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Gianluca Moiser. Alla madre di un eroe 
Lettera con nota poetica di P. Garofalo apposta al suo ritrovamento
09 Luglio 2015
 

A coprire angoli oscuri

figurai per te

o per me?

un mondo di bugie.

lacrime, sorrisi.

Assolata la terra

A te che fiorivi

da un’agave accartocciata.

Oggi non so più quando avvenne

Da allora è stato sempre inverno

 

Patrizia Garofalo

 

 

 

Alla madre di un eroe

 

All’inizio era un gioco fantastico, come quando ero bambino, ricordi? I buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Batman contro Jocker, i soldati del nostro esercito contro i nemici, i supereroi dello spazio contro gli invasori stellari provenienti da una galassia lontana, da annientare per salvare il mondo.

Volevo essere un eroe.

E tu eri fiera di me, sentivo il tuo orgoglio. Eri fiera del figlio che partiva per una missione militare e che sembrava uscito dalle pagine del libro di storia o da un film d’azione: soltanto diciannove anni e tanto coraggio da lasciare la famiglia, la città, gli amici. Per la giusta causa, per la lotta contro il Male.

Ero talmente eccitato alla mia prima azione: tutto era stato perfetto, le bombe, posizionate da giorni, finalmente erano state fatte esplodere tutte insieme esattamente al centro della città. La sera abbiamo festeggiato. Eravamo ubriachi e non solo per la quantità di alcool che avevamo bevuto. C’era una tale gioia, non volevamo che quella giornata finisse. Ci sentivamo invincibili, eravamo dentro il nostro film e noi eravamo i protagonisti. Avevamo perso la cognizione del tempo e dello spazio. Ma non è difficile: qui non c’è tempo e lo spazio è indefinito. Ero stato tra i migliori, tra i più coraggiosi. Io.

Volevo esser un eroe. E adesso ero come Kratos o Guybrush.

Dopo un po’ di tempo, però, qualcosa ha smesso di funzionare. Erano passati mesi fatti di giorni tutti uguali. Ho cominciato a non capire più chi fossero i buoni e chi i cattivi, dove si trovasse il Male. Non era così quando giocavo da bambino. I nemici allora non avevano mogli, non avevano figli. Erano i cattivi, e basta. E poi i corpi degli uomini che bruciano non mandano questo odore, nei film. È un odore che non si dimentica, sai? E non impiegano così tanto a smettere di contorcersi, nei film, tutto finisce in pochi secondi. Qui no, o forse i secondi durano più a lungo, qui.

Ormai le marce, le azioni contro il Nemico sono diventate un ordine da eseguire che non ti fa dormire di notte. E allora ecco che scrivo questa lettera. Ma è solo un momento di debolezza, non voglio che tu ti vergogni di me. Quando tornerò dalla missione, tra pochi giorni, straccerò questo foglio in tanti pezzettini. Non voglio che tu pensi che io sia un debole. Sarò ancora un eroe. Adesso nasconderò questa lettera in fondo al mio zaino e presto la butterò via, con tutti i miei dubbi.

Sai, ho portato con me la fotocopia di una pagina di un vecchio libro. Una riduzione de I miserabili di Victor Hugo. Me l’ha portata Francesco prima che partissi. Il libro doveva essere appartenuto a suo nonno o al padre di suo nonno. Era molto rovinato, dice. Sulla prima pagina, quella che mi ha dato, c’è un timbro con una scritta: “AI VALOROSI SOLDATI DELLA NOSTRA SANTA GUERRA INVIA IL COMITATO MILITARE 1918”. Non so quanto i soldati si siano svagati leggendo I miserabili, abbiamo detto ridendo, forse la Patria avrebbe potuto mandare loro qualcosa di più allegro. Francesco voleva prendermi in giro, voleva farmi divertire, diceva che magari avrei avuto fortuna e mi avrebbero mandato una copia di Guerra e pace. Era un libro destinato ai valorosi soldati del 1918, agli eroi della Prima Guerra Mondiale.

“La nostra guerra santa”. Non è strano? I nostri soldati uccidevano per una guerra santa.

Ecco di nuovo il senso di nausea, come sempre, quando sta per incominciare una nuova giornata. Alla sera spero di addormentarmi, cosa che non mi riesce mai subito, e di svegliarmi un giorno prima della partenza per la guerra, per potere tornare indietro, per riprendere il diploma e rispondere alla proposta di lavoro che ho scartato. O di non svegliarmi affatto. È stupido, vero?

Ricordi? Quando ero bambino e avevo paura mi dicevi che anche nella notte più scura ci sono le stelle che brillano, se non le vediamo è perché sono nascoste dalle nuvole ma dietro ci sono e torneranno a mostrarsi la notte dopo o l’altra ancora. Allora io mi sentivo meglio, chiudevo gli occhi e immaginavo le stelle brillare nel cielo. La loro luce era una certezza e dava coraggio a quel bambino.

Ogni mattina mi risveglio ma non è il giorno prima della partenza.

E il videogame ricomincia.

Volevo essere un eroe.

Ora non sono più sicuro di volerlo. Per essere un eroe bisogna sapere da che parte sta il Giusto. Oppure non chiederselo. Io ora non sono in grado di fare nessuna delle due cose.

Ma non voglio che tu e tutti gli altri mi consideriate vigliacco. Non voglio essere una delusione per te.

3.45: la missione inizia tra poco.

Ancora nausea. Che bambino, dirai tu!

Porto con me questo foglio, che nessuno leggerà mai, a meno che mi succeda qualcosa oggi. Ma forse è quello che spero, forse è la via d’uscita che cerco.

Non firmo questa lettera perché si firmano le lettere quando sono concluse, pronte per essere spedite, giusto? E questa non lo è. Questa lettera non è pronta. Io non sono pronto.

Non so cosa sperare che succeda.

 

Gianluca Moiser

 

P.S.

È ancora notte e stasera ci sono le stelle, con la loro luce. Ma ora non sono più un bambino e so che quella luce viene da molto lontano, viene dal passato. Impiega talmente tanto tempo per arrivare a noi che i corpi celesti che vediamo potrebbero non esistere più, adesso. La luce delle stelle è un’illusione, è un inganno, sai? E ti sei sempre sbagliata anche tu: quella luce appartiene al passato, non al presente.

E forse il presente, il mio presente, non ha luce.


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