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Gino Songini. Ma diamogli un calcio nel sedere (metaforico, s'intende)
16 Febbraio 2013
 

Ma diamogli un calcio nel sedere. Liberiamoci di un vecchio narcisista che non è riuscito a superare la fase infantile dell'egocentrismo (alla faccia dei settantasette anni), né quella di un'egolatria che gli fa ripetere da decenni: io, io, io, io... Liberiamoci di questa zavorra che ci trasciniamo da troppo tempo, fatta di balle sesquipedali, di vanterie da bar, di barzellette da caserma.

Basta. Basta con la storia dei rosari recitati da mamma Rosa e lui che l'accompagna da padre Pio e da papa Wojtyla, mentre le olgettine attendono festanti la notte del bunga bunga.

Ma come è possibile che milioni di italiani abbiano appoggiato un capo del governo del genere? Come è possibile che un Parlamento che si suppone formato da persone se non altro capaci di intendere e di volere abbia dichiarato a maggioranza che Ruby Rubacuori era nipote del presidente egiziano Mubarak? E poi leggi per i processi brevi e per quelli lunghi, lodi Alfano di qua e lodi Schifani di là, la depenalizzazione del falso in bilancio, la legge Gasparri per le televisioni e le tanti leggi ad personam che non è più nemmeno il caso di ricordare.

Diamogli un calcio nel sedere. A un certo punto anche la signora Veronica ha avuto la forza di dargli il foglio di via, stanca delle varie Noemi, D'Addario, Ruby Rubabaci e compagnia cantante. E l'Italia sempre di più oggetto di ludibrio e di scherno sulla scena internazionale. Si è tanto riso di noi in questi anni. Quelli che hanno riso di meno sono stati gli italiani. Ma chi avrebbe detto che avremmo rimpianto Fanfani, Moro, Andreotti, Colombo e Rumor? Eppure li abbiamo rimpianti. Erano giganti al confronto. Moro e Fanfani sono stati grandi statisti. Andreotti ha subito per dieci anni un terribile processo per mafia senza dire una sola parola contro i giudici dei vari tribunali. Partecipava alle udienze da imputato, difendendosi nel processo dalle più infamanti accuse, sempre con rispetto, sempre con dignità, consapevole che “la legge è uguale per tutti”. La sentenza finale l'ha pienamente assolto. Con l'avvento del re di Arcore, in questi anni se ne sono viste invece di tutti i colori. Processi azzoppati da impedimenti, incompetenze, ricusazioni, prescrizioni. Un parlamento e un governo sempre a disposizione per approvare norme e abrogarne altre, per accelerare o per rallentare i procedimenti giudiziari a favore di un imbonitore uscito venti anni or sono sulla scena politica sopra una montagna di miliardi. Fini, Casini, Buttiglione ecc., si sono subito aggregati a lui. Ma possibile che non sapessero, già allora, con chi avevano a che fare? E noi, cittadini italiani, non siamo stati capaci di rispedirlo a casa. Non siamo stati in grado di costituire una forza politica liberale di carattere europeo, scevra da qualsiasi tipo di conflitto di interesse, aperta, democratica, libera, che prescindesse da un sedicente “unto del Signore”. Una forza politica liberale e progressista come ce ne sono in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Spagna e in tutti i paesi di democrazia avanzata. Noi abbiamo preferito il ritorno alla signoria medioevale, della quale la reggia di Arcore è il visibile simbolo. Noi abbiamo seguito la strada a ritroso dell'incultura, tracciata dalle televisioni di Re Lanterna, mentre il mondo intero si chiedeva: “Ma è tutta qui l'intelligenza degli italiani? tutta qui la loro cultura? tutta qui la loro sensibilità democratica? tutta qui la loro dignità morale? Come possono approvare un governo guidato dal proprietario delle televisioni (cosa impossibile ovunque nel mondo, con l'eccezione delle dittature), come possono accettare un conflitto di interessi grande come una montagna, come possono sostenere un presidente del consiglio coinvolto in scandali per i quali in qualsiasi altro paese uno dovrebbe sparire dalla scena pubblica dopo cinque minuti?”

 

Gino Songini

(da 'l Gazetin, febbraio 2013)


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