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Carmelo Aliberti. Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima 
Nota a margine di Giuseppina Rando
06 Aprile 2015
 

Carmelo Aliberti

Fulvio Tomizza

e la frontiera dell’anima

Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2014
2ª ed., pp. 172, € 18,00

 

I cultori della letteratura italiana dovrebbero essere grati al critico Carmelo Aliberti per avere dato loro, con la pubblicazione dell’opera Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima, una visione completa della produzione dello scrittore triestino, ritenuto uno dei maggiori del Secondo Novecento italiano e spesso indicato come esponente della cosiddetta “letteratura di frontiera”.

Fulvio Tomizza è nato a Giurizzani, località nei pressi di Materada (Istria ) nel 1935 e morto a Trieste nel 1999. Nutrito di cultura mitteleuropea e direttamente coinvolto nelle vicende dell’annessione dell’Istria alla Jugoslavia, nei suoi romanzi «rappresenta il dramma dello scontro tra due culture: quella orientale e quella occidentale di cui» osserva Aliberti «rimangono vittime, sia lo scrittore che la comunità a cui appartiene, quella istriana, insieme condannati dalla Storia a subire il disperato dramma della diaspora».

E proprio per aver vissuto il dramma della diaspora, forse è riduttivo o improprio definirlo “scrittore di frontiera” tanto che Carmelo Aliberti nell’analizzare l’opera omnia, con acutezza e lucidità, focalizza l’attenzione su l’altra frontiera, quella dell’anima di cui riporta il dramma interiore dell’uomo e l’angoscia che per tutta la vita lo ha tormentato e infine consegnato alla morte a soli 64 anni.

Come scrive giustamente Jean Igor Ghidina nell’introduzione ...la vera frontiera, anzi la lacerazione è quella che assilla l’esistenza umana… Tomizza conferisce alla sua produzione un risvolto universale che esula da qualsiasi microcosmo racchiuso in un tropismo meramente locale.

Un lavoro certosino di pregevole valore storico-letterario questo di Carmelo Aliberti che esamina, una ad una, tutte le opere di Tomizza dalla “Trilogia istriana” che comprende i romanzi Materada, La ragazza di Petrovia, Il bosco delle acacie a La città di Miriam e La miglior vita (Premio Strega) e tantissimi altri romanzi, racconti, opere storiche e teatrali.

Chi ha letto solo qualche libro di Tomizza, scopre così che egli è stato un narratore «ubertoso, capace di plasmare un’opera multiforme, non solo ligia al romanzo riecheggiante spunti autobiografici, ma foriera perfino di una scrittura fantastica ed onirica» (Ghidina).

Carmelo Aliberti, sottile critico, nella disamina delle opere non coglie soltanto le sfumature della personalità dello scrittore, ma stabilisce, molto opportunamente, anche «accostamenti del mondo contadino di Tomizza ad opere e tecniche narrative similari come a quello toscano di Tozzi, quello piemontese di Pavese, quello sardo di Dessì etc.»

Significativo anche il confronto con i “vinti” del Verga de I Malavoglia, dove se diverso è l’ambiente, affine è da considerarsi il mito della “roba”, il valore della civiltà contadina, e quel “sentimento della sconfitta, imposta dall’inesorabilità del destino”.

Leggere Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima, inoltre, è come intraprendere un viaggio tra le ideologie e i totalitarismi della seconda metà del Novecento che segnarono sia la microstoria (pensiamo all’amara quando non tragica vita della povera gente sotto quei regimi oppressivi, sanguinari e liberticidi) che la grande Storia. Il percorso inizia dall’adolescenza del triestino al cui svolgersi Aliberti dà il sapore del racconto di chi va alla scoperta di una realtà per molti aspetti misteriosa: si sofferma sulla formazione del giovane, su ciò che lo ha ferito e su come egli stesso ha saputo curare la ferita, sul suo amore per la giustizia e la verità, sulla “sanità dei suoi sentimenti” dimostrati fin da ragazzo come affiora dalla novella Natale ’42: perché sparare alle stelle? In questo racconto – scrive il critico – si manifesta un grande «desiderio di pace... Quella pace che Tomizza ricercò sempre sulla frontiera dell’anima e che forse ritrovò per poco nel divino miracolo di una nascita e nell’amore mai spento per la natura, vivente voce di Dio». Né lo abbandonò mai il desiderio di “comporre” ogni dissidio tra le diverse culture e soffri molto per la miseria dell’uomo, soffrì… perché costretto a vivere in una società alienata… e soffrì per la propria incapacità di comunicare ed essere capito dagli altri e perciò condannato ad una orgogliosa e disperata solitudine.

Nel cuore di questo libro, in sostanza, troviamo la crisi del Novecento, le sue luci, la sue ombre. L’autore attraverso l’opera di Tomizza scava le radici di quella crisi, anche le più lontane, ne scopre la genesi esistenziale e la insegue fino alla nostra storia più recente.

Tutta la produzione letteraria di Fulvio Tomizza, dunque, s’intreccia e si scontra con la vita e con la Storia e il critico Carmelo Alberti esalta le capacità dello scrittore di sapere ben “dire” del dolore come della bellezza, dell’amore come dell’abiezione.

Al lettore, presa coscienza dell’intrinseco valore della dimensione umana, etica e sociale dell’opera omnia del triestino, non resta che cogliere le contraddizioni talora tragiche della Storia e dei suoi protagonisti, capaci sì di esaltare l’umanità, ma spesso anche di offenderla gravemente.

 

Giuseppina Rando

 

 

 

Carmelo Aliberti è nato nel 1943 a Bafia di Castroreale (Messina), dove risiede, dopo la breve parentesi del soggiorno a Trieste. Docente di Lettere nei licei, cultore di letteratura italiana presso l’Università di Messina, nominato benemerito della scuola, della cultura e dell’arte dal Presidente della Repubblica. Ha fondato le riviste Cultura Novecento e Terzo Millennio, giunta al quinto anno di pubblicazione, la rivista è di letteratura e di cultura varia e si occupa di approfondimenti e ricerche. Vincitore di numerosi premi, ha pubblicato i seguenti volumi di poesia: Una spirale d’amore (1967); Una topografia (1968); Il giusto senso (1970); C’è una terra (1972); Teorema di poesia (1974); Il limbo la vertigine (1980); Caro dolce poeta (1981, poemetto); Poesie d’amore (1984); Marchesana cara (1985); Aiamotomea (versione inglese del prof. Ennio Rao, Università North Carolina, U.S.A., 1986); Nei luoghi del tempo (1987); Elena suavis filia (1988); Caro dolce poeta (1991); Vincenzo Consolo, poeta della storia (1992); Le tue soavi sillabe (1999); Il pianto del poeta (con versione inglese di Ennio Rao, 2002). Inoltre, di critica letteraria: Come leggere Fontamara di Ignazio Silone (1977-1989); Come leggere la Famiglia Ceravolo di Melo Freni (1988); Guida alla letteratura di Lucio Mastronardi (1986); Ignazio Silone (1990); Poeti dello Stretto (1991); Michele Prisco (1993); La narrativa di Michele Prisco (1994); Poeti a Castroreale - Poesie per il 2000 (1995); U Pasturatu (1995); Sul sentiero con Bartolo Cattafi (2000); La narrativa di Carlo Sgorlon (2013). Testi, traduzioni e interviste a poeti, scrittori e critici contemporanei; Poeti siciliani del Secondo Novecento (vol. 1° nel 2003 e vol. 2° nel 2004); Poeti Siciliani del Terzo Millennio (2005); Letteratura siciliana contemporanea. Da Capuana a Verga, a Quasimodo, a Camilleri (2008).


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