Telluserra
Carlos Carralero. La poesia struggente di un esule cubano 
1 – Processo alla mia storia
Guercino,
Guercino, 'Venere, Marte e Cupido' 
26 Luglio 2008
 

Carlos Carralero nasce a Puerto Padre, nell’oriente cubano, rimane orfano, viene reclutato dall’esercito, comprende che la sua strada è la lotta per i diritti umani e per questo combatte da anni per denunciare gli orrori del regime castrista. Si scontra con i servizi segreti cubani, viene estromesso dal posto di lavoro, perseguitato, arrestato più volte e isolato nelle carceri di massima sicurezza. Per evitare guai peggiori per sé e per la famiglia ripara in esilio. Vive a Milano dal 1995. Carralero usa la letteratura per far capire al mondo gli effetti perversi del regime totalitario cubano. La sua opera è pubblicata, tra l’altro, in Spagna, Stati Uniti e Puerto Rico. Tra i vari titoli ricordiamo: Réquiem per Saturno, Autobiografia para un Siglo Indiferente e la breve raccolta di poesie Hijos de Saturno. In Italia ha pubblicato Saturno e il gioco dei tempi (Spirali, 2008 – con testo spagnolo a fronte). Sta lavorando a un saggio sulla personalità e sulla storia violenta di Fidel Castro. Presentiamo una sua bella lirica commentata con sapienza critica da Patrizia Garofalo.

 

Gordiano Lupi

 

 

Processo alla mia storia

 

A mio padre caduto alla ricerca
della dignità e della democrazia rubata

 

Tu che scopristi il sole nascere

dalle viscere di Venere e Marte,

fosti testimone del primo balbettio

e carezzasti il sogno infantile

della divinità cosacca.

Presenziavi il godimento

del piccolo cacciatore

al veder precipitata la preda

bersaglio della fionda.

Tu, notte dopo notte, hai osservato

il rito magico

di potenti braccia cullando il cucciolo.

Tu presente l’ultima notte

vedesti Venere partire

poi la portasti:

muraglia abbattuta

e hai bevuto dalla sua carne l’ultima

goccia benefattrice

non ti sei fatto giustizia.

 

Carlos Carralero

(la traduzione è dello stesso autore)

 

 

Versione originale

Juicio a mi historia

 

Tu que descubriste al sol naciendo

de la entrañas de Venus y Martes

fuiste testigo del primer balbuceo

y acariciaste el sueño infantil

de la divinidad cosaca.

Prsenciabas el goce

del pequeño cazador

al ver precipitada la presa,

blanco del tirapiedras.

Tu, que noche tras noche

has observado el rito mágico,

de potentes brazos acunando al cochorro.

Tu, presente la última noche.

Viste a Venus partir;

después la llevaste: muralla derribada y

bebiste de su carne la última

gota benefactora,

no te has hecho justicia.

 

 

 

Le etnie dei forti

 

Sevcenko dal carcere di Mosca scrive, nascondendo i versi dentro lo stivale: «Così per me scorrono gli anni/ mi è indifferente. Adorno/ I miei libri e li riempio/ Di versi. Distraggo la mia testa/ E forgio le catene/ (se questi signori lo scopriranno)/ Mi crocifiggano pure/ Ma non mi corico/ senza versi...».


Carralero come Sevcenko, sangue di Kazak (uomo libero) nelle vene, nasce dall’unione della bellezza e della forza inscindibili per credere, lottare e morire con dignità e per la dignità. La lirica diventa rivisitazione di una Venere generatrice di energia e di un Marte eroe della libertà, miti e quindi, fuori dal tempo e dal luogo, eredità perenne per chi resta che potrà gloriarsi di essere stato partorito da quell’unione propulsiva dalla quale non potrà essere abbandonato. Suo padre aveva accompagnato dalle «viscere» della nascita i suoi balbettii, lo aveva cullato con forti braccia nel rito magico della cantilena confortato dal canto di Venere fecondatrice fino all’ultimo bagliore, bevendone dalla carne fino all’ultimo goccio. Il lascito si fa parola poetica, «non ti sei fatto giustizia».

Caduto alla ricerca della libertà, la terra più vasta della memoria ospiterà il ricordo-presenza del padre per il quale la dignità della morte suona, concetto apparentemente opposto come perdono-condanna, comprendere la storia è perdonare ma anche vendetta silenziosa.

Krasnov scrittore cosacco contro la dittatura russa (altrimenti la parola cosacco suonerebbe di difficile interpretazione) scrive «verrà nel perdono la vendetta dei figli per i loro padri e per la loro patria, la vendetta per l’umanità».

 

Patrizia Garofalo


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