e che ci fossero ancora i dinosauri
Ancora per le edizioni de “La Camera verde”, già presenti in precedenti note di questo spazio, è pubblicata Bianca come neve, libro che raccoglie testi di Michele Zaffarano e che nell’ossimorico connubio di leggerezza e densità mantiene la promessa contratta nel titolo. Volutamente scontato, privo di specificità e quasi tautologico, proprio il titolo del libro cela tutta una serie di focali attraverso cui riuscire a vedere quante “cose” ingannevoli siano oltre le parole e quali “cose” ingannevoli siano le parole stesse. Nel testo riportato in calce, e così negli altri testi del libro che alle volte assumono una disposizione orizzontale (arduo risulta parlare di verso e/o prosa per una scrittura che non rientra in un canone, se non quello determinato dall’autore) si assommano in forma elencativa una serie di “circostanze”, enunciate con la medesima intonazione, ma tutte diverse nella loro composizione e soprattutto per quanto attiene il rapporto di percezione soggetto/oggetto, così come la neve si compone di cristalli di ghiaccio tutti a forma esagonale, tutti differenti l’uno dall’altro. E come la neve viene prodotta dalla combinazione di pressione atmosferica e raffreddamento della temperatura, così questi testi, e il testo qui proposto, sembrano nascere dalla reazione tra una pressione emotiva indifferibile ed il raffreddamento del suo sfogo. Ecco che la critica al mondo esterno (una critica feroce e impietosa nei confronti del luogo comune, della categorizzazione, della pre-disposizione, del linguaggio stesso inteso come incubatore di tutti i difetti che l’uso, l’abuso e l’inerzia provocano senza il filtro di un’attenta auto-consapevolezza), la critica rivolta a sè in quanto organismo, o meglio elemento organico, del mondo esterno (dall’evidenza del luogo comune non è esente la propria quotidianità) ed una sorta di scetticismo che rischierebbe di assumere posa di cinica censura, vengono qui ribaltate non solo dall’inclusione dell’autore, come detto tra parentesi, nel luogo dei luoghi comuni, ma soprattutto dalla espressione del disincanto che rimane sullo sfondo a produrre apparentemente “frasi senza senso”. E invece il senso è stringente, serrato nelle maglie di una reazione che esplode nella direzione più istintiva e naturale che l’essere umano può opporre alla paura, al terrore o, peggio, alla rassegnazione nei confronti della propria esistenza. E’ il sogno, l’invenzione, il nuovo, proliferante incanto che, in assenza di reali vie di fuga, permette la dose di ossigeno sufficiente a dire ancora. Tanto più è consapevole e adulta la resistenza alla provocazione (che si riflette in una forma di provocazione uguale e contraria nella ripetizione della/e frase/i campionate dalla vita di tutti i giorni) tanto più si alza il livello di con-fusione tra le soggettività del testo (quella personale, quella impersonale, quella fittizia e quella plurale). La contraddizione, altro fondamentale strumento di disorientamento del lettore, è in parte controllata; proprio quando sfugge rivela e offre ulteriori momenti di “illuminazione” che ricordano gli esercizi verbali volti a provocare il satori (illuminazione) nella pratica zen. Testi, e questo testo, da leggere e ri-leggere alla scoperta dei rebus e paradossi che il linguaggio comune e il sotto-testo di presunta normalità nascondono continuamente agli occhi del lettore (sempre più distratto) di informazioni sempre più pre-configurate.
Giulio Marzaioli
buttarmi dal ponte
essere un re
abitare in una fattoria
avere una tarantola oppure mezzo scorpione
avere mezzo scorpione e mezza tarantola
avere uno stallo
buttarmi giù da un castello
guadagnare cinque milioni l’anno
essere un uccello
andare a fare una crociera
cane cavallo fata sole
topolino scoiattolo
gatto un pesce
la mamma orsetto
a letto
in spiaggia
un pesce
io te e il sole
giocare al dottore
essere un missile
che fosse sempre estate
stare con il mio gatto
che la primavera restasse per tutta la vita
essere uno del circo
e che ci fossero ancora i dinosauri
aiutare gli animali
avere un telescopio
andare in egitto
andare da mia sorella a monaco
stare nella giungla
salire sopra gli alberi senza farmi male
che tutta la gente fosse viva
un letto di cedro
Michele Zaffarano è nato nel 1970 a Milano e vive a Roma. Suoi testi sono apparsi su varie riviste in Italia, Stati Uniti, Francia, Svezia. Per La Camera Verde sono usciti: E l’amore fiorirà splendidamente ovunque (2007), Il culto dei feticci nell’Italia contemporanea (2007), A New House (2008), Bianca come neve (2009). Come traduttore dal francese (Denis Roche, Jean-Marie Gleize, Claude Royet-Journoud, Olivier Cadiot, Christophe Tarkos, Jean-Michel Espitallier, ecc.) ha collaborato con «Testo a fronte», «Exit», «Nuovi argomenti», «L’Ulisse», «L’immaginazione». Dirige la collana «chapbooks» (ed. Arcipelago, Milano). È redattore di www.gammm.org. Si occupa di installazioni sonore.
Bianca come neve
è edito da “La Camera Verde”.
Per informazioni
lacameraverde@tiscalinet.it
tel. 340.5263877