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La poesia dello sport 
di Mauro Raimondi
27 Novembre 2017
 

«Ecco lo sport celebrato dai versi di Alberto Figliolia, versi di un autore che conosce il segreto profondo della narrazione; una narrazione che sorprende, illumina, tra tenerezza e saudade».

Non ci sono parole migliori di quelle scritte da Darwin Pastorin per inquadrare il bellissimo libro di Alberto Figliolia, Cieli di gloria, recentemente pubblicato dalle Edizioni Il Foglio (12 euro).

A tredici anni dal fortunato Una curva nel cielo (Apollo e Dioniso Editori), il giornalista free lance, scrittore, animatore insieme a Silvana Ceruti del laboratorio di scrittura creativa del carcere di Opera, accantona per un momento gli haiku, la poesia civile e metropolitana. E ritorna ad una delle sue tante passioni, lo sport, con una raccolta di vecchie e nuove poesie. Trentatré, in cui celebra altrettanti protagonisti italiani e non delle più svariate discipline come alpinismo (Messner), ginnastica (Jury Chechi), automobilismo (Arcari), ciclismo (Binda e Girardengo, Gimondi e Merckx, Coppi e Bartali), atletica (Bikila, Zàtopek, Mennea…), pugilato (Muhammad Ali, Primo Carnera…). Senza dimenticare l’amata pallacanestro, che l’ha visto anche allenare squadre della periferia milanese “unendo – parole sue – la passione dell’insegnante con i concetti di agonismo, democrazia e solidarietà”.

La parte del leone, comunque, la fa il calcio, con i ritratti di campioni che, con la magia dei versi, assumono vesti inedite, si illuminano di squarci di verità insospettabili. Combi diventa così “il padre di tutti i portieri”; Sandro Mazzola ha un dribbling come lo “zigzagare di un fulmine… lo scorgi un attimo e nulla più”; Meazza è il “Balilla, vecchio ragazzo di ricordi in dialetto brillanti e corrosi”; Cruijff assume le sembianze di Gaudì, Rembrandt, van Gogh, Vermeer; il brasiliano Rivelino è un “gatto divino, i tuoi adoratori ardevano allorché palleggiavi a piedi nudi, solo in mezzo al prato, con due nuvole a vagare nel cielo sterminato”.

E poi Benito Veleno Lorenzi, Valentino Mazzola, Gigi Meroni, la lunga poesia dedicata all’altrettanto quasi interminabile carriera di Gianni Rivera: “Golden Boy, Mandrogno, Nato a Betlemme, Abatino... In mille modi ti hanno definito, Gianni, ma come si può inquadrare la fantasia? Quali sono i suoi confini?”

Per finire con un giocatore forse minore ma che per Figliolia ha rappresentato un vero idolo adolescenziale, l’interista Renato Cappellini: “Rincorrevo i sassi per strada e li calciavo come pensavo solo tu sapessi fare. La tua figurina tenevo perennemente in tasca o attaccata alle bretelle, strano e giocoso residuo di un tempo andato, come un santino, di giallo bordata, per avere sempre il tuo sorriso sullo sfondo azzurro di un cielo lontano”.

Ogni poesia è seguita da una scheda che, pur nella sua sintesi, esalta anche le qualità di un narratore sempre fantasioso, spesso divertente, generoso, dal vocabolario ricco e seducente.

Per concludere, ripartiamo dall’inizio, dalla prefazione di Pastorin: «Ci voleva un poeta vero, ardente, capace di cesellare parole e ricordi, per mettere in versi quei nomi che ci fanno esaltare, commuovere, recuperare, ancora appassionare: un poeta come Alberto Figliolia. Queste poesie sportive, con ogni protagonista accompagnato da una biografia sentimentale, rappresentano un conforto per la mente e per il cuore, scandiscono il tempo della nostalgia».

Saludi.


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