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Gino Songini. «Somos todos americanos»
29 Gennaio 2015
 

Come posso scrivere di una cosa bella proprio nel momento in cui è in corso il blitz delle forze speciali della polizia francese (venerdì 9 gennaio – ore 13:30) contro i terroristi islamici autori del massacro dei vignettisti di Charlie Hebdo? Istintivamente vorrei occuparmi di questo, di questa strage disumana per la quale nessuna comprensione è possibile, ma ci sarà modo di affrontare il tema in altra occasione. Per ora mi auguro soltanto che la polizia francese riesca a mettere le mani sui due assassini, senza dover contare altre vittime innocenti.

Ma qual è la cosa bella della quale volevo scrivere? Qualche giorno prima di Natale 2014 l'annuncio dato da Obama e Raúl Castro del disgelo tra Cuba e Stati Uniti ha fatto il giro del mondo, occupando le prime pagine dei giornali e imponendosi all'attenzione degli osservatori politici. «Somos todos americanos», ha detto Obama parlando in spagnolo. "Siamo tutti americani". C'è chi ha parlato della "caduta del muro dei Caraibi", chi ha ricordato che soltanto ora è veramente terminata la guerra fredda, chi ha esaltato il coraggio del presidente americano e del suo omologo cubano. Poi, dopo un giorno o due in cui non si parlava che di questo, la faccenda è stata accantonata e quasi dimenticata dagli organi di informazione. Eppure, in un tempo in cui le cattive notizie si susseguono a ritmo impressionante, valeva la pena soffermarsi un poco di più su questo avvenimento che certamente cambia la storia del mondo. Intanto è bene ricordare che una delle peggiori crisi politico-militari vissute dopo la 2ª guerra mondiale, forse la più rischiosa in assoluto, è stata proprio quella "crisi dei missili di Cuba" del 1962, quando gli Usa si opposero al tentativo dell'Urss di fare dell'isola caraibica una propria base strategica. Il mondo si trovò sull'orlo di una guerra nucleare, una guerra che avrebbe avuto conseguenze apocalittiche, e che fu all'ultimo momento evitata per la ragionevolezza dei protagonisti della storia di quel tempo: Kennedy, Kruscev e papa Giovanni XXIII. Cuba rimase però uno dei punti di maggiore attrito tra mondo occidentale e mondo comunista. L'isola, stretta nella morsa dell'embargo decretato dagli Stati Uniti, ha dovuto fare i conti con continue difficoltà economiche che il sostegno sovietico è riuscito ad attenuare soltanto in parte. Il processo di dissoluzione dell'Urss culminato nel 1991 con la fine del regime comunista ha ulteriormente accresciuto le difficoltà economiche del paese castrista. La riduzione degli aiuti da parte di Mosca e la necessità di pagare in dollari i prodotti importati hanno contribuito ad aumentare ulteriormente il debito estero cubano con conseguenze drammatiche sull'economia del paese e sulla vita quotidiana dei suoi abitanti.

Va da sé che se Cuba ha bisogno degli Usa, questi ultimi non hanno certamente bisogno di Cuba per la loro economia. Ma la presenza di un paese ostile, sia pure piccolo, davanti alle sue coste, ha sempre rappresentato una spina nel fianco per il colosso americano. Tuttavia io non credo che l'annunciato accordo tra i due paesi, dopo 53 anni di isolamento, di scontri e di mancanza di relazioni diplomatiche, sia dovuto soltanto a questioni economiche o strategico-militari. Credo che si tratti invece della decisione di uomini di buona volontà che vogliono dimostrare che un nuovo mondo è possibile, un mondo dove il rispetto reciproco e il dialogo devono prevalere sulla forza, sulla minaccia, sul ricatto. La pace deve prevalere sugli interessi, la libertà deve prevalere sulle ideologie.

Sembrava fino a ieri impossibile che avvenisse quanto è avvenuto, ma tutto questo non è frutto del caso. Tre uomini, tre americani nati in tre diversi punti del continente, uno a nord, uno al centro e uno a sud, hanno lavorato con coraggio e pazienza a tessere la tela della comprensione, del diritto e della libertà. Essi sono Barack Obama, Raúl Castro e papa Bergoglio. E se i primi due sono stati capaci di mettere da parte i tanti motivi di risentimento legati al passato e di guardare al futuro con reciproca fiducia, il terzo ha dimostrato che la sua elezione al pontificato ha rappresentato per l'America la possibilità di camminare, come già l'Europa degli ultimi settant'anni, sulla via del dialogo, dell'integrazione e della pace. Le difficoltà sono ancora molte ma intanto possiamo dire che è caduto il muro d'acqua di 140 chilometri che divide la Florida da Cuba. Certo, permangono differenze tra i due paesi. La lunga e sorprendente telefonata tra Obama e Raúl Castro non può essere bastata da sola a liquidare le storiche diffidenze. Ma dopo più di cinquant'anni di tensione il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Washington e L'Avana rappresenta un successo per tutti coloro che guardano al futuro con l'ottimismo della volontà. «Le differenze sono una ricchezza e una risorsa», ha detto papa Francesco durante una fase delle trattative (condotte con mediazione sapiente dal segretario di stato vaticano Parolin). Basta dunque con gli anatemi di Washington contro l'isola comunista (anche se questo pare dispiaccia molto agli irriducibili anticastristi) e basta con le contrapposizioni ideologiche cubane nei confronti degli Usa, contrapposizioni che tra l'altro hanno contribuito non poco a condannare Cuba a decenni di privazioni.

Non sono mai stato a Cuba. Ma parlando con chi ci è stato e con chi ci vive (ho un amico che per ragioni familiari trascorre a L'Avana diversi mesi all'anno) ho potuto rendermi conto di quante difficoltà ha dovuto affrontare il popolo cubano nei decenni trascorsi. Le città semibuie per la mancanza di corrente, la penuria di generi di prima necessità e di medicinali, la difficoltà a volte insuperabile nell'ottenere i permessi di espatrio, le prigioni piene di oppositori del regime sono alcuni dei dolorosi fotogrammi di un'epoca triste che ci auguriamo sia finalmente al tramonto. I parziali successi del governo castrista nella sanità e nell'istruzione non sono bastati a mascherare la dura realtà. Anche per queste ragioni le campane dell'Avana hanno suonato a festa all'annuncio dato da Raúl Castro dell'accordo con il presidente Obama. Le stagioni del rancore devono essere lasciate alle spalle così come quelle dell'embargo economico che ha schiacciato l'isola, impedendone lo sviluppo e condannando i cubani a continue sofferenze.

Con il riavvicinamento tra Cuba e Washington nessuno impone ad altri i suoi principi: Obama ha esplicitamente dichiarato che così come gli Stati Uniti hanno da 35 anni rapporti con la Cina comunista, a maggior ragione possono stabilire relazioni con un altro paese di ispirazione comunista come Cuba, tra l'altro assai più piccolo della Cina, ma situato proprio sulla porta di casa. Raúl Castro ha parlato di «aggiornamento» del modello economico cubano «per costruire un socialismo prospero e sostenibile». Come si vede nessuno ha inteso proporsi come modello, nessuno ha voluto dare lezioni agli altri. Il "Socialismo o muerte" dipinto sui vecchi muri dell'Avana resterà a ricordo per le generazioni che verranno, finalmente libere da una ideologia di chiusura e di contrapposizione che non ha portato né benessere né libertà. A sua volta Obama, superate le non poche opposizioni interne che hanno in tutti i modi cercato di impedire "il patto col diavolo", ha potuto dimostrare al mondo che gli ideali più grandi, quelli che stanno alla base della convivenza umana, prescindono da calcoli di convenienza economica, strategica o elettorale. Ha preso questa storica decisione con la consapevolezza delle sue responsabilità e con ispirata lungimiranza. Vorrei per questo chiudere con le parole con le quali egli ha ringraziato papa Bergoglio per il suo aiuto nella trattativa: «Per quanto riguarda coloro che appoggiano queste mie decisioni, li ringrazio di essere dalla mia parte in questi nostri sforzi. In particolare, desidero ringraziare Sua Santità Papa Francesco, il cui esempio morale ci mostra quanto sia importante cercare di creare il mondo come dovrebbe essere, invece che limitarsi semplicemente ad adattarsi al mondo com'è». Non serve aggiungere altro a queste parole.

 

Gino Songini

(da 'l Gazetin, gennaio 2015)

 

 

Sull'argomento si veda, in questo stesso numero, la nota della scrittrice cubana Wendy Guerra del 17 dicembre 2014, nella traduzione di Silvia Bertoli per 'l Gazetin/Tellusfolio. (Ndd)

 

 

 

Nelle vignette allegate dubbi e aspettative by Garrincha e Santana sul dialogo Usa-Cuba (trad. Gordiano Lupi)

1. Garrincha. Cubana a colloquio con un funzionario del Ministero degli Interni (MINRE): – Compagno è già arrivata la carne?

Negoziante: Di quale carne vai parlando, Juana? Cosa ti sei fumata?

Cubana (pensa): “Caspita... va per le lunghe questo dialogo!”

2. Omar Santana. Aprendo la 'scatoletta' (vuota) di carne, compare la scritta:

Però noi abbiamo una patria”


Foto allegate

1. Garrincha
2. Omar Santana
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