Carlos Carralero nasce a Puerto Padre, nell’oriente cubano, rimane orfano, viene reclutato dall’esercito, comprende che la sua strada è la lotta per i diritti umani e per questo combatte da anni per denunciare gli orrori del regime castrista. Si scontra con i servizi segreti cubani, viene estromesso dal posto di lavoro, perseguitato, arrestato più volte e isolato nelle carceri di massima sicurezza. Per evitare guai peggiori per sé e per la famiglia ripara in esilio. Vive a Milano dal 1995. Carralero usa la letteratura per far capire al mondo gli effetti perversi del regime totalitario cubano. La sua opera è pubblicata, tra l’altro, in Spagna, Stati Uniti e Puerto Rico. Tra i vari titoli ricordiamo: Réquiem per Saturno, Autobiografia para un Siglo Indiferente e la breve raccolta di poesie Hijos de Saturno. In Italia ha pubblicato Saturno e il gioco dei tempi (Spirali, 2008 – con testo spagnolo a fronte). Sta lavorando a un saggio sulla personalità e sulla storia violenta di Fidel Castro. Presentiamo una sua bella lirica commentata con sapienza critica da Patrizia Garofalo.
Gordiano Lupi
Processo alla mia storia
A mio padre caduto alla ricerca
della dignità e della democrazia rubata
Tu che scopristi il sole nascere
dalle viscere di Venere e Marte,
fosti testimone del primo balbettio
e carezzasti il sogno infantile
della divinità cosacca.
Presenziavi il godimento
del piccolo cacciatore
al veder precipitata la preda
bersaglio della fionda.
Tu, notte dopo notte, hai osservato
il rito magico
di potenti braccia cullando il cucciolo.
Tu presente l’ultima notte
vedesti Venere partire
poi la portasti:
muraglia abbattuta
e hai bevuto dalla sua carne l’ultima
goccia benefattrice
non ti sei fatto giustizia.
Carlos Carralero
(la traduzione è dello stesso autore)
Versione originale
Juicio a mi historia
Tu que descubriste al sol naciendo
de la entrañas de Venus y Martes
fuiste testigo del primer balbuceo
y acariciaste el sueño infantil
de la divinidad cosaca.
Prsenciabas el goce
del pequeño cazador
al ver precipitada la presa,
blanco del tirapiedras.
Tu, que noche tras noche
has observado el rito mágico,
de potentes brazos acunando al cochorro.
Tu, presente la última noche.
Viste a Venus partir;
después la llevaste: muralla derribada y
bebiste de su carne la última
gota benefactora,
no te has hecho justicia.
Le etnie dei forti
Sevcenko dal carcere di Mosca scrive, nascondendo i versi dentro lo stivale: «Così per me scorrono gli anni/ mi è indifferente. Adorno/ I miei libri e li riempio/ Di versi. Distraggo la mia testa/ E forgio le catene/ (se questi signori lo scopriranno)/ Mi crocifiggano pure/ Ma non mi corico/ senza versi...».
Carralero come Sevcenko, sangue di Kazak (uomo libero) nelle vene, nasce dall’unione della bellezza e della forza inscindibili per credere, lottare e morire con dignità e per la dignità. La lirica diventa rivisitazione di una Venere generatrice di energia e di un Marte eroe della libertà, miti e quindi, fuori dal tempo e dal luogo, eredità perenne per chi resta che potrà gloriarsi di essere stato partorito da quell’unione propulsiva dalla quale non potrà essere abbandonato. Suo padre aveva accompagnato dalle «viscere» della nascita i suoi balbettii, lo aveva cullato con forti braccia nel rito magico della cantilena confortato dal canto di Venere fecondatrice fino all’ultimo bagliore, bevendone dalla carne fino all’ultimo goccio. Il lascito si fa parola poetica, «non ti sei fatto giustizia».
Caduto alla ricerca della libertà, la terra più vasta della memoria ospiterà il ricordo-presenza del padre per il quale la dignità della morte suona, concetto apparentemente opposto come perdono-condanna, comprendere la storia è perdonare ma anche vendetta silenziosa.
Krasnov scrittore cosacco contro la dittatura russa (altrimenti la parola cosacco suonerebbe di difficile interpretazione) scrive «verrà nel perdono la vendetta dei figli per i loro padri e per la loro patria, la vendetta per l’umanità».
Patrizia Garofalo