Dopo la “prepotente urgenza” del presidente Giorgio Napolitano, ora abbiamo “l’abisso tra la realtà carceraria e la legge” di papa Benedetto XVI. E che si tratti di una prepotente urgenza, e che vi sia un abisso tra quello che prescrive la legge e quello che accade, lo documenta ogni giorno la cronaca. L’ultima vittima è Antonio Caputo, assistente Capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Pordenone; si è suicidato nell’abitacolo della propria automobile, sparandosi un colpo con la sua di pistola di ordinanza. Non solo detenuti, dunque, come Pannella ci ricorda ogni volta che può farlo. E significherà pur qualcosa che l’unico uomo politico, l’unica forza politica che hanno ricordato Caputo siano stati Pannella, i radicali, con quel lunghissimo, assordante minuto di silenzio a Radio Radicale nel corso della trasmissione di “Radio Carcere”.
Nel solo 2011 è il quinto suicidio tra gli agenti della polizia penitenziaria: ormai è una tragica “Spoon River”, quella che si consuma: Avellino, Mamone Lodè, Caltagirone, Viterbo, Torino, Roma… In dieci anni, ci ricordano le organizzazioni sindacali, si sono tolti la vita un’ottantina di poliziotti penitenziari, un direttore di istituto, Armida Miserere, a Sulmona; e un dirigente regionale, Paolino Quattrone a Cosenza. Non è possibile collegare direttamente le volontà suicide a motivi di lavoro, ma non si può neppure escludere che l’ambito lavorativo, con il suo carico di disagio, sia estraneo a queste morti. Al pari dei detenuti, la comunità penitenziaria, di cui gli agenti di polizia sono parte integrante, vivono e patiscono infamanti condizioni di lavoro.
Venerdì prossimo i rappresentanti sindacali incontreranno il Ministro della Giustizia Severino, vedremo se e come questa questione sarà affrontata.
«Chiediamo al Ministro Severino», dicono i rappresentanti della polizia penitenziaria, «di farsi carico in prima persona di questo importante problema. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di appositi centri specializzati di psicologi del lavoro in grado di fornire un supporto agli operatori di polizia può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile». E sembra una richiesta ragionevole e di buon senso, un primo passo verso quell’obiettivo che appare ancora lontano.
Ci sono poi i paradossi scandalosi. L’associazione Antigone fornisce dati che fanno riflettere. Riguardano carceri nuove e mai aperte, strutture che non hanno mai ospitato un detenuto; sono le “carceri fantasma”, 38 in tutto, costruite, spesso ultimate, a volte anche arredate e vigilate; e nonostante questo inutilizzate, in totale stato d’abbandono o nel migliore dei casi sotto-utilizzate.
L’elenco è lungo. Ad Arghillà vicino Reggio Calabria mancano solo la strada d’accesso, le fogne e l’allacciamento idrico che non è poca cosa evidentemente, ma per il resto è ultimato e dotato di accorgimenti tecnici d’avanguardia. Ma ancora più stravagante la situazione di Bovino, vicino Foggia: una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre.
Ad Accadia, sempre vicino Foggia, il penitenziario consegnato nel 1993, è di proprietà del Comune, mai utilizzato. Ad Agrigento, sei sole detenute occupano i 100 posti della sezione femminile. Ad Altamura, vicino Bari si aspetta ancora l’inaugurazione di una delle tre sezioni dell’istituto. Anche a Gela, provincia di Caltanissetta, esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto. Il carcere di Irsina, provincia di Matera, è costato 3 miliardi e mezzo di lire negli anni ‘80, ha funzionato soltanto un anno, oggi è un deposito del Comune.
Il carcere di Castelnuovo, ancora provincia di Foggia, è arredato da 15 anni e mai aperto. Il penitenziario di Codigoro, vicino Ferrara nel 2001, dopo lunghi lavori, sembrava pronto all’uso, ma a oggi è ancora chiuso. La casa di reclusione di Propani, vicino Catanzaro, è occupata da solo un custode comunale; a Frigento, provincia di Avellino, l’istituto è stato inaugurato e chiuso a causa di una frana. Il carcere di Galatina, vicino Lecce, è totalmente inutilizzato. A Casamassima, provincia di Bari, il carcere mandamentale è stato «condannato all’oblio da un decreto del Dipartimento».
C’è poi il carcere di Licata, completato, e in attesa di collaudo. Quello di Mileto è stato ristrutturato e chiuso. Quello di Minervino Murge non è mai entrata in funzione. A Monopoli nell’ex carcere mai inaugurato, non ci sono detenuti ma sfrattati che hanno occupato abusivamente le celle abbandonate da 30 anni. Il carcere di Morcone è stato costruito, abbandonato, ristrutturato, arredato e nuovamente abbandonato dopo un periodo di costante vigilanza armata. Carcere fantasma anche quello di Orsara, dove è presente una struttura mai aperta. L’istituto di Pinerolo è chiuso da oltre dieci anni senza che sia stata individuata l’area ove costruirne uno nuovo. A Revere dopo vent’anni dall’inizio dei lavori di costruzione, è ancora incompleto, i lavori sono fermi dal 2000 e i locali, costati più di 2,5 milioni di euro, sono già stati saccheggiati. Il carcere di San Valentino vicino Pescara, costruito da quasi 20 anni, non ha ospitato mai alcun detenuto e ora è in totale stato di abbandono. A Villalba provincia di Caltanissetta, 20 anni fa è stato inaugurato un istituto per 140 detenuti, costato all’epoca 8 miliardi di lire, e che dal 1990 è stato chiuso e recentemente tramutato in centro polifunzionale.
Nel frattempo oltre 68mila detenuti sono stipati in carceri che ne possono ospitare non più di 44mila. E si parla di costruire nuove carceri. Questa la situazione. Questi i fatti.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 21 dicembre 2011)