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Gianni Somigli. «Ma la Chiesa è un’altra cosa» 
Conversazione con Don Enzo Mazzi, della Comunità di Base dell’Isolotto
12 Marzo 2009
 

Eluana e il Vaticano. I diritti e il Vangelo. I politici e la magistratura. I sondini e le ingerenze. Beppino Englaro e il generale Cadorna. La finitezza della vita e la riappropriazione della morte. Il buio e un fiammifero. I valori e la violenza. Le domande e le risposte.

 

 

Sconvolto, nauseato, rattristato, incredulo. Così mi sento negli ultimi tempi. Un po’ come d’autunno sugli alberi le foglie. Frustato da folate gelide di ipocrisia, graffiato da raffiche di dichiarazioni politiche, vescovili, giornalistiche. Dibattiti presunti, confusione reale. Pressappochismo imperante. Domande e dubbi, tanti. Risposte poche, rarissime. Ma forzatamente salde, disperatamente radicate, come se ogni presa di posizione, ora da una parte, ora dall’altra, a mo’ di cacciavite dessero, una volta, poi una volta, poi un’altra ancora, una stretta per rinsaldarle, queste convinzioni maldestramente arruffate, disperatamente salde. Sorvolando sul giusto e lo sbagliato. Ignorando se quella luce che seguo sia un faro o una lucciola, un fuoco fatuo.

Le mode del momento sono segnate dalle parole. Espressioni che si appiccicano ovunque, almeno fino alla prossima moda, fino al prossimo momento, vomitate come titoli, medaglie al disvalore, etichette. Ultima moda, ultimo momento, ultima medaglia: “Libertà di coscienza”. Un po’ come: “Dialogo”. Un po’ come: “Riforme”. Parole. Contenitori lessicali senza contenuto.

Sconvolto, nauseato, frastornato. Mi chiedo: davvero succede tutto questo, ora e qui, nel mio Paese, un Paese civile, e occidentale, con un Governo “liberale”, baluardo di democrazia, di libertà, di cui esso è il Popolo... Ma com’è possibile? Dov’è lo scherzo?

Brancolo in un’aspra selva selvaggia e forte, in preda al dubbio e all’incredulità. Macino passi lenti e incerti. Inciampo. Sobbalzo. Ogni ramo nasconde domande destabilizzanti. Dal marcio dei tronchi fetidi non nascono foglie, ma minacciose e stridenti insinuazioni intellettuali. La situazione si aggrava, di ora in ora: vi prego, infilatemi nel naso un sondino, pretendo la somministrazione forzata di frasi sensate. Di sobrietà e di equilibrio.

L’epicentro del marasma si fissa intorno a una parola: ingerenza. Anzi no: Chiesa. Neanche: Fede. Forse, però. Perché nel buio della selva avverto che sì, è una parola, ma no, non riesco a distinguerla. È una parola e sono mille. Eccola là, la vedo, nascosta dietro le dita secche di ramo scarno. Una parola di mille parole. Cangiante. Cupa. Contenitore lessicale strabordante contenuti e contraddizioni.

Logica, mi dico. Ci vuole logica. Ma Fede e Logica si escludono a vicenda, per definizione. Eppure, ci sono proposizioni, non dogmi, ma prese di posizione, che per quanto mi ci arrovelli, rimangono paradossi. Indifendibili passaggi illogici che si basano sul nulla. Nemmeno sulla Fede.

 

Solo Dio decide quando finisce una vita”. Ma allora è Dio che ha messo un sondino nello stomaco di Eluana, attraverso il suo naso, non i medici? Non è stato l’Uomo, ma Dio? No, sai, perché invece a me pare Dio avesse già deciso diciassette anni fa.

E questo è solo uno dei paradossi che non riesco a spiegarmi. Sono ingenuo. In altri tempi mi avrebbero chiamato Candido. O Idiota.

Devo cercare qualcuno con cui parlare. Dicono che il confronto arricchisce. Credo che dipenda dalla persona con cui ci confrontiamo. Nel mio caso, dovrei trovare qualcuno che pensi. Che conosca le situazioni, che sappia come stanno le cose, ma che non parli “per partito preso”. Né per compiacermi.

Qualcuno che conosca i sentieri di questa selva oscura, dove non sono affatto solo, ma dove brancola una mormorante folla silenziosa: persone che si guardano in cagnesco, riempiendo gli angusti spazi col rumore di denti digrignanti e di urla: “Assassini! Assassini!”.

Mi guardo intorno. Cerco, scruto, guardo. Per quanto mi impegni, vedo solo bandiere sventolate, vessilli di colori diversi portati alti da una massa informe di personaggi di chissà dove, chissà quando.

Quando ormai mi vedo costretto all’eterno sonno della ragione irragionevole, leggo, su un sito o forse su un giornale, di un noto prete di Firenze, o meglio dell’Isolotto. Uno di quei sacerdoti che ti fa ancora voler bene alla Chiesa, almeno come concetto. Sì, ho deciso: è con lui che voglio parlare. È a lui che voglio porre le mie domande. E le mie domande sulle sue risposte.

Voglio presentarmi da lui, da uomo dubbioso, senza accondiscendenze reciproche, senza compiacimenti, senza preconcetti e pregiudizi.

È così che mi presento. Salve, don Enzo Mazzi (foto). Sono Gianni Somigli, giornalista, ma più di tutto sono uno che ha tanti dubbi e che cerca qualche verità intorno a cui costruire qualche certezza; verità, dico. Per ora va bene con la minuscola. Un passo alla volta.

 

Don Mazzi, tutti invocano il silenzio. Per me, è ipocrisia. Io sento come non mai il bisogno di parlare e di ascoltare. Ma ho le idee sempre più confuse. Ci sono ragionamenti che mi sembrano così illogici, ma che condizionano, anche contro la loro volontà e le loro credenze, la vita di milioni di persone. Pure la mia. Le posso esporre qualcuno di questi angosciosi e tormentati punti interrogativi?

Amo e apprezzo gli interrogativi. Fin dal Seminario, quando insieme ad altri, ad esempio don Lorenzo Milani mio compagno di banco, cercavamo spiragli di speranza nel granitico blocco della teologia dogmatica e pastorale. Ambedue abbiamo trovato ostacoli a non finire, ma anche una grande libertà, grazie all’incontro con tante persone in ricerca, oltre tutti i dogmatismi, sia religiosi che laici. È questa la comunità di base. Anche quella dell’Isolotto. Gente in ricerca tenendosi per mano.

Bene. Dunque: chi sceglie quando finisce la vita, Dio o l’Uomo?

Nella domanda non le sembra che ci sia un allineamento alla certezza, data per scontata sia nel dogma che nel senso comune, che Dio e l’uomo sono realtà separate e quasi contrapposte? Alla frase “Dio o l’uomo”, io preferisco “Dio e l’uomo”, e meglio ancora “Dio e l’uomo e la donna”. E implicita nella domanda vedo un’altra certezza: la separazione e contrapposizione fra la vita e la morte. Non sarebbe il caso di metterci un grosso interrogativo?

Ma sì, uno più o in meno non fa differenza ormai. Quale insegnamento devo trarre dalla storia di Eluana?

Che la morte fa parte della vita. Ecco il messaggio che ci ha offerto e continuerà a donarci Eluana. Beppino Englaro ha raccolto questa consapevolezza, quelle precise parole dalla figlia “nel pieno della giovinezza”, e ha speso la vita per liberare queste parole dagli impedimenti culturali, contribuendo a farle divenire senso comune, capaci di informare positivamente.

C’è una sottovalutazione, forse un’incomprensione, del messaggio di Beppino Englaro. La vita è sacra in quanto parte di un tutto in divenire, che comprende finitezza e morte.

La cultura sacrale, invece, separa la vita dalla sua finitezza. La vita viene sacralizzata come dimensione astratta, contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. Il Vangelo è un grande messaggio di liberazione dalla cultura sacrale (sacro = separato), che contrappone Dio all’uomo, la vita alla propria finitezza.

La finitezza fa parte della vita. Negare in atti pratici tale finitezza, prolungando una vita effettivamente finita attraverso quel famoso “sondino”, non è come sfidare Dio, negando una decisione divina?

Il sondino in sé è una cosa positiva: è una protesi. Ci sono pareri diversi se sia terapia medica o sostegno vitale. Ma per me questo è secondario.

Il sondino diventa sopruso etico, pratica violenta e accanimento terapeutico, se viene imposto dai medici o dalla legge. Nessuno può impormi con la forza di mangiare o di bere, col cucchiaio, con l’imbuto, tanto più col sondino. L’imposizione dell’alimentazione è una violenza inaudita, tanto più grave quando viene praticata a persone incapaci di difendersi.

Il problema nasce quando non si è in grado di rifiutare l’alimentazione forzata. Beppino Englaro ha testimoniato e dimostrato come la figlia, prima dell’incidente, avesse chiaramente manifestato la propria volontà di rifiutare l’alimentazione se si fosse trovata nella condizione di coma irreversibile o di vita vegetativa. Tutti i gradi della magistratura, che hanno indagato a fondo, gli hanno creduto. Certo, possiamo dubitare, perché anche la magistratura non è mica infallibile. Quello che non è giusto è però trasformare il dubbio in fanatismo: continuare a imporre a Eluana l’alimentazione con la forza sarebbe stata una violenza.

Don Mazzi, sicuramente è colpa mia. Sicuramente sono un ingenuo. Ma sembra solo a me, o tutte queste vicende hanno un odore di mera strumentalizzazione politica?

C’è la strumentalizzazione, certo. C’è però anche un’ancestrale paura della morte priva di positiva elaborazione.

Si parlava prima della finitezza della vita. Ma perché la Morte fa così paura? Mi chiedo e le chiedo: perché la paura della Morte è così utile, e a chi?

Siamo stati abituati fin da piccoli a considerare la morte come punizione per il peccato. Una specie di condanna a morte dell’umanità intera divenuta peccatrice, un’esecuzione capitale che solo Dio ha il diritto di eseguire. La mostruosità distruttiva della violenza nasce da lì, dalla mostruosità di quella “condanna a morte”, dalla violenta espropriazione della nostra responsabilità.

­– La invito a riflettere insieme a me. Credo alle parole di Bagnasco: la Chiesa non interferisce con la vita politica italiana, ha detto. Poi leggo di telefonate “tra le due sponde del Tevere”, di interventi, scomuniche e anatemi, di plausi al Governo e dispiacere per il Quirinale. Sono ingenuo, sì. Ma...

Il Vaticano è uno Stato in tutto e per tutto. Il papa è un monarca assoluto. In Italia, poi, è uno Stato nello Stato. La Chiesa è un’altra cosa. La Chiesa siamo tutti noi che scegliamo di esserlo. Ce l’ha insegnato il Concilio e prima ancora il Vangelo.

Politici, preti, papi, medici, attori, giornalisti, passanti: tutti, pur invocando il solito silenzio, hanno detto qualcosa su questa vicenda. Una vicenda al cui centro è stata messa Eluana. Secondo me, il vero protagonista, invece è Beppino Englaro.

Io mi sono fatto una mia idea. Un po’ romantica, magari tardo-risorgimentale. Per me Beppino Englaro è un vero eroe. Diciassette anni di battaglie. In confronto, Cadorna era un organizzatore di picnic, e Porta Pia fu una passeggiata di salute: oggi le cannonate vengono dall’altra parte della breccia. Qual è il suo pensiero verso il mio eroe, Beppino Englaro?

Trovo una mirabile consonanza fra il messaggio del Vangelo, o di altre religioni come il buddismo, e il messaggio di Beppino Englaro, che testimonia l’impostazione di vita di sua figlia. Ma la consapevolezza di Eluana non è piovuta dal cielo.

Nei tempi in cui lei era nel pieno della sua giovinezza, il tema della riappropriazione della morte come parte della vita stava diffondendosi sull’onda lunga dal vento del ‘68. Nell’archivio storico della Comunità dell’Isolotto, ho ritrovato un numero del Notiziario (251 – giugno 1990) dal titolo “La morte fra tabù e riappropriazione: il tema della morte nella Bibbia e nel percorso comunitario di ricerca esistenziale”.

Ci animava una sorprendente consonanza con i pensieri di una giovane Eluana: in quei tempi, aveva vent’anni. Col Notiziario, era riportata una poesia, scritta in occasione della morte di una cara amica, Pina, da un giovane della comunità cristiana di base di Pettorano sul Gizio, a noi molto vicina.

Tra l’altro, dice: «Vennero gli uomini dalla faccia rugata e dagli occhi insinceri. A regalare le scatole vuote con dentro l’estrema bugia: “Pina è morta”. Ci eravamo detti: “Quello che conta è non morire prima di morire. Non venderemo mai la vita per vivere”. Mai abbiamo dato retta. Mai abbiamo perso tempo a dare ascolto agli gnomi dagli occhi insinceri e la faccia mascherata da dottori, preti, maestri e senatori. Mai. Entrai ad ascoltarti ancora, nella stanza dove ti avevano rinchiusa durante l’agonia. “Non è questa la morte che mi fa paura, ma quella che mietono le mummie del potere”».

È una dimostrazione che l’elaborazione della morte come parte della vita e non come punizione per il peccato stava lentamente penetrando negli ambienti più aperti della società, sia laici che religiosi.

Il suo giudizio su Beppino è piuttosto simile al mio, allora...

La solidarietà verso di lui si esprime in forme di pietà umana per la sua sofferenza. La lucida consapevolezza di Eluana, testimoniata dal padre, portata con forza dentro la società, testimoniata e difesa anche a prezzo dell’accusa infamante di omicidio, legittimata dalla magistratura, obbliga l’etica tradizionale a interrogarsi. Ma, soprattutto, aiuta tutti noi, la società intera, nella nostra ricerca esistenziale, spirituale e religiosa.

Ci sono voluti quattrocento anni perché un papa, Wojtyla, riconoscesse che Galileo fu “sincero credente più perspicace dei suoi avversari teologi (cardinali e papi) in campo etico”. Eluana è tutti noi, è ogni donna e ogni uomo che cerca la liberazione.

Si dovrà aspettare altrettanto perché sia riconosciuto il grande illuminato amore per la vita insito nella scelta di Eluana e di suo padre, e perché sia scoperta la miopia dei loro avversari?

 

Eh no, don Mazzi, come dicono nei film polizieschi, qua le domande le faccio io. Anche se, le dico la verità: per me, se le cose vanno avanti (o indietro) di questo passo, non ci vorranno quattrocento anni ma almeno otto o novecento. A andare bene.


Ringrazio don Mazzi, mi congedo dopo la ricca e fitta chiaccherata. Non so bene se ho risolto i miei dubbi. Avverto però una sensazione leggera, come se fossi un po’ più ricco di prima.

Certo, non avrò la mappa che conduce a “riveder le stelle”, forse. Tuttavia, tra le mani stringo un bel fiammifero. Continuando a fare e a farmi domande, magari riesco ad accenderlo. E nel buio, magari, riesco a trovare il sentiero. A uscire da ‘sta cavolo di selva. Con le mie gambe, con la mia testa, con le mie risposte.

 

Gianni Somigli

(da InformaFirenze, marzo 2009)


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