Sono lieto di essere coinvolto dalla Redazione di Tf nella ricerca dell’oro poetico. Provo entusiasmo contribuendo ad allargare questa vena aurifera on line. Credo sia emozionante, nonché magico, sapere che [ci] sono in mezzo a noi, uno di noi. Ebbene, scopriamoli [insieme]…vivi [e vegeti]! Loro, i poeti, l’oro della poesia.
Mi allontano dall’Helldorado che ha nome Genova, per per/seguire le vie che da Bologna conducono in Trentino e alla Verona in cui ubiquo vive il poeta Alessandro Assiri.
Come sempre «e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi [editi e inediti] e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia». (FB)
AUTOPRESENTAZIONE in forma di vocazione
di Alessandro Assiri
Ogni forma di scrittura risponde a gesti per chiedere ragioni delle cose e probabilmente per questo ogni scrittore è sospettato di arrivare da una sorta di collasso nervoso.
Dovremmo smettere di firmare le opere, come se dovessimo rivendicarne nefandezze confuse da paternità.
Usiamo solo parole provenienti da un'immaginazione a fiato corto.
Viviamo in una balbuzia ontologica, che ci consente solo frammenti,* per metterci al sicuro li chiamiamo dettagli.
Il linguaggio è un microcosmo dell'infelicità, l'atto più impuro di cui è costituita l'arte.
Assiri è ancora troppo vile per tacere, per il silenzio ci vuole vocazione.
Testi editi
*Frammenti da Quaderni dell’impostura, Lieto Colle 2008:
Sembra sempre mi rivolga ad altri, anche quando tento solo
di riconoscermi, di restare solo con la mia povertà, tentando di
trasformare in dialogo il melodramma di un monologo. Detesto
essere immediatamente fruibile, mi dissocia dal mistero… e
tutto quello che di me posso raccogliere non è detto che lo debba
distribuire. Questa frenesia del concedersi percuote lo spazio,
inondandolo di passioni tristi.
C’è uno strano senso nella fedeltà, un ancoraggio a un’incertezza,
un’apparizione timida di speranza. Sentirsi attratti dal rimanere
crea una sorta di permanenza e l’attenuarsi della distanza passa in
ogni istante, dove il crederci è il primo pensiero.
… e penso a ogni madre che ha imbellettato un fiocco, che ha
stretto al cuore un amore e separandosi dall’orgoglio ha accennato
una carezza, così lieve perché non sembrasse un saluto.
Non ho mai fatto altro che parentesi e se mi chiedo dove ho
parlato di me, mi riscopro solo nelle attese. Questo sommarsi di
cose annoia il mio mondo, lo inquina di magagne e dissapori, ho
poca voglia di starlo a guardare e allora scrivere diventa un esilio,
lettere dal fronte, terra secca, sudore di trincea… poi laggiù dove
scorgo il nemico, ma non oso sparare, dove si annida la vita, ma
sono incapace di andare.
Solo se esistono parole che descrivono l’altro la scrittura sopravvive.
La mancanza di significato deriva da uno svuotamento interno
dell’alterità. Lavorare con gli scarti è gestire sapientemente il
residuo, io non sono capace, rigetto troppo facilmente. Ho una
scrittura di ripiego, fatta di dettagli di descrizioni in frammenti,
diluisco lo spaesamento, sminuisco l’orrore. L’inabilità
dell’attuale costringe l’immaginario a fabbricare mondi, ma spesso
creiamo universi disabitati solo per esasperare solitudini.
… e muoiono così le parole che non sono dirette, in questo fiorire
costante di insignificanza, di inutilità, che chiama relazioni dibattiti
claustrofobici e cultura le chiacchiere da talk show.
Ogni lettura è una parola postuma. Una traccia dislocata di
un’assenza quasi certa. Si stringe negli occhi e nelle mani una
lontananza molto prima che un’incomprensione. La consapevolezza
di stabilire distanza è un danno alla mia necessità di sopravvivere
che la scrittura rappresenta. Da questo groviglio inestricabile mi
soffermo a osservare le cose, senza pretese con l’umiltà d’imparare,
incuriosito da una trama senza riscatto, da un’apparenza di vita.
“Tutto è compiuto”mi è sempre sembrata una stronzata, come il
“qui e ora” che è l’eccesso di un presente che non si ha il tempo
di assaporare. Nel presente totale ho una nostalgia degli assenti, e
nel totalmente realizzato cerco quello che mi manca.
… questa ostinata ricerca dell’approdo, questo contorno di terra
che emerge dall’ansia.
Quale arte esiste senza migrazione, se l’immaginario è saturo
come distinguere un turista da un profugo? L’essenza del viaggio
è lo smarrimento, il procedere sbandando senza portare a casa il
ricordo, concedere all’oblio la capacità di liberare spazio. Sono
troppo ostile all’arte che trattiene, evidenzia troppa differenza tra
l’esperienza e la distanza.
Non si incontra più nessuno a malapena ci si sfiora, vittime di
un riconoscimento mancato vediamo solo il nemico. Assaporiamo
i travestimenti che giustificano la nostra etica e aspiriamo a una
salvezza per procura. Abitiamo luoghi della mente con la pretesa di
abitarne gli spazi e vomitiamo parole per assenza di interlocutori. Il
respiro colloso dell’inutilità ci tiene invischiati all’effimero e a ogni
cosa che scambiamo per indispensabile. Mendichiamo certezze
per ricevere compromessi, rifugiandoci in quello che crediamo di
contenere, ma possiamo solo limitare.
Se avverrà sarà in una pausa della differenza, in quel territorio
strano dove non ci sono incontri, ma solo relazioni, dove non ci si
distingue, ma ci si affida con quel po’ di tenerezza che dovrebbe
farci compagnia.
C’è un tempo per tutto. Mi siedo, lo aspetto. Potrei giocare con le
dita, trastullarmi di parole e magari ci provo mettendomi comodo.
Qualche lettera di meno e più aria alla stanza. C’è un tempo per
tutto, ma questo non viene…
[…] Tenevo stretto un pomeriggio interminabile, dove
l’afa spadroneggiava sopra quei timidi esercizi di stile, sopra le
occhiate furtive ai valori stravolti di due opere coeve. Aggrottando
la fronte mi sforzavo di mostrare un interesse per tutta quella
contemporaneità mancata, per quell’esser stato dietro fosse sol di
quattro passi.
[…] L’energia quella delle
opere migliori, che prima di nutrirle bisogna meritarle.
È tutto così come questo soffio di vita, questa manciata di
aspirazioni, che non sono ancora desideri, perché troppo in
superficie
dove tutto è figlio di un inverno rigido, come un pensiero ossidato
o questo racconto incompiuto dai passi incerti, un amore scivolato
come una coperta dalle spalle.
Ogni pentimento è il residuo di un’incapacità al quale assisto con
tutta la stanchezza
e allora mi dolgo di non averti riconosciuto padre, per l’impossibilità
di rammentarmi le origini
se non sappiamo essere figli, non sappiamo essere uomini.
… stavo lì con la presunzione di occuparmi di letteratura in attesa
di qualcosa che assomigliasse a un’ispirazione, ascoltavo i miei
inquilini bussare, reclamare istanze spesso giustificate.
Chi progetta un viaggio ne immagina il ritorno, io vivo circoscritto
da ansie di partenze e per placarmi l’anima, allargo l’orizzonte con
briciole della mia intimità.
In questo tempo che non sconta niente, tra gli anni di piombo e
quelli di merda, attendo di invecchiare, con quella nostalgia da
tabloid e quell’odore di ciclostile, che ci rammenta che già allora
fotocopiammo sogni.
Ignoro i finali, amo troppo le trame per occuparmene, tendo a
scavalcarli rapito da un nuovo intreccio. Mi fa comunque sorridere
il completo disinteresse per l’epilogo, quasi soffrissi di un delirio
da premessa, forse perché vivo di abbozzi, di spezzoni incompiuti
e di buona sorte presa in prestito da qualche eroe di carta, che ho
instradato oggi e già dimenticato domani.
Non voglio conoscere… quello è un problema della lontananza.
Vorrei solo dirlo con parole semplici, ma quello è un problema
mio e di questi scarabocchi… non c’è più divertimento, non sbava
nemmeno più l’inchiostro e manca così tanto invece a questo narrare
perfetto… proprio oggi che pizzicava sulla lingua e sbocciava dalle
dita, avrei solo dovuto lasciare andare, ma sono così esposto che
riesco solo a trattenere.
Avrei voluto indossare qualcosa di consono, che fosse un filo più
adatto, non certo l’abito della festa, ma nemmeno presentarmi così
disadorno di parole. Sa il cielo, e qualcun altro forse, quanto ci
tenevo, ma è sempre così, è nell’essenza dei progetti morire un
poco prima.
Coltivo qualche scusa e mi adombro un filo, asciugo le mani, cerco
un bicchiere, travalico un istante d’imbarazzo e subito mi scuoto
inventando qualche avverbio.
Restavo in disparte a pochi passi dallo scontro, sentivo tra le dita
il fremito della battaglia, l’ansia e l’isteria che soffocano il grido,
affilavo parole, aggettivi taglienti da gettare nella mischia.
… è solo il timore di arrivare impreparato che ti fa raccattare
appunti e note, l’affanno del ritardo in cui fantastichi scuse e quel
fiato corto, quel sobbalzo a ogni perché…
Ogni angolo va bene per nascondere la paura che ogni affermazione
sia un sintomo, che ogni passo sia un distacco, che ogni forse sia
dubbio.
Vantiamo contaminazioni per un’arte imballata d’insufficienza,
l’unica cosa di cui siamo infetti è questo pressapochismo del
dire, quest’arroganza dello spacciare per universale un’intimità
mediocre.
Tentiamo installazioni, come se rinnovassimo un collage di idee
melense e l’incapacità di staccarci da questo ci rende lamentosi,
piagnucolanti e l’insignificanza che prima era rifugio, diventa
referenza. Che orrore. Abbiamo venduto l’anima al niente, il
peggiore dei demoni, novelli Faust urbani cantori di spauracchi
non siamo più credibili nemmeno parlando addosso ai nostri incubi.
Facciamo una letteratura da diario scolastico tra un’invenzione e
una bugia, dove la sede di lettura è l’aperitivo delle sei.
Spezzare i legami è volersi imprigionati. Schiavizzarsi al tentativo
di dimenticare la violenza del recidere. Non due dita di distanza,
ma essere le proprie lacune, ne ho le palle piene della letteratura
del distacco, del dissociarsi dall’evento, del chiacchiericcio in
lontananza
[…] che senso ha disperarsi, come l’impotenza dei poveri per la
nullità del cambiamento, come la miseria racchiusa nel tentativo
ridicolo di sostituire il provvisorio con il temporaneo. Siamo malati
di un disgusto che non riusciamo a rigettare, riempiamo fogli,
imbrattiamo tele ed è questa l’unica cosa da spiegare.
A sparire destinato
in procinto d’orizzonte
un punto piccolino che prima era una nave
singolo movimento di avvenute circostanze
nessuna magia solo poche parole in corsivo, una nota per dovere,
la scomparsa dell’autore
Ogni tentativo di allargare l’orizzonte, di dilatare uno spazio è un
alibi per rimanere. Io ho un universo circoscritto da passioni brevi,
il corto raggio dell’ultimo autobus, che penetra le mura sgretolate
di questa città piovosa.
… e tutte le volte che ho gridato: vado, per non sapere dire andiamo,
avrei solo voluto sentirmi dire: resta.
Ovvero è sempre poco il tempo per guarire…
… da questa brevità da aforismi che scuote chi mi chiede romanzi,
ma che ci posso fare, non ho la duttilità di perdonare i miei
personaggi e non riesco per loro a inventare nuove bugie.
Potrei rivestire qualcuno di dubbi e mandarlo a fare quattro passi sul
mio senso di colpa, ma mi sentirei complice di un’ennesima efferatezza
letteraria e tedierei tutti con un genere ritrito, ma allora che faccio?
Attendo un finale a sorpresa, che mi faccia sentire all’altezza di un
autore da dimenticare, oppure mi addormento ancora, in questa
incertezza e disordine e provo a tirare le file dei sogni.
Ogni esistenza è ricevuta. Nonostante questo noi sentiamo l’altro
a partire da una solitudine. È una falsa partenza, che genera solo
opinioni ma non idee.
Esistono solo se anche tu sei lì; non come ombra, non come specchio,
ma come soggetto al quale posso rivolgermi. Sono se tu sei, se mi
permetti di essere, se vuoi che io sia.
Per cercare di comprendere ciò che non è simile a noi è necessario
una fuoriuscita, un andare verso il limite per sporgersi al di là. Nel
riconoscimento dell’altro non ci si può esimere dall’addentrarsi,
una sorta di penetrazione, che conduce all’incontro con se stessi.
Dove “tu” vuol dire essere all’interno, dove possono generarsi solo
due sentimenti amore o invidia.
Testi inediti
Ringrazio Alessandro Assiri per la fiducia e l’onore concessi affidandomi i seguenti testi inediti che compongono “La stanza delle poche righe”, nucleo di un futuro lavoro che nella prossima estate 2010 vedrà la luce delle stampe per LietoColle:
ma qui lo sai non ci si salva
si appare solo all’improvviso
non ci si aiuta, si segue la voce
come inquilini d’inverno
divenire è per un attimo confondersi
succubi d’inchiostro
appoggiarsi all’infrangibile.
le parole gettate
rimangono sospese
un attimo nell’aria
poi muoiono
precipitando
Si affrettava il passo e sembrava si spostasse,
l’unico spazio che all’uomo è concesso
tutto quel vuoto che manca all’adesso
ho seminato parole che non sanno tornare
dimmi cosa c’è tra questo nulla e me
Di stanza in stanza
così divento casa
al plurale immaginando
mattone su mattone
costruire lontananza
con la calce dell’addio.
Stabilisce prima il tuo nome
Questa gente di penombra
In fondo a te c’è un pressappoco,
come un forse nelle vene
o un venerdì di nuovo
e dove si rovista per cercarsi
si accumula la carta
anniversario degli oggetti
condannati a esser densi
come noi che sorridiamo
tra le radici e le stelle
attraversando un silenzio
in quei palazzi invernali
dove ancora oggi
si raffreddano le stelle
77 reticenze
e io non posso entrare
*
Alessandro Assiri nasce nel 1962 a Bologna, risiede da molti anni in Trentino.
Con Aletti Editore pubblica nel 2004 Morgana e le nuvole e nel 2006 Il giardino dei pensieri recisi raccolta in prosa poetica con prefazione di Paolo Ruffilli, finalista al Montano XXII Edizione.
Con Lieto Colle pubblica Modulazione dell’empietà nel 2007 e Quaderni dell’impostura, il suo ultimo lavoro nel giugno del 2008, corredato da fotografie di Massimo Saretta con note critiche di Chiara de Luca e Alberto Mori.
Anche questi segnalati al premio Lorenzo Montano XXI/XXIII Edizione, e in altre manifestazioni.
Nel novembre 2008 pubblica, con Chiara De Luca, per Fara Editore, la silloge Sui passi per non rimanere.
Co-curatore del progetto “Poeti a Nord-Est” che si occupa di creare sinergie tra artisti prevalentemente del territorio e di portare la parola poetica all’interno delle scuole, con seminari e dibattiti. Fa parte della redazione della neo-nata Kolibris Edizioni e del comitato di redazione di Opera Prima. Collabora inoltre con altre riviste sia cartacee che telematiche.
Promotore del Festival “Terzolas in poesia” ed altri eventi letterari. Gestisce un frequentato blog di poesia: www.lettereanessuno.splinder.com e ritorna a dipingere dopo anni di assenza dalle tele.