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Rosario Amico Roxas: "Giovanni paolo II". Memorie amiche (3)
Papa Wojtyla
Papa Wojtyla 
11 Aprile 2009
 

Solo i Grandi sopravvivono alla morte, per gli altri “in pulvere reverteris”, anche se hanno predisposto il proprio sacrario da trasmettere ai posteri.

La vita di Karol Józef Wojtyła ha riempito le pagine di numerosissimi volumi; fiumi di inchiostro non sempre utilizzati per raccontare il vero… ma non possiamo certo attribuire le responsabilità …all’inchiostro. Certo non fu tempestivo ad intervenire quando mons. Romero gli presentò la tragica realtà di San Salvador; forze occulte in Vaticano avevano predisposto la condanna della teologia della Liberazione, per cui non risultava possibile, né coerente, intervenire fosse anche solo in una omelia.

Mons. Romero fu ucciso mentre celebrava la Santa Messa, per segnare con l’oltraggio religioso la violenza assassina di quei poteri forti che si sentivano ostacolati dalle predicazioni del vescovo martire. Questa morte segnò l’itinerario di Giovanni Paolo II; preparò la grande enciclica Centesimus Annus nella quale espressamente sostenne le ragioni di quei teologi della Liberazione, che predicavano un Cristo povero, mendico, lacero, affamato, assetato, emarginato, come quei derelitti ai quali la predicazione veniva rivolta, ma era un Cristo consolatore e dispensatore di speranza colma d’Amore, quell’Amore che non attende di essere ricambiato.

Nel successivo pellegrinaggio in Argentina, sconvolta da una feroce crisi economica, dove il 10% della popolazione possedeva l’80% del patrimonio nazionale, non volle visitare gli orgogliosi palazzi del potere economico, ma si recò nelle favelas per cercare quel Cristo per il quale mons. Romero aveva sacrificato la sua vita. Volle incontrare i bambini che bivaccavano nelle strade, laceri, affamati, vittime di ogni forma di violenza; il suo gesto fu fuori da ogni protocollo e per questo fu vero: si sfilò l’anello pastorale, dono di Paolo VI, e lo diede ad un vescovo argentino perché si occupasse a trasformarlo in pane. Sull’aereo di ritorno confidò al suo segretario: “Come è possibile vivere una vita di fede quando non è dato poter vivere?”

Il resto della sua vita fu un intenso e continuo pellegrinare, portandosi addosso una croce appesantita dall’egoismo degli uomini; una croce che ha lasciato il segno di un itinerario umanissimo, coerente con le parole con le quali esordì al pontificato:

«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!»

Quelle parole hanno rappresentato il momento più alto e fondatore di una diversa cultura della Chiesa, ormai giunta a naturale maturazione, inaugurando la Sociologia del Nuovo Umanesimo.

Le contraddizioni successive non fanno altro che esaltarne e perpetuarne il ricordo.

 

 

Un Uomo venuto da lontano

(A Giovanni Paolo II)

 

Navigando nel vuoto dell’anima,

sconvolto da una solitudine irreale,

non mi sono accorto

quanto la barca del tempo

si era allontanata dalla riva della verità.

Porto sempre dentro di me un tatuaggio indelebile,

come un panico senza nome,

insinuato nell’incertezza,

dove la paura conserva

sempre il sapore dell’infanzia.

Ho vissuto senza tempo

con l’esaltata sensualità

che hanno solo i dannati ad un destino precario,

che temono anche i sogni

perché scoloriscono in fretta.

Sono stanco di avere paura

del tramonto che inghiotte il giorno,

del mare che termina nell’orizzonte lontano,

della folle utopia dei forti che genera mostri.

C’è un Uomo in mezzo a Voi

al quale non sono degno

neanche di annodare i legacci dei sandali.

Così Giovanni il Battista arringò la folla

quando Gesù si presentò per il battesimo nel Giordano.

Mi attanaglia la paura che quell’Uomo

non voglia più tornare in mezzo a noi.

 

Ma sei arrivato Tu,

venuto da lontano,

e, nuovo Cireneo,

Ti sei gravato della Croce

appesantita dall’egoismo degli uomini.

Ci hai guidati

lungo le stazioni dell’eterna Via Crucis

mostrandoci il vero volto del mondo.

 

Il volto della gente di Harlem,

dove il colore della pelle

discrimina la dignità.

Il volto dei disperati

che annegano nei nostri mari

alla ricerca di una vita vivibile.

Il volto degli eroi per caso

morti senza sapere il perché

in guerre che non hanno capito.

Il volto dei profughi

senza presente e senza futuro,

prigionieri di un passato ancestrale.

Il volto dei bambini

costretti a cucire i palloni di cuoio

alla periferia fatiscente di Islamabad.

Il volto dei bambini

stivati in orridi antri

dove annodano i tappeti a Jalalabad.

Il volto dei bambini

che raccolgono i favi di cacao

nell’entroterra di Abidjan.

Il volto dei bambini

costretti a diventare produttori e fornitori

di organi di ricambio.

Il volto dei bambini

armati come adulti

nel gioco della guerra vera in Liberia.

 

È la tragedia dei figli indesiderati

del mondo opulento,

ma Tu ci hai insegnato

che sono i figli prediletti di Dio.

L’autorità, il potere e l’egoismo,

precari come il tempo,

ballano con ogni singolo individuo

una danza di morte imbevuta di sangue,

lavata con fiumi di altro sangue,

per far prevalere la ragione dei forti.

 

Ora sei tornato alla casa del Padre,

ma morendo hai rinnovato

il miracolo della Resurrezione,

perché hai fatto risorgere l’Uomo

che soffre in ogni angolo del pianeta,

diventato, per un giorno, primo attore.

Il mondo dei vinti, dei disperati, dei derelitti,

il mondo della Speranza, della Fede, della Carità,

il mondo senza barriere,

il mondo che rifiuta le guerre ma deve subirle,

il mondo della solidarietà,

il mondo dei giovani che hanno pregato e cantato,

il mondo rimasto orfano,

si è stretto intorno a Te,

costringendo i potenti

a piegarsi e, forse, a meditare.

 

Non omnis morieris.

Hallau akbar.

Shalom.

 

Rosario Amico Roxas


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