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Gino Songini. Dalla villa di Arcore a quella di Sant'Ilario, da un pifferaio a un altro
27 Febbraio 2013
 

Dato un calcio nel sedere (pardon, un calcetto, un calcetto leggerissimo) al re di Arcore, ecco venire avanti sul palcoscenico Italia un arruffato arruffapopolo che sa occupare la scena da par suo. Su col morale, amici: il divertimento è assicurato. “Apriremo il parlamento come una scatola di tonno!” aveva detto. In effetti un fiume in piena irrompe nelle stantie e polverose aule parlamentari del nostro paese, forze nuove, dalle quali ci si potrebbe anche attendere che contribuiscano a svecchiare quel mondo di cariatidi, o a ripulire le acque torbide della politica nelle quali da troppo tempo, insieme a tanti pesciolini che vanno e vengono senza una meta, nuotano pescecani affamati e pericolosi.

Il parlamento italiano si apre dunque a questa onda d'urto che sembra destinata a travolgere ogni cosa e i cittadini osservano chi con simpatia, chi con perplessità, chi con timore quanto sta avvenendo. Che dire? Intanto è bene ricordare che milioni di voti sono stati guadagnati con slogan qualunquistici ma di straordinaria efficacia propagandistica, cavalcando il reale e profondo malessere della società scossa da una crisi senza precedenti. I giovani non trovano lavoro, le aziende chiudono, le fabbriche delocalizzano all'estero, la pressione fiscale è grande, l'evasione altrettanto, la benzina è la più cara d'Europa, la disoccupazione aumenta ogni giorno, la pensione è rimandata ad anni lontani, ecc. Insomma il cahier de doléances è pieno come non mai. E così, in questa strana e balorda campagna elettorale, nella quale se abbiamo sentito una verità ci è toccato ascoltare almeno cinquecento bugie, hanno avuto buon gioco negromanti, ciarlatani e imbonitori. Dicevano una volta al mio paese: Al val pèsè 'na buna lapa chè 'na buna zapa. Ed ecco l'arruffapopolo che declama urlando come un cane che abbaia (e si spera non morda): “In nome di Dio, andatevene! Onorevoli disonorati. Facce di bronzo, facce di merda, facce da impuniti, facce da dimenticare se si vuole riacquistare un minimo di serenità. Facce di responsabili dello sfacelo economico e sociale che si fanno il lifting, i sorrisi tirati ormai in un ghigno, l'incedere da uomini di potere che si credono statisti... Non capiscono che sono come Ceauşescu al balcone, Mussolini nel camion verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, Hitler nel bunker di Berlino...”

Pur contenendo anche qualche sacrosanta verità, bisogna ammettere che questi discorsi sono un po' troppo facili da fare. È facile censurare, dissacrare, condannare. E in fondo non è stato neanche troppo difficile pescare voti nel grande bacino elettorale anche a motivo del malcontento che serpeggia tra la gente oppressa, come si diceva, da una crisi che non finisce mai e sconcertata da una serie di scandali di gravità inaudita. E allora vai con Grillo. Al suo movimento – guai a chiamarlo partito – si sono avvicinati e hanno aderito giovani e meno giovani, manager e disoccupati, ingegneri e casalinghe. I candidati del Movimento 5 Stelle, scelti sulla rete magari con poche centinaia, a volte con poche decine di voti, hanno ottenuto grandiosi risultati nella competizione elettorale. Sarà “vera gloria”? Chissà. Personalmente ritengo che questi nuovi deputati e senatori, per lo più giovani e pieni di entusiasmo, possano davvero contribuire a rinnovare la classe politica, il governo, le istituzioni e persino i quadri e le strutture dello stato (ma qui la vedo dura). Mi infastidisce invece il comportamento del grande capo che a volte assume atteggiamenti da taumaturgo per poi passare, senza troppe esitazioni, ad atti di Grande Inquisitore che scomunica su due piedi chi non è fedele ai suoi comandamenti. Basta un twit sulla rete per cancellare dalla scena chi osa mettere in discussione il sacro verbo. C'è qualcosa del guru, dello sciamano, del capo-setta, dell'ayatollah in tutto questo. Vengono alla mente infiniti esempi in tempi vicini e lontani di altri “Capi” che hanno portato, il cielo non voglia, a notevoli disastri. “Giudice in terra del bene e del male”, come cantava Fabrizio De André, Grillo non ammette rilievi ai suoi editti: chi non è con me è contro di me. E poi grida che i partiti sono morti (lo erano anche per Mussolini, Hitler e Stalin), che i sindacati bisogna abolirli, che la stampa è di regime, ordina ai suoi di evitare la televisione, proprio lui che con la televisione ha fatto i miliardi, non risponde alle domande dei giornalisti, ecc. In compenso attraversa a nuoto lo stretto di Messina, galleggia nelle piazze d'Italia sopra le teste dei suoi fans, manda “affan...” di volta in volta Monti, Berlusconi, Bersani, Napolitano, Casini, ecc. mettendo tutti senza distinzione in un calderone e gridando: “La crisi sono loro, dei veri ritardati morali, con gravi psicopatologie, hanno la prostata gonfia, per due tette e un culo sfasciano la famiglia, sono pieni di viagra, questo è un paese morto!”

Populismo sfrenato, qualunquismo che dilaga come un fiume senza sponde. Linguaggio che un tempo si sarebbe definito “triviale” ma che oggi sappiamo ampiamente sdoganato. Linguaggio che fa presa soprattutto sui giovani incattiviti per la crisi e giustamente indignati di fronte alla marea montante degli scandali.

Ci troviamo dunque di fronte a un fenomeno nuovo, difficile da interpretare, che presenta, come sempre accade in simili frangenti, le solite due facce della medaglia. Da un lato il faccione irsuto e urlante del comico ligure che, mosso dall'ambizione personale e dalla sete di conquista intende fare concorrenza a quell'altro comico, assai meno presentabile, che pontifica in quel di Arcore, e dall'altro tanti giovani pieni di buona volontà che attratti dalla musica del pifferaio con la barba lo seguono con slancio vigoroso e fede indefessa. La domanda che tutti si fanno è sempre quella: dove ci porterà tutto questo? Bella domanda. Intanto prendiamo atto che lo tsunami annunciato si è abbattuto sul parlamento della Repubblica. Nei templi della politica irrompe una massa di gente nuova, per lo più giovani e giovanissimi, fedeli al sacro verbo del web e al suo profeta. Proviamo a guardare il bicchiere mezzo pieno. Chissà che tante incrostazioni non cadano davvero, che tanta polvere e tante ragnatele non vengano finalmente tolte da quelle pareti, chissà che una ventata di aria fresca possa dare respiro all'asfittica e tediosa politica italiana. Stiamo a vedere. Oggi come oggi (27 febbraio 2013) non mi interessano più di tanto le alchimie politiche, quale esecutivo si potrà formare, quali accordi parlamentari si potranno determinare, quali programmi di governo si potranno attuare. Mi interessa invece vedere quale impatto avrà sulla nostra società, e non soltanto sulla vita parlamentare, questa onda d'urto che si è abbattuta sulle mura del Palazzo. Andremo verso una politica più attenta ai reali bisogni della gente, più sensibile alle difficoltà che i cittadini vivono ogni giorno, più sobria, più pulita, più onesta? Ma...

Sarà perché ho una certa età, ma non posso fare a meno di ripetermi che la prudenza è d'obbligo. «A Montecitorio e a Palazzo Madama la purezza dura al massimo dodici mesi, poi in genere le lusinghe romane (vedi gli extraparlamentari, vedi anche i leghisti come sono finiti) prendono il sopravvento e più che politica si può pensare che è la vita». Parole, dette da un noto politologo, che fanno pensare. Resta il fatto che la seconda Repubblica guidata per vent'anni dal pifferaio di Arcore (restituiremo l'IMU! Aspetta e spera...) ci ha consegnato a un altro pifferaio forse meno avido del primo ma altrettanto amante delle scorciatoie e degli slogan populisti e qualunquistici. Dicevano i progenitori romani: Di bene vortant (che gli dei la mandino buona).

 

Gino Songini

(per 'l Gazetin, marzo 2013)

 

 

 

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