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Gino Songini. Elogio del lavoro manuale
03 Aprile 2014
 

“Come va, Sergio?” L'amico, professore di lingue in pensione, mi risponde al cellulare dalla Valcamonica con parole asciutte: “Abbastanza bene”. “E la moglie, i figli e i nipoti?” “Ma sì, bene anche loro”. Al telefono non riesco mai a cavargli qualcosa di più. È fatto così, Sergio. E se gli chiedo cosa sta facendo mi risponde, almeno otto volte su dieci, che sta falciando i prati (d'estate), o che sta tagliando o spaccando legna (d'inverno). Soltanto se lo chiamo di sera mi dice che sta leggendo o scrivendo. La falce, la motosega, la scure, la penna e gli occhiali (per la lettura) sono i suoi attrezzi.

In verità questi attrezzi sono anche i miei. Come Sergio anch'io amo andarmene d'inverno per i boschi con la motosega, la scure e il pennato. Con in tasca la necessaria autorizzazione del corpo forestale percorro i terreni di famiglia in cerca di qualche faggio, frassino o betulla che sia pronto per il taglio e procedo. È un lavoro faticoso quello del boscaiolo ma che ho sempre fatto volentieri, fin quando da ragazzo seguivo mio padre e mio nonno nei boschi di Sasso Bisòlo. Non sono certamente un professionista, però me la cavo. Mi piace quando il taglio mi riesce bene: la pianta cade nella direzione voluta, pronta per essere sramata e sezionata. Quando poi la fatica si fa sentire mi fermo per una pausa, osservo quello che mi circonda o guardo le nuvole che passano alte sopra le cime degli alberi. Il bosco intorno parla come una creatura viva. Basta una lieve brezza per avviare un dialogo tra le fronde. Ogni tanto il picchio fa sentire il suo picchiettio sui vecchi tronchi di faggio o di castagno. Dopo la pausa mi rimetto all'opera. Nonostante l'età non più verde lavoro per una buona mezza giornata, a volte anche per tutto il giorno, poi me ne torno a casa stanco ma felice. Stanco ma felice come si scriveva un tempo nei temi scolastici e come immagino che sia il mio amico Sergio della Valcamonica, compagno di scuola dei tempi che furono. Anche lui come me è padre e nonno, ma continua ad amare il lavoro nei prati e nei boschi. E la sera legge e scrive. Penso che siano questi interessi comuni che hanno mantenuto e rinsaldato la nostra ormai antica amicizia.

E allora, se è vero come è vero che due insegnanti in pensione come noi non temono, anzi amano, il lavoro manuale, per quale ragione tanti ragazzi del giorno d'oggi lo rifiutano a prescindere? A volte arrivo a pensare che questi nostri giovani non sanno quello che perdono. Mentre giustamente sono in attesa di un lavoro che corrisponda alle loro aspettative di diplomati o di laureati sprecano i loro giorni nelle piazze, nei bar o nelle sale-giochi. Per non parlare della trappola di internet. Eppure quattro o cinque ore di attività fisica farebbero soltanto bene a ragazzi di venti o trent'anni.

Sulla spinta di queste considerazioni vorrei dire che un rilancio del lavoro manuale fatto con criterio e intelligenza non potrebbe che giovare alla nostra società. Trovare lavoro nelle fabbriche, negli uffici e nei servizi sta diventando sempre più difficile e, nonostante le promesse dei diversi governi, pare che non sia in vista alcuna inversione di tendenza. Il numero dei disoccupati non fa che aumentare. Le fabbriche chiudono o delocalizzano, l'edilizia è ferma, diplomati e laureati passano da un colloquio di lavoro a un altro senza cavare un ragno dal buco e tirano avanti sempre più sfiduciati, aspettando un treno che non passa mai. La stessa riforma delle pensioni (pessima, a mio avviso) sta impedendo il ricambio occupazionale di cui ci sarebbe bisogno.

Ora ci si attende che il nuovo governo metta in campo quella riforma del lavoro che dovrebbe risolvere molti dei problemi ricordati. Ma servirebbe un miracolo e personalmente non credo ai miracoli. Né tantomeno credo che li sappia compiere il sindaco di Firenze divenuto capo del governo con una manovra di palazzo dai contorni a dir poco nebulosi. Ma non intendo divagare.

In parlamento e in sede di governo si sta affacciando l'idea che sia giunto il momento di dare comunque un sostegno economico a quanti non trovano lavoro o a quanti l'hanno perso senza speranza di ritrovarlo, anche andando oltre i provvedimenti previsti dalla cassa-integrazione. È sicuramente un'idea apprezzabile ma evidentemente di non facile attuazione per diverse ragioni, non ultima quella di trovare le risorse finanziarie per tale intervento. Economisti, giuslavoristi e sedicenti esperti di problemi del lavoro si affannano per suggerire diverse soluzioni e organizzano in continuazione incontri e convegni per discutere le proposte in campo. Detto tra noi, tocca a volte sentire anche qualche emerita sciocchezza. E allora sia consentito anche a chi esperto non è di dire la sua: sciocchezza per sciocchezza le cose non potranno andare peggio di come vanno. E vengo al dunque. Sempre più spesso mi capita di pensare che se il governo si proponesse di curare finalmente il nostro disastrato territorio offrendo ai giovani, e anche ai meno giovani, un lavoro ben retribuito e sicuro, non potrebbero che venire vantaggi alla nostra collettività. Vantaggi economici prima di tutto, ma anche benefici sociali e culturali di ogni genere. Il cielo sa quanto ci sarebbe bisogno di un importante e ordinato intervento a cura delle montagne e delle valli, delle colline e delle spiagge. I nostri ragazzi però non dovrebbero avere paura di sudare (un poco), né di farsi venire i calli alle mani. Lavoro manuale dunque, da eseguire con gli attrezzi che servono. Poche ore al giorno, non più di cinque o sei, con capisquadra esperti e responsabili che dovrebbero essere in grado di programmare e realizzare gli interventi necessari. E una retribuzione decorosa, diciamo non inferiore ai 1.700-1.800 euro mensili. Il territorio del nostro paese, dalle Alpi alla Sicilia ha urgente bisogno di interventi. Non avete mai osservato, ad esempio, in quale stato pietoso versano in Italia molte aree protette (protette da chi, poi?). O alcuni parchi nazionali? Abbiamo, è risaputo nel mondo, delle aree archeologiche con monumenti di eccezionale valore che costituiscono spesso un'autentica vergogna per lo stato in cui versano: da Metaponto alla Valle dei Templi, dai Fori Imperiali a Pompei, ecc. Ma l'elenco degli italici scempi è lungo, e potrebbe continuare con le piazze delle nostre città che i comuni non sono in grado di curare. Così capita sempre più spesso di vedere fontane, sculture, colonne, storiche pavimentazioni abbandonate all'incuria più scandalosa senza che nessuno se ne dia pena. Altra dolente nota (come si vede c'è solo l'imbarazzo della scelta) è quella delle infrastrutture e dei beni demaniali, patrimoni in costante deterioramento e svilimento economico.

Sulle nostre montagne occorre recuperare i sentieri, ripulire i torrenti, governare i boschi. Bisogna anche rimuovere i rifiuti che si accumulano ormai perfino sui ghiacciai e sulle cime più alte, mettere in sicurezza le vie ferrate, attrezzare i bivacchi e, perché no, ristrutturare le baite in rovina.

Ecco, io immagino milioni di giovani e meno giovani impegnati lungo la penisola e nelle isole a curare quotidianamente il nostro maltrattato territorio.

Ministro Franceschini, questo diligente lavoro non porterebbe benefici economici? Non riuscirebbe a prevenire qualche disastro ambientale? Il nostro paese non diventerebbe più bello e più sicuro? O è meglio lasciare che crescano le erbacce e le piante sul tetto della reggia di Caserta?

I tanti (troppi) disoccupati, ai quali nessuno impedirebbe di cercare un lavoro più consono alle loro aspirazioni, potrebbero nel frattempo trovare un'occupazione, un salario e ancora di più sentirsi utili a sé, alla famiglia e alla società in cui vivono. Potrebbero finalmente lasciare i bar, le sale giochi e le piazze nelle quali consumano i loro giorni aspettando Godot.

 

Gino Songini

(da 'l Gazetin, “Pensieri inutili”, marzo 2014

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