Il giorno di Capodanno, nel TG1 di prima serata, l’attore Gabriele Lavia ha letto alcuni articoli della nostra Costituzione, saltandone ogni tanto qualcuno ed omettendo i commi più impervi. Ha concluso con l’art. 53, ricordando agli ascoltatori il dovere di concorrere alla spesa pubblica secondo la propria capacità contributiva. E non è certamente sfuggita ai cittadini più attenti la pubblicità istituzionale sul 60° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione. Sono apparsi sulla carta stampata articoli tratti dai suoi Principi Fondamentali, commi scelti con oculatezza, cercando di pesare idea e sostanza, leggibilità e valori.
Non so se questo distillato costituzionale metterà in moto qualche riflessione nei lettori, certo non potrà peggiorare la diffusa sensazione di un paese che appare, sul tema, distratto, disinformato e dalla memoria piuttosto evanescente. Si potrebbe anche dire, con un certo cinismo, che se stiamo diventando più poveri e marginali forse siamo destinati – alla fine – a ritrovare lo spirito che animò i Padri della Costituzione nel primissimo dopoguerra; se invece stiamo andando incontro ad un futuro più roseo (mantenendo a debita distanza la Spagna e la Grecia) vorrà dire che questa Costituzione ha contribuito al formarsi di un Paese migliore.
La verità, più preoccupante delle due ipotesi precedenti, è che manca in larghi strati della popolazione la capacità di dialogo, in troppe istituzioni la consapevolezza del ruolo e in chi ci rappresenta il coraggio necessario per perseguire il bene comune nel rispetto della Costituzione. È per questa ragione che, se anche le statistiche ci premiassero, un cauto pessimismo è ormai d’obbligo.
Antonio Fiori