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Marcello Bussi. Come sopravvivere alla diseconomia cubana. Intervista a Yoani Sánchez
16 Maggio 2008
 

Marcello Bussi, che ha lasciato un commento al pezzo su Yoani Sánchez del 9 maggio proponendo di promuovere anche in Italia un riconoscimento alla giornalista cubana, ci ha inviato per la pubblicazione nell'Oblò cubano l'intervista da lui raccolta a L'Avana nel gennaio scorso e pubblicata da Milano Finanza. Lieti di questo incontro sulla Nave Terra di Tellusfolio, lo ringraziamo contando di proseguire ancora, con lui, con Yoani e con i molti cubani esuli in Italia che ci leggono, questo bel viaggio...

 

 

«Come si fa a convivere con due monete diverse? È davvero complicato. Per non confondermi tengo la moneta nazionale nella tasca sinistra e i peso convertibili nella destra. I salari ci vengono pagati con la prima, che mi serve per comprare il giornale. Ma se ho bisogno del sapone, dell'olio o del dentifricio, allora uso i secondi. Ogni giorno che passa la moneta nazionale diventa sempre più inutile, mentre il peso convertibile è indispensabile per poter sopravvivere». Le assurdità dell'economia cubana le spiega Yoani Sánchez nel suo blog Generazione Y (www.desdecuba.com/generaciony), che, per il solo fatto di descrivere la realtà così com'è, rischia grosso. Qui non si scherza, potrebbe anche finire in carcere. A Cuba le connessioni a internet sono limitate, per ottenerne una ci vuole un permesso speciale.

E allora a Yoani non resta che andare negli internet café dei grandi alberghi, dove però è proibito l'ingresso ai cubani, in una sorta di paradossale apartheid. Una volta entrata, fingendosi una turista tedesca (la lingua la conosce alla perfezione, ma non è bionda), sorge un altro problema. Mezz'ora di connessione costa 7 euro, un'enormità per il cubano medio, che quando gli va bene riesce a guadagnarne 50 al mese. Eppure, superando ogni difficoltà, da sette mesi Yoani ha dato vita a un blog che l'ha resa popolarissima sia a Cuba sia all'estero, tanto da finire sulla prima pagina del Wall Street Journal.

Ti lasciano libera di scrivere perché tanto a Cuba internet lo usano in quattro gatti. «Non è vero», replica lei mentre aggiorna il sito con rapidità sorprendente.

«Basta che una sola persona sia connessa, copia il contenuto e lo diffonde. Ormai la gente mi riconosce e mi ferma per strada».

E infatti non appena esce un nuovo capitolo del suo diario, arriva subito una valanga di commenti, facendo del suo blog l'unico spazio di libero dibattito a Cuba. Scrivono anche i sostenitori del regime, che lanciano insulti, insinuazioni e minacce più o meno velate, mentre altri, più sottili, cercano di indurla a commettere qualche passo falso, ad alzare il tono di voce per poterla accusare di sovversione.

«Certo, hanno provato ad attaccare il mio sito, ma i miei amici hacker hanno creato un sistema di difesa molto efficace», dice con orgoglio. Tornando alla doppia moneta, come fanno i cubani a procurarsi l'indispensabile peso convertibile, visto che vengono pagati in moneta nazionale?

«Il modo più innocente è riceverli dai parenti che vivono all'estero. L'alternativa è fare lavori illegali o diventare delinquenti».

In pratica, le uniche persone che hanno facile accesso ai peso convertibili sono quelle che lavorano a contatto con i turisti, in genere taxisti e prostitute. E così una rivoluzione nata per portare giustizia sociale e indipendenza nazionale ha prodotto una società piramidale con terrificanti disparità di reddito, al cui vertice stanno i papponi e che dipende totalmente dalla benevolenza o fessaggine degli stranieri.

Yoani racconta un altro episodio per descrivere gli effetti della diseconomia cubana. A fine gennaio a L'Avana faceva freddo per gli standard locali: di sera si stava bene con il maglioncino. «Al tramonto mi sono fermata a chiacchierare sul Malecon, incurante del vento. Il giorno dopo mi sono svegliata con il mal di gola e mi sono detta: ho bisogno di una limonata calda. Sono uscita e al negozio mi hanno detto che di limoni non se ne vedevano da tempo immemorabile. Ho cercato al mercato nero: al primo niente, al secondo nemmeno, ho girato mezza città e alla fine mi sono arresa. È incredibile, la nostra è una terra fertilissima ma non coltiviamo i limoni. Intanto i latifondi dello stato stanno lì deserti, nell'abbandono più totale».

Aggiungiamo che mancano anche i fazzolettini di carta e un'intera città ha fatto fronte agli starnuti arrangiandosi con le mani. Ora Fidel è malato, il potere è in mano al fratello Raul e la nomenklatura è divisa tra chi vuole consegnare l'isola chiavi in mano al Venezuela di Chavez e chi vorrebbe una riforma di tipo cinese. Sarà che le due fazioni si neutralizzano a vicenda. Fatto sta che da quando Lui (ancora adesso i cubani non lo chiamano mai per nome) è finito in ospedale non è cambiato assolutamente niente. E allora che cosa si fa, Yoani?

«Logica vorrebbe che le cose cambino», risponde. «Personalmente vorrei che il prossimo presidente fosse grasso, pelato, privo di carisma, un onesto amministratore, che dopo quattro o cinque anni lasci il posto a un altro».

Nell'attesa, Yoani continua a sperare e a rischiare il carcere, facendo ogni giorno i conti con la diseconomia cubana. Che non poteva finire altrimenti, se si pensa che dopo la rivoluzione il primo governatore della banca centrale si chiamava Che Guevara.

 

Marcello Bussi

(da Milano Finanza, 09/02/2008)


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