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Alessandra Borsetti Venier: Laura Nuti e il coraggio di narrare di sé.
11 Luglio 2007
 

Scrive Laura nell’Introduzione al suo libro Costumi di lana. Riti e quotidianità di bambine e di donne appena edito da Morgana Edizioni: «Nel 2004, ho conosciuto Alessandra (metà editore e metà artista, parafrasando una nota canzone…) e ho iniziato con lei una proficua collaborazione che col tempo è diventata anche una bella amicizia. Così, un giorno mi sono decisa a farle leggere la mia autobiografia che avevo scritto nel 2000, di cui avevo completato la stesura frequentando il Primo Corso della L.U.A. (Libera Università dell’Autobiografia) di Anghiari tenuta dal professor Duccio Demetrio. Poi, era finita in un cassetto. Le storie hanno bisogno di tempo per nascere, di tempo e di cure, cose che non si comprano al mercato… La sua opinione - da editore - è stata positiva: secondo lei, aldilà della piacevolezza dei racconti, emergeva una storia di tempi, luoghi e persone, soprattutto di donne, che appartengono a un passato di cui si sta perdendo la memoria, una testimonianza di riti e quotidianità che sono le radici del presente…».

 

È vero, l’ho incoraggiata a sviluppare questi aspetti e le ho suggerito di far emergere le storie degli altri, di restituire con maggiore consapevolezza l’affresco nel quale era disegnata e mescolata anche la sua storia. Infatti, non sono interessata alla pubblicazione delle “semplici” autobiografie bensì a quei testi che si misurano con la scrittura della vita come avventura dell'anima, e il percorso di Laura Nuti lo è. Per questo le ho espresso subito la mia fiducia sulla qualità della sua narrazione e il libro si è ulteriormente arricchito di fotografie e testimonianze prese da vari album di amici e conoscenti che documentano le fasi cruciali della vita degli anni Cinquanta e Sessanta con i pranzi della domenica, i rari giorni delle vacanze (ecco le bambine al mare, chiuse nei loro costumi fatti in casa con la lana purissima che irritava la pelle) le feste comandate, la caccia degli uomini, gli scherzi della vita militare, il bar con la comparsa della televisione e gli eventi straordinari: il battesimo, la comunione, il matrimonio… perché in quegli anni non si fotografava certo il quotidiano ma veniva immortalato solo l’avvenimento straordinario.

Sono convinta che la scrittura autobiografica richieda un acume speciale oltre al coraggio di avvicinarci alla propria unicità e verità. È una scrittura che prevede una tecnologia personale di ricostruzione del tessuto psicologico più intimo, un saper immergersi in profonde riflessioni e malinconie. Solo così il mondo interiore, con i propri passaggi esistenziali, i momenti cruciali, gli errori, può dare alla crescita personale uno sbocco interessante che può essere espresso e diventare appunto scrittura autobiografica. Tuttavia c’è il rischio di trasfigurare questa ricerca in una forma di scrittura di evasione, catartica, probabilmente più vicina alla poesia, un’altra scrittura, che però porta lontano dalla narrazione di sé. Non è facile entrare nella propria storia e imparare a restituirla prendendone le distanze, andare oltre per riuscire a generare altro. Perché non è facile diventare, come dice Duccio Demetrio, un «coraggioso laboratorio di noi stessi».

Il libro è nella rosa dei libri scelti per il Premio “Città e paesi in racconto. Narratori per diletto” inserito nel Festival che si svolgerà dal 31 agosto al 2 settembre 2007 ad Anghiari. www.lua.it/form/festival/index.html

 

Riporto di seguito degli estratti dai 18 racconti di Costumi di lana e dalle presentazioni di Duccio Demetrio e Pietro Clemente.

Duccio Demetrio è il fondatore del “Gruppo di ricerca in metodologie autobiografiche” e, con Saverio Tutino, della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari; è professore ordinario di Filosofia dell’educazione e di Teorie e Pratiche autobiografiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nonché Presidente del Corso di Laurea in Scienze dell’educazione. Si occupa di pedagogia sociale, educazione permanente, educazione interculturale ed epistemologia della conoscenza in età adulta. Dirige la rivista Adultità (Guerini Edizioni).

Pietro Clemente è stato professore ordinario di Antropologia Culturale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, in quella di Roma e attualmente in quella di Firenze. È presidente della Società Italiana per i Musei e i Beni culturali Demo-Etno-Antropologici, membro della redazione di Antropologia museale e direttore dal 2003 della rivista LARES.

 

(…) La tua scrittura è andata oltre la narrazione autobiografica per osare (felicemente) stili e registri: il dialogo, il monologo interiore, il mottetto ti sono ben noti e li utilizzi a meraviglia. Novelle di una vita (quasi veglie di Neri) sono le tue, preziose per chiunque voglia, oltre che conoscere l’autrice, avvicinarsi a un mondo ormai scomparso, che hai saputo fermare e riscrivere. (Duccio Demetrio)

 

(…) Ancora una volta il racconto autobiografico, anche se qui nella dimensione dei racconti d’infanzia, funziona su di me antropologo nell’ottica della formula che ad esso ho dedicato: esso fa assistere allo spettacolo straordinario di una vita raccontata dall’interno di una cultura, e di una cultura raccontata dall’interno di una vita.

(…) Nelle storie di Laura Nuti mi colpisce il gioco della narrazione, come nel descrivere aneddoti d’infanzia si costruiscano leggende di fondazione del sé, ma anche della comunità in cui esso viene inscritto. Come tra evocare e rivivere, l’io bambino esplora il mondo e dà senso alla vita in mezzo a misteri e regole che apprende empiricamente, talora con dolore o con orrore. Ma forse ancora di più mi stupisce il viaggio infantile dentro uno straordinario mondo di donne. Laura Nuti ci porta, nella radicalità dell’infanzia entro il proprio genere, a vedere storie epiche come quella della nonna, consumarsi da vicino come storie di antenate fondatrici (…) Laura Nuti racconta con ironia, nella distanza dalle malefatte della bambina che rievoca, ma insieme con sentimento, con rabbia, coraggio, paura, mostrando come il viaggio nel passato l’abbia portata vicina vicina alla bambina dalla quale è venuta fuori l’adulta che racconta. (Pietro Clemente)

 

 

IL CONTADIO FANTERIA

Nascono dalla terra arata parole vere e buoni frutti.

Saprà la voce del cuore vincere il rumore della strada?

 

La casa dove sono nata era bassa e bianca, circondata da un giardinetto e da una ringhiera di ferro, che terminava in un cancello con le iniziali del nome di mio padre, Fausto N.

Per molto tempo ho pensato che il babbo fosse un uomo veramente eccezionale, se scrivevano il suo nome sui cancelli e sui bicchieri del cognac (la “N” delle coppe era l’iniziale di “Napoleone”, ma per me lui era un perfetto sconosciuto).

Al di là del cancello, l’orto e i campi. L’orto era bellissimo, curato, pieno di colori. In mezzo c’era un pozzo e accanto al pozzo un susino e alcuni solchi di fragole. Il susino faceva disperare la nonna. Per anni si era ricoperto di fiori bianchi e rigogliosi: tutti avevano aspettato chili di frutta e invece erano spuntate regolarmente poche susine striminzite, buone solo per i polli. La nonna sosteneva che era il salmastro, perché alla nostra casa in aperta campagna, arrivava l’aria del mare. (…) Infine aveva deciso di tagliarlo, anche per evitare che io, crescendo, potessi salirci e cadere nel pozzo.

Proprio quell’anno il susino, quasi avesse sentito le minacce, si era coperto di frutti gialli, sugosi e saporiti. Anche ora continua a fiorire e a far frutti, come l’albero degli zecchini. È un susino di carattere. (…)

 

 

LA TELEVISIONE

L’irruzione del nuovo... il mondo in casa.

Si potrà ancora galoppare nelle praterie a cavallo di un pezzo di legno?

 

Dopo i lampioni, al paese arrivò la televisione e allora la vita cambiò. In un primo momento fece la sua comparsa al Bar Casarosa, posto di ritrovo e di scontro dei cacciatori più incalliti, nonché luogo deputato per i giocatori della SISAL. I primi passavano il sabato rievocando immani ed improbabili stragi di lepri e fagiani, i secondi architettavano piani diabolici da usare in caso di vincita, per nascondere ai vicini il fatto di essere diventati milionari. (…) Il bar si popolò meravigliosamente di nonne, mamme, ragazze e bambini. Arrivavano a famiglie intere e qualcuno portava anche la sedia perché quelle del Bar non bastavano. Prima di entrare nella stanza della TV, si fermavano al banco dal signor Luigi: le donne compravano seme e noccioline, gli uomini bevevano il caffè e la Strega, i bambini sceglievano il gelato. La televisione era messa in alto, sopra una mensola murata di recente alla parete della grande stanza disadorna, che durante il giorno ospitava i tavolini dei giocatori di briscola e i loro mezzi toscani puzzolenti. L’acustica era disastrosa e solo quelli delle prime file capivano; chi era in fondo chiedeva spiegazioni e informazioni a chi aveva conquistato postazioni più fortunate, suscitando un coro di “Psss... psss!!!” che, unito allo scricchiolare delle noccioline e alla tosse dei fumatori, non faceva capire una parola della trasmissione. Ma non era questo l’importante. La cosa meravigliosa era che persone famose, vestite bene, sempre felici e giovani, parlavano proprio con noi, ci dicevano: Buona sera, cari amici. (…) Non era come al cinema, dove gli attori c’avevano le loro storie e tu non c’entravi niente, poi te ne andavi e arrivederci e grazie! Con la televisione era diverso: uno non si sentiva più solo. (…)

 

 

L’ALLUVIONE

Dividere il pane, condividere il buio riposare insieme, sostenersi nella paura.

È necessario un mare di fango per tenere acceso un lume?

 

(…) Mentre me ne stavo nera e imbronciata a guardare la pioggia, vidi arrivare dalla strada sterrata che portava a casa, un rivoletto d’acqua. - Bene! pensai di nuovo allegra - Straripano le fosse: domani non vado a scuola e non faccio il compito di matematica! Quasi mi avesse letto nel pensiero, la nonna disse dalla cucina: - Perché non studi invece di ciondolare? Domani c’hai compito, e sei in terza ormai… - Tanto non ci vado a scuola domani: straripano le fosse! Subito la nonna mi fu accanto e guardava la strada con occhi strani, come se vedesse qualcosa d’indefinito e minaccioso. - Ehi, bimbi... - disse subito rivolta al babbo e a Paolo, il marito di mia cugina -, non mi piace quell’acqua... Scendete e portate in casa la roba! - Ma dai, nonna... - replicarono i due - Sono le fosse... Che ti viene in mente? Lei ripeté l’ordine e quando la nonna aveva quel tono tutti obbedivano, perché lei “sentiva le cose”.

(…) Anche la natura parlava: i mosconi portavano novità, alla sera il cielo rosso e poi pieno di stelle prometteva un giorno sereno, le stelle offuscate nebbia o pioggia, gli insetti particolarmente noiosi indicavano il cambiare del tempo, il “vento dell’acqua” segnalava l’arrivo del temporale, un fischio repentino nelle orecchie voleva dire che qualcuno si ricordava di te… Ora l’acqua stava parlando alla nonna e l’avvertiva del pericolo imminente. Scendemmo le scale. (…) Paolo e il babbo presero la cassa con la biancheria e fecero per risalire... Si udì allora un rumore sordo e profondo, come un tuono gigantesco o un ordigno che esplode. Ci fermammo stupiti. Forse un incidente, le ruote di un camion: passavano così vicino a casa, ormai... Tendemmo l’orecchio. Dopo il boato, ora un altro suono, cupo, ansimante, riempiva l’aria e s’ingigantiva di attimo in attimo. Era vicino, sempre più vicino... D’istinto ci voltammo verso la strada: il rivolo stava crescendo a vista d’occhio! S’ingrandiva, s’ingigantiva, s’incattiviva. Non era più un rivolo, ma un torrente, un fiume! Il babbo e Paolo fecero cadere a terra la cassa e corsero nell’orto, io afferrai il criceto, la nonna la cesta con le galline e ci precipitammo verso le scale. La mamma dal terrazzo gridava: - L’acqua, l’acqua!!! Correte in casa! Ha rotto l’Arno. È l’alluvione!!!

 

 

Laura Nuti, Costumi di lana

n. 8 collana “Lunaris”

www.morganaedizioni.it

 

Alessandra Borsetti Venier


Foto allegate

Mamma e zia  a Viareggio
Primo amore
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