«Ricco di vizi e virtù», così si definì Ugo Foscolo in uno dei suoi sonetti, e se guardiamo a tratti sommari la sua vita non possiamo che dar lui ragione.
Gli amori (a Luigia Pallavacini caduta da cavallo, ecc.), le illusioni della vita (innamorato della moglie di Vincenzo Monti o i suoi ideali che riteneva traditi), la morte in Inghilterra come esule e poverissimo, (dava per mantenersi lezioni d'italiano ad alcuni nobili e operava traduzioni), le esperienze politiche, come il trattato di Campoformio, 1797, la morte del fratello suicida (si legga In morte del fratello Giovanni) e l'inquietudine politica delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, ovvero la delusione politica (odio e amore tra la Rivoluzione e Napoleone -e poi il suo distacco definitivo dal grande Corso- di cui fu ufficiale valoroso).
Vive tra Illuminismo e Romanticismo, quindi tra rivoluzione e restaurazione, èra difficilissima in quanto di transizione.
In tale clima troviamo l'intima originalità della sua poesia che resta neoclassica comunque (ciò è chiarissimo ne In morte del fratello Giovanni, che risente di Catullo, il quale riesce a sostare, nel suo viaggio in Bitinia, sulla tomba del fratello, mentre a Foscolo non è permesso). Molti scritti sono stati evidenziati dai critici per accentuare la sensibilità moderna del Foscolo rispetto a quella di Catullo, senza dimenticare il paragone con Ulisse in A Zacinto). Ulisse è errabondo e mai nella sua patria, Foscolo allo stesso modo sofferente per il continuo vagare, suo malgrado
Foscolo aderisce al materialismo sensista (si nutre della filosofia di Locke, Hobbes e del sensismo e illuminismo francesi) che ammorbidisce comunque con la bellezza de I Sepolcri, opera molto lirica e musicale, però mai in contrapposizione con il suo modo di pensare laico: tutto è materia e divenire, solo nella memoria noi restiamo sempre eterni, da qui la bellezza consolatrice e il neoclassicismo. Le urne non servono ai morti in quanto dispersi nel divenire eterno della materia, quanto ai vivi. Da qui la funzione della poesia come insegnamento che spinge gli uomini a compiere “egregie cose” (idea manifesta ne I Sepolcri).
In tale Poeta troviamo come fulcro la religione delle illusioni: siamo destinati ad una vita senza garanzie provvidenziali cristiane ma ci illudiamo, poetando, di superare le angustie dell’esistenza. Per esempio nella poesia Alla sera, c’è consolazione, elevazione dell'anima dai sensi dalla materia, pur essendo consapevoli che ritorneremo nel divenire eterno materiale. In questo componimento, infatti, non solo c'è allegoria con la morte e la sua personificazione con le tenebre (che potrebbe essere di concezione romantica), ma anche quel fermare le pulsioni sensuali e l’elevazione del sublime. La morte non è intesa drammaticamente ma un “oblio”, un perdersi dolce nel nulla eterno.
La poesia foscoliana quindi propone, nonostante la sua inquietudine, la sua angoscia e desolazione, una suprema armonia grazie alle forme tipiche del neoclassicismo, la lezione degli studi classici, ma anche l'elevarsi verso l'arcano mistero dell'Universo. Poesia sì come illusione, ma anche vissuto esistenziale (I Sonetti e I Sepolcri), autobiografia. Il poetare è illusione sempre bramata ma sfuggente come il mistero dell’esistenza, nonostante ciò esso porta in alto i nostri ideali e l'eternità a cui aspiriamo (concetto molto evidente ne I Sepolcri). Da qui il suo precorrere, pur se neoclassico, il Romanticismo nell'ideale tra finito ed infinito, in tale tensione meglio ancora, nel concetto del Sublime (nelle opere citate e nelle Grazie), nella sua inquieta esistenza ma il concetto sempre presente dell'armonia (nato a Zante nel 1778 da madre greca, si sentiva figlio della “grecità” che ammirava, cfr. il celeberrimo sonetto, A Zacinto, si paragona all’errabondo Ulisse e vi troviamo i miti classici interpretati da una moderna sensibilità) prevale sempre in tutta la sua poesia migliore sebbene s’avverta una tensione nuova, cruda quanto virile. Se noi guardiamo tutta l’opera foscoliana, tenendo conto della corrispondenza tra vita e letteratura, comprendiamo subito il carattere precario della sua esistenza e come tale abbia un riflesso nell’instabilità della sua produzione artistica. Eccetto i Sonetti e i Sepolcri nonché alcune liriche, l’opera foscoliana mai si definisce in testi compiuti veramente. La Sua è un'«opera aperta» (come annota Ferroni) che coincide con la precarietà della vita, della sua provvisorietà. Da qui l’ansia del Foscolo ad una ricerca di perfezionamento, di continua correzione che si traduce in una insoddisfatta ricerca di assolutezza: da un lato tale tensione evidenzia il suo ideale di perfezione classica -Egli si sentì un “greco antico”-, dall’altro va oltre il suo classicismo: è il suo ribadire «l’instabilità esistenziale del poeta». Consunto dalla miseria, perseguitato dai creditori e dalle sue mai sopite passioni e dalla malattia, si spegne, esule come il suo Odisseo, in Inghilterra, 1827. Le sue ossa ora riposano in Santa Croce a Firenze, in quella chiesa che aveva cantato nei suoi Dei Sepolcri.
Enrico Marco Cipollini