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Mario Lucchini. Unioni civili
23 Gennaio 2016
 

Chiamarle così sembra un insulto alle altre unioni che, per contrapposizione, dovrebbero essere “incivili”. Oppure, smettendo di celiare, civile significherebbe “unioni laiche” mentre le altre unioni, come per esempio il matrimonio eterosessuale sancito dal diritto sia canonico che non, sarebbero “sacre”.

Distinzioni barocche, che non temerei di chiamare incivili perché non degne di un paese di diritto.

Infatti ogni forma di unione finalizzata alla convivenza e al reciproco sostegno è in qualche modo rispettabile e sacra, perché riflette la volontà di individui, sia che siano maschi o femmine, un maschio e una femmina, due maschi, due femmine e così via. Mettere distinzioni per cui un’unione vale più di un’altra è, questo sì, incivile. Significa in qualche modo sancire una differenza per cui gli eterosessuali sposati sono di più (più sacri, più degni, più civili) degli omosessuali uniti (non si vuole stupidamente in questo caso parlare di matrimonio). È una grave violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini, comunque la mettiamo.

Ci sono anche altre unioni (convivenze) che sono degne di rispetto e dovrebbero avere diritti. Come per esempio la convivenza di un padre o di una madre con un figlio, oppure la convivenza di due fratelli o sorelle. Il riconoscimento di diritti significherebbe un privilegio nell’asse ereditario e soprattutto il diritto alla pensione di reversibilità che permetterebbe all’unico che sopravvive di campare. Ma per ora non formuliamo ipotesi avanzate ché la nostra cultura e il nostro diritto sono fermi ancora al riconoscimento dei diritti delle coppie.

Sappiamo che in questa materia è la Chiesa e sono i cattolici che ritardano tutto. L’Italia è infatti l’unico paese europeo su 28 a non avere ancora una legge sulle unioni “civili”, anche blanda, anche limitata a un semplice riconoscimento delle unioni eterosessuali fuori dal matrimonio. Il perché è oscuro, è solo tradizione, è solo conservazione pura.

Infatti, per quanto ne dica il Papa - mi dispiace perché ammiro molto Francesco - non c’è un comandamento divino, una affermazione evangelica che sancisca come unica unione possibile quella eterosessuale. Il tema sessuale è praticamente inesistente nel Vangelo. Si parla di adulterio, ma Gesù perdona l’adultera e la lascia libera. C’è l’affermazione citatissima di “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito” che sembra (dal contesto evangelico di Marco) una difesa della donna dal ripudio, più che una difesa tout court del matrimonio eterosessuale. Infatti era diffuso il costume del ripudio, che era un divorzio vero e proprio, anche se mascherato da ragioni ereditarie.

Il contesto culturale in cui agiva Gesù non permetteva certo di parlare di unioni omosessuali e infatti Gesù non lo fa, l’avrebbero lapidato. E Gesù è fedele al suo proponimento di osservare la legge giudaica. Ma questo non significa affatto che ci sia una proibizione “divina” di unioni sessuali diverse.

Ma il Papa sa bene che la cultura si evolve e si evolverà sempre e che la Chiesa deve tenerne conto. Come, se vuole sopravvivere, la Chiesa cattolica dovrà fare i conti con la negazione del sacerdozio agli uomini sposati e alle donne. Non ci sono ragioni per sostenere oggi questa clausola del diritto canonico risalente al Concilio di Trento. Qui non c’è dogma di Fede, qui non c’è legislazione divina. C’è solo pervicace volontà del legislatore cattolico, maschilista e misogino. Ma alla fine la Chiesa, dietro il collasso di vocazioni, si piegherà e riconoscerà ciò che esige essere riconosciuto. Ma è stupefacente questo ritardo costante della Chiesa, questo “remare contro” la cultura moderna, che, nonostante tutti gli sforzi, la fa apparire reazionaria e arroccata al vecchio. Mentre, in campo umanitario e sociale, è all’avanguardia. Una contraddizione che va risolta, che non può continuare ad esistere.

Non ha senso poi, oggi, dopo il crollo del collateralismo politico, che ci siano forze in Parlamento che si parano dietro i dettami clericali. Lo Stato è laico, la Costituzione è il suo riferimento primo, non esiste altra guida.

Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 29 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Dove mai si parla di famiglia esclusivamente eterosessuale? Dove mai si sancisce che il matrimonio è solo quello eterosessuale? Il concetto di famiglia si è evoluto nella società e la Costituzione non può che tenerne conto.

 

Amoproust

(dal blog agesiquidagis, 23 gennaio 2016)


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