppure troppo interessato al cambio della guardia che di lì a poco sarebbe avvenuto perché il mio animo era triste per altre ragioni. Da anni temevo che avvenisse quello che poi era avvenuto e il mio spirito oscillava tra ribellione e rassegnazione. No, non era quello il Presidente della Repubblica che io avrei voluto, basti dire che quella persona rappresentava per me, politicamente parlando, il peggio del peggio.

In piazza del Quirinale ero arrivato quasi per caso, dopo aver bighellonato per le vie di Roma sempre con quella tristezza che mi opprimeva a ragione dell'inquilino del sacro palazzo presidenziale. Ad ogni modo ero lì, avvilito come non mai, quando tra la folla si levò come un brusio di compiacimento festoso: un cagnolino bianco e peloso correva per il lungo corridoio verso l'uscita. “Dudù! Dudù!” gridavano i presenti. A un certo punto il botolo bianco si fermò proprio ai piedi del corazziere, alzò la zampina posteriore e fece quello che fanno i cani quando trovano un albero ben piantato. La sua pipì innaffiò l'uniforme e gli stivali del corazziere il quale non batté ciglio, rimanendo serio e immobile come se niente fosse successo. Fu in quel momento che non riuscii più a contenere la carica di ribellione che era in me, tanto che mi misi a gridare con quanta voce avevo in gola: “Vergogna! Vergogna!” Volevo entrare in corridoio per rimandare indietro quella bestiola impertinente e quasi per scusarmi col corazziere come se quello che era avvenuto fosse anche colpa mia. Ma una guardia mi bloccò immediatamente invitandomi ad abbassare il tono della voce. Volevo replicare, volevo spiegare le ragioni della mia indignazione, ma dalla bocca non mi usciva più una parola. Con un ultimo sforzo riuscii a gridare: “Popolo di servi! Basta!”

A quel punto mia moglie, allarmata dal mugolio, accese la luce dell'abat-jour e mi chiese cosa mai avessi. Lì per lì non fui in grado di rispondere nulla ma poi, senza darle alcuna spiegazione, dissi come parlando a me stesso: “L'abbiamo scampata bella!”

Sì, amici lettori, l'abbiamo proprio scampata bella. Il mio pensiero torna sempre alle elezioni politiche del febbraio 2013 quando un pugno di voti, un'inezia, impedì al re di Arcore di insediarsi al Quirinale con Dudù al seguito. Vi ricordate? I sondaggi davano Bersani e la sua coalizione vincenti ad abundantiam e invece dalle urne uscì un risultato incerto fino all'ultimo voto. Il re di Arcore veniva superato di un'incollatura e Bersani si avviava alle sue vane trattative per formare un impossibile governo. Sarebbe bastato un nonnulla perché avvenisse quanto avvenuto nel sogno (o incubo) che vi ho raccontato. Il mandato di Giorgio Napolitano stava per scadere e, statene certi, l'ometto di Arcore ne avrebbe preso trionfalmente il posto. Privo di scrupoli com'è se ne sarebbe fregato altamente di ogni cosa: del conflitto di interessi, delle Olgettine, di Ruby Rubacuori, dei processi, dell'evasione fiscale. La stessa stampa estera, che non ha mai fatto sconti al personaggio e che l'ha sempre sostanzialmente rappresentato come un pagliaccio, avrebbe cominciato a chiedersi: “Ma se gli italiani l'hanno fatto presidente della repubblica forse non è tutto così come sembra”. I processi sarebbero finiti di colpo, tutti, e per sempre. La lavagna sarebbe stata cancellata. Dudù avrebbe girato il mondo al seguito del corteo presidenziale, al suono delle fanfare e con l'onore dell'alzabandiera nelle varie capitali. Sarebbe entrato al Cremlino e alla Casa Bianca, all'Eliseo e a Buckingham Palace. I libri di storia sarebbero stati costretti a dimenticare Previti e Dell'Utri, lo stalliere Mangano e Tarantini, Scajola e la nipote di Mubarak. Sì, l'abbiamo scampata bella.

Ma cos'è mai questa vocazione al suicidio morale e politico che abbiamo noi italiani? Ciarlatani e imbonitori sono venuti alla ribalta ovunque, ma forse da nessuna parte come da noi hanno trovato tanto terreno fertile. Nonostante la presunta furbizia e l'atavica diffidenza ci facciamo tranquillamente abbindolare da chi la spara più grossa: dal ciarlatano di Arcore come dallo spaccamontagne di Genova. Colle loro chiacchiere ossessive e insulse hanno attirato e attirano una clientela che non smette mai di credere nell'uomo della provvidenza. Del resto la nostra storia ci offre diversi esempi di personaggi di questo tipo. Nella Roma del 1300 Cola Di Rienzo, popolano dalle mistiche visioni e dalle manie di grandezza si proclamò tribuno e quando i sostenitori del papa lo cacciarono dalla città fu perfino accolto a Praga dall'imperatore Carlo IV. Riabilitato dal successivo pontefice riprese il governo di Roma, ma dopo pochi mesi durante i quali ne combinò di tutti i colori, fu ucciso sul Campidoglio. È noto che la stessa Chiesa è stata governata da papi che hanno guidato la barca di Pietro tra scandali e nefandezze di ogni tipo. Basti pensare ad Alessandro VI, il celebre Rodrigo Borgia, padre di Lucrezia e del duca Valentino, salito al soglio pontificio grazie agli intrighi e alle immense ricchezze. Il ritratto che ne ha fatto il Pinturicchio (artista da lui protetto) in un affresco nella sala Borgia in Vaticano nel quale lo si vede assorto in preghiera, inginocchiato e a mani giunte, doveva servire a far dimenticare le tristi ombre del suo pontificato, dalla condotta licenziosa (per dirne una: un giorno, mentre nella cappella da basso i cardinali cantavano vespro, lui nel salone superiore si divertiva con quaranta (!) prostitute) al nepotismo, dall'uso personale del denaro del giubileo ai maneggi per favorire gli interessi francesi in Italia (e quindi gli interessi del figlio, loro alleato). Eppure molti italiani, cominciando da tanti uomini di Chiesa, stravedevano per lui.

Abbiamo innalzato e abbattuto principi e re, cardinali e primi ministri. Abbiamo venerato papi che poi abbiamo mutilato e gettato nelle acque del Tevere. Ci siamo fatti incantare da un megalomane illuso come Benito Mussolini, applaudendolo ed esaltandolo fino a seguirlo ciecamente nella più disastrosa guerra che l'Italia abbia combattuto, salvo poi appenderlo a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina. Ma non potevamo aprire gli occhi un poco prima?

Tanti altri “pazzarielli” hanno rallegrato la scena italiana. È universalmente nota la vicenda di Masaniello a Napoli. Ma non voglio tediare il lettore con altri richiami storici che evocano personaggi vissuti nella follia e finiti nel sangue.

Per fortuna i nostri due eroi, il mago di Arcore e lo stregone di Genova, nonostante tutto non appaiono figure altrettanto tragiche e pericolose, anche se occorre dire che nel raccontare frottole non hanno niente da imparare da nessuno. Sta a noi liberarcene il prima possibile, e definitivamente. Con questi personaggi l'immagine dell'Italia sulla scena internazionale sarebbe sempre più compromessa e la credibilità del nostro paese vicina alla linea dello zero.


Scrivo questo articolo in attesa dei risultati elettorali delle elezioni europee del 25 maggio: un occhio al foglio e uno al televideo. Ore 24, prime proiezioni: sorpresa!

Lunedì 26 maggio, ore 7: sorpresissima!

PD 40,81%

Mov. 5 stelle 21,16%

Forza Italia 16,82%

Lega Nord 6,16%

Lunedì mattina, ore 8. Anche questa volta mi pare di poter dire, brindando con una tazza di caffelatte: “L'abbiamo scampata bella!” (E lo dice uno che ha votato PD con non troppo entusiasmo).

 

Gino Songini

(da 'l Gazetin, giugno-luglio 2014
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