Lampi accecanti di ovvietà. Un titolo perfettamente azzeccato per l'ultimo spettacolo di Enrico Bertolino. E per le comiche disgrazie cui ogni giorno assistiamo vagando con le nostre esistenze per i meandri di questa penisola + isole comprese dove la democrazia è trattata al rango di strame.
Non risparmiano alcuno gli strali di Bertolino, un comico che è più di un comico. Certo il quasi cinquantenne milanese nato all'Isola – popolare quartiere del capoluogo lombardo che ha conosciuto innumerevoli mutamenti nel corso degli ultimi anni, e non tutti dei migliori – è il teatrante satirico più colto d'Italia, una verve strepitosa, irrefrenabile, capace di variare e ripartire come una felice scheggia impazzita, toccando i più disparati temi dell'attualità, della politica e del costume, che sia il centralino del Comune di Como che ha l'opzione della risposta in dialetto o l'improbabile inglese di Silvio Berlusconi, di Francesco Rutelli e dei coniugi Mastella in trasferta berlinese, che sia il PD, il partito che non c'è o che dorme, o la casta che sverna a Roma, che sia – esilarante pezzo di chiusura proposto per l'inevitabile “bis” – la rassegna stampa con titoli squillanti di fantasia che pare pura realtà, senza, ripetiamo, guardare in faccia ad alcuno, che si chiami Renato Brunetta o Renzo Bossi (troppo facile, dite?).
Si ride tanto, addirittura a crepapelle, al fuoco di fila dei commenti e delle battute, lazzi, sarcasmi e analisi di un comico, uomo di spettacolo, creatore di informazioni laddove l'informazione giornalistico-televisiva istituzionale (e non) è sovente lacunosa se non indirizzata. Perché Bertolino è bravissimo e ha studiato e studia i comportamenti della gente, osserva tic, malfunzionamenti e disfunzioni di questa società-mina vagante, e poi riversa tutto alla platea affinché con il riso mediti e s'interroghi. Non è oscuro all'incredibile abilità di Bertolino il fatto che si sia laureato alla Bocconi e che abbia lavorato undici anni in banca: ha sperimentato sul campo la vita, prima di accedere al meritato successo.
Un riso liberatorio e potente è quello che coglie gli astanti al Ciak-Fabbrica del Vapore di via Procaccini 4. Rimane un retrogusto amaro dopo, a pensarci. Perché ridiamo dei nostri problemi e problemoni: li esorcizziamo, e ciò è un bene; nel contempo constatiamo come la deriva della nazione proceda in una sorta d'indifferenza e apatia, narcolessi e rassegnazione supina (a proposito, consigli per la lettura: Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio, illuminante libro edito da il Saggiatore). Tutto scatena ad ogni modo l'istinto del comico di razza.
Purtroppo, detto quasi con dolore, dopo una serata in cui ci si è sganasciati dalle risate grazie al talento di Bertolino rimane una certezza: l'Italia è un Paese molto comico (nonché grottesco e tragico), dalle infinite risorse sprecate, dove “l'opposizione” e la coscienza critica sono sempre più spesso affidate ai comici, vedi anche Littizzetto, Albanese & Co., o a pochi giornalisti coraggiosi. I comici fanno politica e i politici si dilettano a far cabaret, fra una maceria e l'altra. E non è qualunquismo, il nostro.
Enrico Bertolino ha messo in piedi un onestissimo e assai coinvolgente spettacolo, troppo intelligente per essere falsamente bipartisan, disvelatore e demolitore di luoghi comuni, ipocrisie e banalità assortite, nutrito della giusta dose di improvvisazione (nel senso di work in progress), mai scevro da una riflessione sulla natura umana. Quindi, non solo vizi italici e dintorni. Ridere, in fondo, fa pensare. Aggiungeteci un pizzico d'indignazione e magari si potrà cambiare rotta alla disgregazione morale, allo scollamento civile e istituzionale, allo scollegamento fra realtà e potenzialità, fra desideri, aspettative e quanto invece ci tocca in sorte.
Ma, se le cose nella sventurata e disfatta patria nostra si sistemassero, i comici avrebbero ancora un lavoro? Chiedetelo a Bertolino, in scena dal 9 al 14 marzo al Teatro Ciak Webank.it (ore 21, domenica ore 16; info, prenotazioni e vendita biglietti: tel. 02 76110093 /02 29006767, siti Internet www.teatrociak.it, www.officinesmeraldo.it, www.boxtickets.it, www.ticketone.it, www.tost.it).
Lampi accecanti di ovvietà è stato scritto dall'attore insieme con Andrea Zalone, Carlo Giuseppe Gabardini e Luca Bottura e si avvale della regia di Massimo Navone. Ai testi ha collaborato Curzio Maltese, giornalista de la Repubblica.
Appunti dalla regia: «Enrico è un esperto di comunicazione, un intrattenitore spontaneo, un improvvisatore vulcanico: è comunque difficile inquadrarlo in una categoria d’attore predefinita. Quando va in scena si arma della comicità come di un grimaldello e si diverte a far saltare tutti i lucchetti e le serrature dei luoghi comuni che trova sulla sua strada. Ma ogni giorno succedono cose nuove, lo spettacolo si nutre d’attualità e la strada è sempre diversa. Per questo un regista che lavora con Enrico non può pensare di ‘dirigerlo’ in modo tradizionale: deve diventare il suo complice più fidato e agguerrito, seguirlo e sostenerlo con una struttura di spettacolo precisa, duttile ma non costrittiva. Occorreva costruire intorno a lui uno spazio evocativo, che si trasformasse in modo da suggerire atmosfere e panorami mentali molto diversi. Da questa necessità espressiva sono nati gli ingredienti della messa in scena: i video (di Piero Passaniti), gli effetti sonori (Tiziano Vecchiato) e la scenografia astratta di Elisabetta Gabbioneta, sulla quale si può disegnare con le luci (di Arnaldo Ruota) come su un grande foglio in tre dimensioni».
Infine... «è un lampo che per un attimo acceca, ma quando la vista si riprende si riesce ad intravedere un orizzonte nuovo, non ideologico né tanto meno moralista, forse soltanto un po’ più ‘normale’ in senso umano, positivo e irreale. La nostra speranza è che il pubblico esca dalla sala sorridendo, ma anche e soprattutto chiedendosi il perché». Firmato Enrico Bertolino.
Alberto Figliolia