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Leonora Carrington. Surrealismo al femminile 
di Maria Paola Forlani
26 Gennaio 2021
 

Il Surrealismo, con le sue visioni oniriche scaturite dall’inconscio e il suo amore per l’irrazionale, è considerato uno dei movimenti artistici più significativi del Novecento. André Breton, Salvator Dalì, Max Ernest e Man Ray sono alcuni dei padri fondatori di quest’avanguardia artistica che, scaturita tra le due guerre, ha assorbito le irrequietezze della società europea e le ha incanalate in opere inquietanti. Se da un lato il surrealismo è stato un movimento all’avanguardia, antiborghese e aperto alle influenze delle culture non europee, dall’altro la sua visione del genere femminile era alquanto complicata e molto spesso regressiva e conservatrice, anche quando si autoproclamava rivoluzionaria e progressista. Per i surrealisti la donna era una creatura fantastica, affascinante ma incomprensibile e irrazionale: spesso era ridotta al ruolo di musa, sempre passiva, vista come oggetto, al massimo come strega, femme fatale o, più spesso, femme enfant, eterna bambina. Ma di donne artiste e surrealiste ce ne sono state molte e negli ultimi decenni, grazie al lavoro critico di studiose come Whitney Chadwick o dell’italiana appena scomparsa e tanto compianta, Lea Vergine, la storia di questo movimento è stata riscritta per dare il giusto rilievo a talenti come quelli di Frida Kalo, Leonor Fini, Dorothea Tanning e Claude Cahun.

Leonora Carrington è stata una delle artiste più influenti nell’orbita del surrealismo: i suoi quadri sono infusi da atmosfere fantastiche in cui animali e strane creature vivono a fianco di donne e uomini persi in paesaggi fantasmagorici che ricordano le allucinazioni di Hieronymus Bosch.

Nata in Inghilterra nel 1917 da una famiglia borghese – il padre era un imprenditore di tessuti e la madre un’irlandese cattolica interessata alla magia e al folclore – Carrington fin da giovane dimostra di rifiutare le tradizioni secondo cui era stata educata. La famiglia la manda in collegio e lei viene cacciata per ben due volte da due rigide scuole cattoliche e finisce a Firenze a studiare arte. Dalla madre eredita la passione per la magia e le storie fantastiche di scrittori come Mary Shelley, tra romanticismo e neogotico. Tornata a Londra, studia arte e si avvicina ai circoli del surrealismo, Breton la considera una musa, perfetto esempio di donna bambina, ma lei dichiara di non aver tempo per essere d’ispirazione ad altri, perché troppo occupata a ribellarsi alle convenzioni del suo tempo.

Nel 1937 Carrington conosce Max Ernst a una festa ed è amore a prima vista. La coppia – lei 17enne e lui 46enne – si trasferiscono a Parigi e poi nel sud della Francia, dove i due vivono in una casa di campagna che decorano con unicorni, sirene, cavalli e altre creature che spesso appaiono nelle opere pittoriche di Carrington. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Ernest viene arrestato e incarcerato due volte: prima dai francesi, perché tedesco, e poi dai nazisti, perché artista degenerato. Carrington, incapace di salvarlo e convinta da amici fugge in Spagna dove ha un esaurimento nervoso e viene ospedalizzata a Satander e curata con forti dosi di Luminal e dall’ansiolitico Cardiazal che le procura visioni estatiche e fissazioni paranoiche. È anche una talentuosa scrittrice e il racconto del suo tracollo nervoso è confluito nel romanzo autobiografico Giù in fondo.

Nel frattempo Ernst, in fuga a Marsiglia e senza una lira, non resiste alle avances di Peggy Guggenheim – anzi leggenda vuole che le sussurri all’orecchio: «Quando, dove e perché ti potrò incontrare?». La collezionista avrebbe risposto: «Domani alle quattro al Caffè de la Paix e sai benissimo perché…». Ernst sarebbe arrivato a New York su un aereo privato mandato dalla famiglia Guggenheim, mentre la povera Carrington, che la famiglia voleva spedire in un manicomio in Sudafrica, dopo mesi di peregrinazioni in Spagna e Portogallo, riesce a lasciare l’Europa nel 1942 grazie a un matrimonio di convenienza con un diplomatico e si trasferisce in Messico, dove vivrà fino alla morte nel 2011.

Come spesso accade, per le donne del surrealismo le avventure esistenziali sono assai più complicate di quelle dei celebri mariti. In Messico, dov’erano approdati tanti rifugiati politici, la Carrington inizia la fase più prolifica della sua carriera ma conduce finalmente una vita tranquilla: dipinge, lavora, ha due figli, e stringe una profonda amicizia con Remedios Varo, un’altra artista surrealista messicana con cui condivide la passione per il fantastico. Dalle opere di Carrington, Varo e di altre grandi pittrici in Messico scaturisce una versione peculiare del surrealismo, una versione femminile, si potrebbe dire, o un surrealismo degli antipodi, che oggi appare forse più in sintonia con i nostri tempi.

 

M.P.F.


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