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Claudio M. Radaelli. La nonviolenza a volte “funziona”, a volte no, ma funziona (senza virgolette) sempre
12 Settembre 2012
 

Nel suo corso sulla nonviolenza tenuto qualche anno fa all’università di Berkeley, il Professor Michael Nagler, ora al Metta Center for Nonviolence, ripeteva costantemente che esiste una regolarità empirica: la nonviolenza a volte “funziona” e a volte no, ma funziona (senza le virgolette) sempre; invece la violenza a volte “funziona”, ma non funziona mai (nonviolence sometimes “works” and always works, while by contrast violence sometimes “works” and never works).

Che cosa intendeva dire Michael Nagler con la sua regolarità empirica? Che se ci riferiamo agli effetti di breve termine, a quelli che sono i risultati immediati di un’azione politica, allora possiamo dire che la violenza a volte sembra davvero efficace, come del resto la nonviolenza. In questo senso, limitato e di breve periodo, possiamo dire che l’efficacia fra violenza e nonviolenza sembra, più o meno, la stessa. Quindi, possiamo dire che “funzionano” tutte e due in modo variabile, ma, attenzione, con le virgolette!

La nonviolenza fa il suo lavoro (it works, direbbe Nagler) sul contesto a cui viene applicata in modo abbastanza prevedibile, ma non sempre immediatamente visibile. Va sempre oltre il risultato di breve periodo dato che si propone soluzioni stabili e sostenibili. La violenza sembra spesso “risolvere” i problemi, come mostrato per esempio dalle prime fasi d’intervento degli alleati in Iraq. Spesso appare la soluzione di maggiore efficacia di fronte a una crisi, salvo il fatto che poco dopo ci troviamo davanti ad un’altra crisi, per “risolvere” la quale serve ancora maggiore violenza. Alla fine non abbiamo risolto niente, ma i costi di vite umane sono altissimi.

Se pensiamo invece all’efficacia di lungo periodo e a come i problemi vengono affrontati non con le pezze ma con veri e propri cambiamenti, allora possiamo parlare di come la nonviolenza funziona davvero e sempre, senza le virgolette. Spesso e volentieri questi effetti profondi e non visibili nel breve termine sono diversi dai risultati immediati e, talvolta, anche dalle attese di chi ha iniziato il Satyagraha. In questo senso possono essere effetti più o meno sorprendenti per tutti, ma sono sempre positivi in relazione alla risoluzione dei conflitti. La nonviolenza libera energia che va in posti che magari non avevamo neanche immaginato esistessero. Ci sorprende.

Abbiamo avuto un esempio della legge di Nagler proprio qualche giorno fa, quando Radio Radicale ha intervistato Luigi Vitali, parlamentare del PDL e Sotto-segretario alla giustizia nel governo Berlusconi, ora nella delegazione italiana al Consiglio d’Europa e relatore della risoluzione sui diritti umani nelle carceri nei paesi membri. Ragionando nel corso dell’intervista sulle prospettive del governo Monti, Vitali esclude la possibilità di un intervento del governo sull’amnistia. Vitali prosegue parlando delle resistenze nel PDL. Insiste dicendo che le condizioni della giustizia e delle carceri sono peggiorate. La giornalista di Radio Radicale allora gli chiede un parere sulla calma piatta delle forze politiche, ad eccezione dei Radicali. Sembrano non esserci attori politici che si fanno carico dei problemi – suggerisce la giornalista. A questo punto Vitali risponde istintivamente e vigorosamente che per nessun motivo si deve parlare d’insuccesso – neppure con riferimento alla situazione attuale e dei prossimi mesi di legislatura. Anzi, proprio l’esistenza di una campagna come quella dei Radicali ha creato tanti diversi percorsi di cambiamento individuale, per Vitali e per tanti altri, portando esponenti fieramente contrari a riflettere e in molti casi a cambiare idea sulla questione dell'amnistia. Vitali parla di un vero e proprio nesso di causa ed effetto, dicendo che senza queste iniziative (di Marco Pannella in particolare) non si sarebbero verificati questi percorsi di ri-definizione delle proprie preferenze sul tema – e osserva che le parole del Presidente Napolitano del luglio 2011 sono un fatto istituzionale che non si sarebbe verificato senza il pungolo radicale.

Ma dobbiamo andare oltre questa dichiarazione per capire come funziona la nonviolenza. Il Satyagraha ha generato una formidabile comunità carceraria. Ha unito nel metodo della nonviolenza prigioni dove era lecito aspettarsi rivolte violente, invece che una campagna esemplare, ancorata al metodo. Ha ostinatamente tenuto il conto dei suicidi in carcere, e pubblicato dati che sono incontrovertibili sull’affollamento. Ha anche unito i carcerati alle guardie di custodia, ai direttori di stabilimento penitenziario, ai penalisti e alle loro rappresentanze, fino ai parlamentari impegnati: una sola forza compatta di migliaia di combattenti nonviolenti. In questo percorso il Satyagraha ha anche (e tipicamente, per chi sa come funziona la nonviolenza) trasformato il conflitto a somma zero fra carcerati e chi si occupa della loro custodia in una situazione a somma positiva. Ha infine prodotto nel luglio dello scorso anno quello che probabilmente è lo sciopero della fame di massa più grande in assoluto in Europa. Tutti questi risultati non sono sotto-traccia, sono molto visibili e documentati, anche contati, computabili in cifre e tabelle.

Certamente sono effetti diversi da quello di avere prodotto una legge sull'amnistia qui ed ora. Ma il loro valore, in prospettiva storica, fornisce una spinta formidabile – e un ambiente, una cultura diffusa, un livello di persuasione, un metodo necessario per arrivare all'amnistia per la Repubblica – che richiede, appunto, un’azione prolungata del tempo, e non si riduce al conto della spesa dei risultati ottenuti in un mese o in quello dopo. La quale, tipicamente per un Satyagraha, propone soluzioni stabili e sostenibili nel tempo: quindi, amnistia come leva archimedea per liberare risorse necessarie per affrontare la questione giustizia. Amnistia come condizione necessaria per rimuovere leggi ‘carcerogene’ cioè che producono strutturalmente un numero eccessivo e ingiusto di carcerati, come le leggi sulla droga e sull’immigrazione. Questa impostazione differisce da quella classica dell’indulto come soluzione di breve periodo, che lascia respirare per qualche anno ma, passati gli effetti di breve, ripresenta il problema in forma aggravata.

Resta una domanda a cui non abbiamo risposto. Ma come sarà mai possibile che la nonviolenza funzioni sempre (senza le virgolette)… mentre sappiamo che la violenza non funziona mai? Torniamo a Nagler. Poiché la violenza ha una carica distruttiva e concepisce il concetto come gioco a somma zero (io vinco ma tu devi perdere), essa lascia sempre nella società un residuo negativo. La coercizione non tocca la radice dei problemi, ma sopprime la possibilità di articolare domande politiche. La nonviolenza invece parte da una visione del conflitto come gioco a somma positiva (possiamo creare le condizioni per stare bene tutti e due, sia tu che io). Usa la persuasione invece che la coercizione. Modificando le preferenze, taglia il conflitto alle radici – nel mondo dei Radicali è molto conosciuta l’espressione di Pannella per cui in conflitti nonviolenti si convince - ovvero con-vinciamo, vinciamo insieme. Il Satyagraha, proprio per il modo in cui opera, libera forze che sono intrinsecamente costruttive, che cercano unità invece che odio e dis-unione. Sono forze che possono generare effetti che, come dicevamo, sorprendono anche chi ha iniziato a offrire nonviolenza, ma che, per concludere con un’altra frase cara a Pannella, hanno nella durata la forma delle cose. Questa differenza fra “funzionare” e funzionare non va sottovalutata in questa fase della campagna amnistia per la repubblica.

 

Claudio M. Radaelli

(da Notizie Radicali, 10 settembre 2012)


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