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Diego Sabatinelli. È necessario dirsi anticlericali?  
In ogni caso... l’affermazione della laicità deve essere urgentemente riproposta quale priorità per le forze politiche di governo che ne hanno fatto la propria bandiera durante la campagna elettorale
29 Ottobre 2006
 

 

In quasi la totalità delle assemblee locali, ma anche nazionali, organizzate dalla Rosa nel Pugno a cui ho avuto il piacere di essere invitato a partecipare emergeva spesso un fastidio nei riguardi del termine anticlericale; si tendeva a ribadire che, sì, la battaglia per affermare la laicità dello Stato e delle istituzioni è quanto mai necessaria, ma questo non ha nulla a che vedere con l’anticlericalismo “radicale”.

A parte che, con rammarico direbbe il Papa, il termine è quasi sparito anche dal lessico radicale, se non per impegno di alcuni e la presenza di associazioni come anticlericale.net, mi domando perché poi ci si imbatte nel fiorire, a volte risorgere, di associazioni, gruppi e quant’altro s’ispira al pensiero anticlericale, tanto da “costringere” il Sindaco Veltroni ad istituire una consulta laica, direi per governare e controllare il fenomeno più che renderlo visibile e propositivo. Questa nutrita presenza è spiegata, ormai anche da ambienti molto vicini alla Chiesa, con l’affermarsi di un clericalismo quanto mai aggressivo, di una presenza invadente, e molto insidiosa, della gerarchia vaticana nelle questioni politiche del Paese, e nei media.

A questo punto si giunge a comprendere il doveroso risorgere del termine anti-clericalismo, opposizione al clericalismo, preoccupazione della costante e sempre più forte ingerenza della gerarchia della Chiesa nelle faccende dello Stato. Quel potere sulle cose della religione che, come ci ricorda in Chiesa padrona R. Beretta, è accaparrato all’interno dell’istituzione (la quale per alcuni diventa fine ultimo e sostanza stessa della Chiesa) da una casta, alla quale non si accede per elezione ma per nomina o cooptazione, potere che poi si estende anche a quanto di mondano ne è collegato; gestito secondo regole interne, senza renderne conto ai sottoposti, ai fedeli, pretendendo di detenere l’esclusiva del divino, amministrandolo come fosse proprio possesso.

Una prassi utilizzata dalla gerarchia che, riflettendosi all’esterno, trasforma la sostanza clericale in un virus pronto ad infettare gli altri corpi della società fin dai rapporti, senza incontrare d’altronde ostacoli nella politica. È la presenza della gerarchia all’interno dello Stato stesso che riesce ad imporre la coincidenza del peccato con il reato, peccato spesso desunto per artificiosa estensione dai “padroni della fede”, imposto per mera logica di potere, anche perché permette una presenza costante nel dibattito politico, e necessariamente anche in quello mediatico. Un potere che nel nostro Paese la politica concede volentieri per vedersi riconoscere quali portatori del messaggio vaticano, con la piazza dei “fedeli” organizzata e pronta a prendere parte al gioco politico con fischi o applausi, esattamente come fosse un raduno politico o sindacale, e in questo nuovo ruolo, con metodi fin troppo antichi, la gerarchia si appropria di questo potere senza alcun timore o pudore, costringendo la politica ad esami periodici di affidabilità e servilismo, potendo contare sul finanziamento “politico” e cospicuo dell’8 per mille con il quale può esercitare quella seduzione e quel potere coercitivo tipico degli ambienti clericali.

Ora questo atteggiamento di presenza costante su tutto lo scibile la gerarchia prova ad esercitarlo a livello internazionale tentando di transnazionalizzare le proprie storiche battaglie, ma come corpo clericale il rischio d’infettare i rapporti a livello globale evidentemente è dietro l’angolo. Anche in questo caso la tentazione di strattonare le tonache da una parte piuttosto che da un’altra è troppo forte, e forte è la convinzione che possa essere d’aiuto veder coincidere le proprie conclusioni con quelle a cui perviene la gerarchia per le grandi sfide globali a cui siamo impegnati. Ma può la transnazionalità delle relazioni, l’ambiente, la costante migrazione dal sud al nord del mondo, i problemi energetici, la scarsità delle risorse, la bomba demografica, il multiculturalismo, i conflitti ed il terrorismo, la difesa dei più elementari diritti umani e quant’altro ci coinvolge come esseri umani, ognuno con il proprio bagaglio, essere sfide affrontabili senza avere come valore base la laicità nei rapporti? Può la gerarchia della Chiesa cattolica, che si muove al proprio interno come all’esterno con logiche clericali, essere in grado di proporre soluzioni adeguate ad un mondo composto da diaspore culturali in cui la politica dev’essere basata su di una inclusività laica, più che sul confronto/scontro tra opposti dogmi? Recenti uscite vaticane, e risposte di uguale e maggiore gravità, ci inducono a pensare che questa presenza politica vaticana, nella migliore delle ipotesi, può solo portare ad una santa alleanza tra clericalismi oggi, e ad uno scontro feroce tra gli stessi domani. Ma anche in questo caso gli attori del gioco politico transnazionale confondono la coincidenza di alcune soluzioni prospettate dalla gerarchia vaticana con la possibilità di aver trovato un partner, anche solo temporaneo. Il problema che si parte da postulati diversi per fini divergenti viene eluso nella confusione dell’obiettivo da raggiungere, contaminandosi a vicenda si cercano disperatamente sponde chiaramente opposte. Il principio di precauzione, che dovrebbe coinvolgere le forze, o debolezze, ambientaliste in un necessario dibattito laico, viene ripreso per essere completamente stravolto, appunto nei suoi aspetti di dibattito laico, dalla gerarchia per poi essere utilizzato per finalità affatto diverse.

Presi dalla spasmodica ricerca di consenso e potere politico non ci si accorge che stesse soluzioni non portano a stesso risultato. Dirsi ed agire da anticlericali oggi mi sembra opportuno per evitare che questo virus clericale possa infettare completamente la politica e la società del nostro Paese, espandendosi a livello transnazionale nei rapporti tra Stati e sovranazionali. È urgente per il nostro Paese una continua lotta anti-clericale che affermi la laicità come valore fondante innanzitutto nella legislazione, che non sia mero compromesso tra i vari principi e dogmi, magari desunti da vaghe tradizioni, identità o radici comuni, che non affermi una questione etica che sia espressione di più parti in contrasto fra esse, ma sia inclusiva di tutte le parti, soprattutto minoritarie e del singolo individuo, promuovendo la libertà di esprimere se stessi, le proprie idee, i propri bisogni e obiettivi.

Dalla libertà di ricerca ai pacs la lotta anticlericale, anche se il termine non vi piace, per l’affermazione della laicità deve essere urgentemente riproposta quale priorità per le forze politiche di governo che ne hanno fatto la propria bandiera durante la campagna elettorale; uno dei pochi buoni motivi per cui vale la pena di far cadere i governi, di tornare all’opposizione, di manifestare in piazza, magari a partire da un prossimo 11 febbraio anti-concordatario. Una resa potrebbe significare, sì, un rischio per le generazioni future nei rapporti già enormemente tesi tra culture, religioni, radici, tradizioni ed aspettative diverse.

 

Diego Sabatinelli

(da Notizie radicali, 27 settembre 2006)


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