Regia: Ingmar Bergman. Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist, Hilding Bladh. Montaggio: Carl - Olov Skeppstedt. Musiche: Karl-Birger Blomdahl. suono: Olle Jacobsson. Costumista: Mago. Direttore di Scena: Crals Ove Carlberg. Produttore: Rune Waldekranz. Produzione: Sandrewproduktion. Distribuzione: Sandrew Bauman Film. Distribuzione Italiana: Globe Film International. Origine: Svezia (1953). Durata: 92’. Fotografia: b/n. Titolo originale: Gycklarnas afton (La serata dei buffoni). Distribuito in Italia: 1959. Riedizione Televisiva: 1975. Interpreti: Čke Grönenberg (Albert), Harriet Andersson (Anne), Hasse Ekman (Frans), Anders Ek (Teodor), Gudrun Brost (Alma), Annika Tretow (Agda), Erik Strandmark (Jens), Gunnar Björnstrand (Sjuberg), Curt Löwgren (Blom), Čke Fridell (ufficiale), Kiki (il nano), Majken Torkeli (signora Ekberg), Vanjek Hedberg (suo figlio), Curt Löwgren (Blom), Conrad Gyllenhammar (Fager), Mona Sylwan (signora Fager), Hanny Schedin (zia Asta), Michael Fant (Anton), Naemi Briese (signora Meijer), Lissi Alandh, Karl-Axel Forssberg. Olav Riégo, John Starck, Erna Groth, Agda Helin, july Bernby, Göran Lundquist, Mats Hĉdell.
Una vampata d’amore – meglio sarebbe stato lasciare il titolo originale La serata dei buffoni – non è tra i film più noti e celebrati di Ingmar Bergman, contemporaneo a un capolavoro come Monica e il desiderio resta un po’ in ombra, ma la critica francese lo giudica una delle opere nere più riuscite del Maestro svedese. Bene hanno fatto la Ripley’s Film e Viggo Srl a riportare sul mercato il DVD di un’opera che in Italia non si apprezzava dalla edizione televisiva del 1975, successiva a quella cinematografica del 1959, visto che da noi Bergman è arrivato con sei anni di ritardo rispetto alla patria di origine. Un DVD realizzato da un master HD CAM in versione originale, fornito dal distributore internazionale NON STOP SALES AB, prezioso e imperdibile per un collezionista delle opere del regista svedese. La colonna italiana, non essendo più reperibile il negativo colonna, è stata masterizzata e sottoposta a pulizia digitale, a partire da un positivo di 35mm d’epoca stampato dalla Globe Film International per la prima distribuzione italiana del 1959. Non ci sono Extra, questo è il solo limite di un’importante operazione culturale.
Bergman scrive, sceneggia e dirige la storia di Albert (Grönenberg) è il direttore di un circo, stanco di tutto, persino del suo lavoro, separato dalla moglie – che rimpiange non per amore ma per la vita borghese – con una giovane amante (Andersson) che a un certo punto lo tradisce con un perfido attore di teatro. Bergman descrive da grande artista il rapporto logoro tra i due amanti, vissuto tra consuetudini e frasi fatte, gelosie e tradimenti, parole non dette e sogni di fuga. Il finale è molto triste, con Albert deriso e malmenato, dopo aver cercato di vendicarsi del rivale, non riesce neppure a suicidarsi e finisce per uccidere l’orso del circo. Tragedia ridicola, se si vuole, perché tutto torna al punto di partenza: il circo riprende il suo girovagare, Albert torna con la sua amante e la vita prosegue tra delusioni, rimpianti e inutili sogni di cambiamento. In fondo, nel breve volgere di una notte, l’uomo e la donna si sono traditi reciprocamene, perché il primo sarebbe tornato a vivere con la moglie, se soltanto lei lo avesse accettato. L’amante, invece, si è lasciata sedurre da uno squallido teatrante che l’ha ricompensata con un gioiello falso ed è andato al circo per deriderla. Bene ha fatto la critica francese a definire il film un’opera nera che mette in scena un’umanità dolente, incapace di cambiare la propria vita, una storia d’amore non convenzionale, dal contenuto introspettivo che anticipa i futuri capolavori. Un film ricco di immagini cruente, fotografia gelida in bianco e nero, soluzioni di regia originali (figure riprese negli specchi, in controluce), poetici piani sequenza e panoramiche di scogliere, prati e montagne che si specchiano nel mare. Romanticismo espressionista che non presta il fianco a sentimentalismi di sorta e a immagini consolatorie, ma sempre crudo e realistico, persino cinico e sadico. Attori straordinari, impostati secondo le regole del teatro, così come il cinema di Bergman resta sempre molto teatrale, anche se la fotografia di Sven Nykvist conferisce un respiro ampio e grande intensità agli esterni.
Bergman afferma nel libro autobiografico Immagini (Garzanti, 1992): «Il film è un tumulto, ma un tumulto ben organizzato. Lo scrissi in un piccolo hotel nei pressi di piazza Mosebacke, la camera era stretta, con una vista di chilometri sulla città e sulla rada. Dall’hotel si scendeva al teatro attraverso una scala a chiocciola segreta. La sera si udiva la musica che veniva dal palcoscenico della rivista. Di notte, nella sala da pranzo dell’hotel, gli attori e i loro bizzarri ospiti facevano festa. In quell’ambiente, in meno di tre settimane, nacque Una vampata d’amore, scritto di getto, dal principio alla fine, guidato dai demoni della gelosia. Qualche anno prima ero stato sconsideratamente innamorato. Con il pretesto dell’interesse professionale spinsi la mia amata a raccontarmi nei dettagli le sue sfaccettate esperienze erotiche. La specifica eccitazione della gelosia retrospettiva mi logorò, graffiandomi nelle viscere e nel sesso».
Possiamo dire che il film è una combinazione continua di erotismo e di umiliazioni, che parte dall’episodio di Frost e Alma – narrato in un breve flashback – per poi approfondire il sentimento sviscerando la stanca relazione tra Albert e Anne. Una vampata d’amore non fu accolto bene dalla critica, addirittura un critico svedese scrisse di rifiutarsi di valutare ocularmente l’opera del signor Bergman. Il tempo ha dato ragione al grande regista, perché il film è invecchiato benissimo e resiste con la forza del capolavoro al passare del tempo.
Gordiano Lupi