Pesaro – Ha aperto a Limoges, città della Francia sudoccidentale, capoluogo del dipartimento Haute-Vienne, la Galerie Bokoul René, sul prestigioso e storico Rond-Point Carnot. La galleria, che recentemente ha ricevuto un messaggio di congratulazioni e incoraggiamento da parte del Consiglio d’Europa, rappresenta la realizzazione di un sogno. Il sogno del grande artista di origini africane René Bokoul, profugo dal Congo dilaniato dalla “Guerra mondiale africana”, che ha trovato in Francia, paese che ha riconosciuto il suo genio, una seconda patria. René Bokoul, conosciuto come “il Picasso d’Africa” è uno dei più importanti artisti del nostro tempo. Rappresentante di punta della famosa scuola congolese di Poto-Poto, che già nel XIX secolo aveva anticipato le soluzioni artistiche del Cubismo, ispirando Picasso e Braque, prima del conflitto era uno degli artisti più richiesti in àmbito internazionale. I suoi capolavori furono acquisiti, fra gli altri, dal presidente della Banca Mondiale, dal presidente della Repubblica francese e dal re del Marocco. Gli furono riconosciuti il Premio del Presidente della Repubblica Francese e il prestigioso Premio Picasso.
Ho chiesto a René, che ormai da dieci anni è un mio fraterno amico e stretto collaboratore in azioni umanitarie internazionali, perché abbia scelto di aprire la sua galleria d’arte in questo difficile periodo. “La pandemia ha causato l’annullamento di tutte le mostre delle mie opere”, mi ha risposto, “che erano già programmate attraverso il mondo. Così ho deciso di anticipare i tempi e aprire la mia galleria d’arte. Come sai, era il mio sogno, non solo per esporre le mie opere, ma soprattutto per dare spazio e visibilità ad altri artisti, profughi come me. Ho a cuore fin dalla più giovane età l’arte dei perseguitati, degli esclusi, delle vittime. Nella Galerie Bokoul René prenderà vita questo progetto”.
La Galerie Bokoul René è unica nel suo genere e merita di essere sostenuta dagli amanti dell’arte e da chi ha a cuore i diritti umani, che sono le colonne della civiltà. René sta compiendo un lavoro simile a quello che ho svolto per anni e svolgo tuttora: il recupero di opere d’arte realizzate da pittori, scultori e incisori travolti dall’Olocausto. Un lavoro che evidenzia un enorme vuoto nella Storia dell’arte, la quale si troverà presto costretta ad affrontare l’enorme lacuna riguardante centinaia di artisti ebrei (e delle altre etnie massacrate dai nazisti) le cui opere recuperate devono uscire dall’oblio, a beneficio del sapere e della tradizione artistica dell’umanità. Un discorso simile va affrontato per l’arte dei popoli depredati e isolati dalle nazioni ricche e potenti del pianeta. La loro opera, la loro testimonianza esiste, ma è spesso costretta all’oblio a causa di sentimenti deteriori come l’intolleranza, la paura, l’odio, l’indifferenza. Senza gli ebrei della Shoah, senza i rom del Samudaripen, senza gli artisti del Triangolo rosa, senza le vittime delle grandi crisi umanitarie e senza i loro eredi, l’arte stessa è incompleta, imprigionata, immemore, ferita. Con questa premessa, mi auguro che la Galerie René Bokoul di Limoges – città d’arte nota ovunque per gli smalti champievé e le ceramiche o per aver dato i natali a Pierre-Auguste Renoir – possa diventare un prezioso punto di riferimento europeo e internazionale non solo per l’arte africana, non solo per l’arte “che non osa dire il suo nome”, non solo per l’arte contemporanea tout court, ma per la stessa civiltà.
Roberto Malini