Il bollettino telematico Ristretti Orizzonti, che meritoriamente monitorizza quotidianamente la situazione nelle carceri, ci informa che dall’inizio dell’anno a fine maggio si sono tolti la vita almeno venticinque detenuti e tre poliziotti; un'altra quarantina di detenuti sono morti per cause cosiddette “naturali”, che non si sa bene cosa possano essere, se è vero che in diciassette casi sono state aperte inchieste volte all'accertamento dei fatti. Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.800 detenuti di cui ben 650 per suicidio. Nello stesso periodo di tempo si sono uccisi anche 87 agenti di polizia penitenziaria. E poi le quotidiane vergogne di cui giornali e televisioni non si occupano, non fanno audience, non sono glamour. Come, per esempio, quel detenuto del carcere siciliano di Augusta che non ha potuto effettuare la dialisi perché il mezzo che lo avrebbe dovuto portare all’ospedale era sprovvisto di carburante. Nelle carceri italiane è difficile curarsi, i contagi sono all’ordine del giorno: casi epatite A, B e C; tubercolosi, dermofitosi, scabbia. Altissima la percentuale dei tossicomani e in aumento quella dei sieropositivi…
«Le carceri non sono alberghi a cinque stelle», dichiarò all’inizio del suo mandato di ministro della Giustizia il leghista Roberto Castelli (già: questo paese ha dovuto vedere anche questo! Ed è in predicato di tornarci, a riprova che si può tornare sul luogo del “delitto”). Ce l’aveva con il nuovo regolamento penitenziario che imponeva entro il 2005 l’adeguamento degli edifici penitenziari a parametri minimi di vivibilità: cose come il bagno separato dal resto della cella, la doccia e il bidet, una cucina ogni duecento detenuti… Siamo nel 2011, Nelle nostre prigioni sono stipati poco meno di 70mila detenuti in luogo dei 44mila. Il Sappe, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, ha diffuso cifre che avrebbero dovuto essere “sparate” con titoli da prima pagina, e indurre i parlamentari a chiederne conto con urgenza al ministro della Giustizia Angelino Alfano. Naturalmente non è accaduto nulla di tutto ciò. Si tratta di questo: nel solo 2010 ben 1.137 detenuti hanno tentato di togliersi la vita. Gli atti di auto-lesionismo sono stati 5.703; 3.039 i ferimenti. Oltre 36mila “i detenuti coinvolti in manifestazioni su sovraffollamento e condizioni di vita intramurarie”. Le morti per cause “naturali” in carcere 108, 55 i suicidi.
Ancora: le manifestazioni di protesta individuali hanno visto 6.626 detenuti fare nel corso dell’anno lo sciopero della fame; 1.553 detenuti rifiutare il vitto; 1.289 detenuti coinvolti in proteste violente con danneggiamenti e incendi. Le manifestazioni di protesta collettive contro il sovraffollamento e le condizioni di detenzione una trentina.
C'è un articolo della nostra Costituzione che non viene mai richiamato, se non da Rita Bernardini: è il comma 4 dell'articolo 13: punisce la violenza commessa sulle persone che sono private della libertà. Lo si dovrebbe ricordare a ogni apertura e chiusura d’Aula di Montecitorio e palazzo Madama, quell’articolo 13 comma 4, come si faceva con i magistrati veneti, ai quali si ricordava la sorte del Fornaretto, prima che si chiudessero in camera di consiglio: perché detenuti ammassati in meno di un metro e mezzo a testa – la Corte europea dei diritti dell'uomo ne prevede tre, l’ordinamento penitenziario sette – chiusi in cella a far nulla per 20 o 22 ore al giorno, non sono forse di atti violenza,di tortura?
Le carceri italiane sono un enorme discarica sociale e umana resa tale in modo particolare da due leggi criminogene come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. Vincenzo Muccioli, che dalle teorie legalizzatrici era stellarmente lontano, su una cosa era d’accordo con Marco Pannella: dopo aver “offerto” la comunità di San Patrignano per svolgere il congresso, pensate un po’, del CORA, gli antiproibizionisti radicali, gli disse: «Marco, al di là di tutto, una cosa deve essere chiara: un tossicodipendente in galera, questo mai!»
Una situazione, puntualizza Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, che dipende «da una legislazione schizofrenica, che non riesce a programmare l’intervento penale in maniera razionale, che pretende di dare risposte di tipo emotivo, simbolico a problemi di carattere sociale e quindi crea da un lato l’ingolfamento del sistema penale, dall’altro un affollamento del sistema penitenziario».
Per sollevare un velo su questa realtà accecante, Pannella ha ripreso, dopo una breve pausa, la sua lotta nonviolenta, accompagnato da migliaia di cittadini, detenuti e non, che sperimentano anche loro, per questo, l’essere silenziati, ignorati. Salvo poi esprimere disappunto e condanna se per squarciare il velo di indifferenza e silenzio si “inventano” iniziative che vengono bollate come prova di inguaribile esibizionismo e vocazione alla pagliacciata. Compito dei radicali – lo si dice sommessamente nella speranza, questa volta che nessuno si senta urtato e offeso – non è forse anche quello di essere esibizionisti e pagliacci, se l’esibizionismo e la pagliacciata servono a richiamare l’attenzione di tutti noi sul gravissimo problema del diritto costantemente violato e stravolto?
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 9 giugno 2011)