Echi, riflessi, rimandi. Acque, vetri, specchi. Apparenze. Il doppio, in tutte le sue suggestive implicazioni. La realtà che ci viene restituita: uguale e distorta (e, a ben meditare, non per questo meno autentica). Un gioco. Un gioco molto serio quello innescatosi fra gli scatti di Margherita Lazzati e gli autori del Laboratorio di lettura e di scrittura creativa della Casa di Reclusione di Opera che ne hanno interpretato le immagini fotografiche raccolte in giro per il mondo – i Grigioni della Svizzera, i grattacieli di Dubai che paiono fare il solletico all’empireo, Kensington Gardens a Londra, con il loro richiamo all’eterna vicenda di Peter Pan e alle isole che non ci sono (il bambino che ci abita...), e la fantasia di un’invasione aliena a Saint Paul’s Cathedral, Saint Germain des Prés, Forte dei Marmi after rain, la metropolitana di Berlino, nell’altrove dove dimorano nostre fedeli e sfuggenti copie.
Ombre, miraggi o fate morgane dell’obiettivo, gemelli d’aria e luce, che si tratti di manufatti tecnologici o di manifestazioni della natura, come la montagna dell’Engadina, il Piz Albana riflesso in una lamiera, con l’impressione del cielo tagliato e suturato da un’invisibile mano, l’azzurro intenso uno scarto di gioia panica, una punta di acuta nostalgia, e il senso del dolore della condizione umana riscattato da tanta bellezza, non artificiale nonostante l’inganno tecnico-visivo.
Il potere dell’illusione? Oltre quest’ultima, tuttavia, vive un mondo genuino, che non può fare a meno d’esser evocato, quel che suol dirsi l’essenza. Un mondo libero, ad aspettare “l’ancora del sole che rinasce dall’infinito”, dove ciascuno possa mettere la propria mano “in un’altra mano: perché la vita è sempre incerta”, ma “se ritraiamo la mano paghiamo in angosce”.
Oltre il gran valore estetico di questo Calendario 2013, che nella sua funzione pur ci ricorda l’implacabile e soave scorrere del tempo, il largo, talora impetuoso, fiume dei giorni, ciò che maggiormente colpisce e più ci rimane nell’anima è un sentimento di condivisione, l’empatia creatasi fra la fotografa e gli autori. Questa, sì, non finzione, ma verità umana, la più profonda.
Alberto Figliolia