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Bruno Ritter in mostra a Milano curato da Dorian Cara
Bruno Ritter: Pianazzola, Chiavenna
Bruno Ritter: Pianazzola, Chiavenna 
19 Novembre 2009
 

Dal 16 novembre, presso l’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele II, al CAI (Club Alpino Italiano) di Milano, in via Silvio Pellico 6, saranno esposti dipinti ed incisioni del pittore svizzero residente a Chiavenna Bruno Ritter. La mostra, curata da Dorian Cara, è ulteriore tributo verso l’artista vincitore, lo scorso gennaio, del Premio Internazionale e Mostra di Piccola Grafica ed Ex Libris “Arte e la Montagna”, evento organizzato dal CAI in collaborazione con il MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini) di Milano. Tra le centinaia di opere giunte da 53 diverse nazioni, pervenute da 322 artisti ed esposte presso il MAPP, la xilografia di Bruno Ritter, intitolata Piz Lizun (2008) è stata riconosciuta meritevole di essere premiata per la particolarità tecnica, per gli alti livelli di professionalità esecutiva e perizia grafica, per l’innovazione, l’invenzione compositiva e la originale creatività espressa. Il regolamento del Premio Internazionale prevedeva anche la realizzazione di un evento espositivo che permettesse al pubblico di poter ammirare anche altro materiale della produzione dell’artista vincitore.

   

Bruno Ritter nasce a Cham, nel cantone di Zug, lavora tra Schaffhausen e Zurigo, trasferendosi successivamente in Val Bregaglia, vicino a Maloja, ed inizia - anche per amore – un pendolarismo artistico tra la vicina Svizzera e Chiavenna, dove apre il proprio atelier di pittura presso il Castello.
Artista intimamente legato alla vita della montagna, nella sua produzione artistica emergono tensioni, fatte di cromie accese e bianchi abbacinanti, silenzi, natura decritta con linee pure, cupe solitudini di uomini alla ricerca dell’altro, immortali maestosità di rocce. L’intero percorso dei segni grafici e delle pennellate è determinato da una energia tesa a superare il limite fisico e mentale che la montagna ancestralmente impone. E poi ? Cosa c’è, quali risposte dietro la luce e gli orizzonti ? Ecco in tutta l’opera le concettuali ed estetiche risposte. Bruno Ritter prova a dare una propria soluzione, assolutamente convincente: l’Oltre si può costruire da soli grazie all’apertura alla realtà non dimenticando origini, tradizioni e consuetudini di luoghi puri.

   



Bruno Ritter e quel silente vociare della montagna

L’insegnamento, le molteplici esperienze di vita e di lavoro italo-svizzere, il pendolarismo, anche quello tra confini, le mostre e le collaborazioni sono voci fondamentali per meglio definire il curriculum vitae di Bruno Ritter: artista attentissimo nella sintesi dei molteplici input accolti e nella successiva riproposta in chiave pittorica e grafica degli stessi, con cui egli formula la fondamentale interrogazione: e dopo ?
Intanto, ciò che colpisce del viaggio umano ed artistico di Ritter, a partire dalla natia Cham, proseguendo tra Sciaffusa, Neuhausen e Zurigo, fino ad arrivare alle valli Bregaglia e Chiavenna, è la costante ossessionata tensione nell’indagare le azioni e l’immobilità del tempo che, trascorrendo inesorabilmente, corrode l’uomo e al contempo lascia immutati quei silenzi montani costituiti da rocce, nevi, cieli e consuetudini umane comuni in tutte le vallate del mondo a cui egli appartiene.
La sovrapposizione, infatti, di volti raffigurati di tre quarti alla maniera di Rudolf Hausner, la sospensione delle atmosfere e i colori accesi propri dell’espressionismo realistico di Otto Dix, i mondi onirici di Ernst Fuchs e Wolfgang Hutter sono tutti elementi da tenere in considerazione nel percorso artistico di Ritter il quale offre i propri soggetti – specialmente quelli in cui le figure umane e il loro confrontarsi sono protagonisti assoluti – ad una sacralità sottolineata dall’impostazione delle tele in forma di trittici o dittici, come avveniva nella pittura tedesca del Quattro e Cinquecento, quella di Grünenwald o di Dürer per intenderci, racchiudendo e donando una innovativa posizione a quella umanità della montagna che diviene, nei suoi silenzi, nuova anima purgante del suo mondo.
Anche l’incontro con la pittura italiana, mediata dai contatti con i critici Giovanni Testori e Raffaele De Grada, è ispirazione dominante del progressivo percorso artistico di Ritter che, nei realisti degli anni Trenta della Scuola Romana, quali Mafai, Scipione, e nei referenti dell’avanguardia milanese, come Birolli, Carlo Levi e Aligi Sassu, o ancora nel Gruppo dei Sei di Torino e in Emilio Vedova, recupera, facendo propri e trasformandoli, fondamentali insegnamenti e nuove dinamiche d’ispirazione.
Ulteriore sguardo e conseguenti propulsioni di creatività Ritter li ritrova successivamente anche in quell’informale materico distillato da Morlotti, Chighine e Repetto, e ricomposto specie nella densità delle cromie e nella vibrazione della pennellata sfaldata e riscontrabile nei paesaggi montani, addolciti nella loro drammatica ed immobile entità fisica e psicologica.
Il suo stile, l’impronta della medesima pittura ed anche del gesto grafico, è sempre netto, non solo nell’esecuzione, ma anche nella padronanza di senso con cui rappresenta il mondo interiore che in questo lavoro s’irradia.
L’effetto apparentemente ambiguo, se letto con attenzione e ricercandone una corresponsione con la propria sensibilità, genera una tensione ammirata, oltre che verso la ri-soluzione estetica, anche verso una più profonda proposta di riflessione. Tale modalità meditativa è resa pittoricamente in uno sfumare fino ad impallidire, e a quasi rendere abbacinante la realtà rappresentata e i soggetti, così da amplificarne la sensazione di sospensione nel tempo e favorendo così una percezione prepotente di silenzio: luogo cruciale della meditazione.
In Bruno Ritter, in cui le accese cromie della narrazione riconducono ineluttabilmente ad ispirazioni desunte dalla cultura espressionista di matrice tedesca e delle contrapposizioni di linee/luce, rimandano all’impronta catturata dalla conoscenza raffinata del segno grafico, è possibile leggere un sistematico modus indagatore con cui ricercare concrete, desiderate e credibili risposte interiori ancora, purtroppo, non soddisfatte pienamente dell’interesse pubblico.
I bianchi e i soggetti silenziosi, di cui mirabilmente evoca origini (per i luoghi) e tradizioni (per gli uomini), sono strumenti del linguaggio spinti a superare lo scoglio della pura materia dipinta, fino a darne forma albina, ricca di più denso significato se intesa in forma di luce e oltre l’immagine d’una formula.
L’effetto è quello di trasformare la luce medesima in una modalità e possibilità personalissime di risposta alla struggente domanda interiore, che la montagna con le proprie barriere visive da sempre impone all’uomo che ivi nasce e vive.
L’Enge, il concetto di strettoia che, per la cultura svizzera, è definizione di chiusura geografica, umana e psichica, ha finalmente con Ritter una nuova opportunità di superamento, grazie alla propria esperienza, oltre che di pendolare tra confini, tra orizzonti, anche attraverso la sua proposta di soluzione: costruire l’opera per piani pittorici, dedicando all’espressività del gesto e della forma della natura umana il primo piano e relegando le risposte alla domanda ultima, quella ontologica, al piano di fondo. Ciascuno ha l’opportunità liberamente di poter completare da sé, mentalmente, e con ampio margine di spazio, senza l’incognita di tempo e spazio, il proprio orizzonte.
Ritter è, quindi, attento narratore sia dell’animo umano sia degli scenari naturali, di cui conosce profondamente dinamiche e segni, e dei quali sa cogliere, con uno sguardo drammaticamente spalancato, la intrinseca lacerante domanda che tende verso l’ignoto, e che trasforma l’intera realtà in una immensa fisica e mentale Enge, oltre cui si delinea la luce: la risposta.

 

 

 

Notizie biografiche sul curatore Dorian Cara

Nato a Milano in Italia (1969) . Vive e lavora a Milano in Italia . Laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore in storia della critica d’arte, si è specializzato successivamente in Legislazione Nazionale ed Internazionale dei Beni Culturali.
Ha approfondito la propria ricerca sulla catalogazione e valorizzazione dei beni ecclesiastici, sull’analisi storico-artistica e la riscoperta delle architetture bizantine del Mediterraneo e le icone veneto-cretesi, sull’arte contemporanea generata dalla materia riciclata, sulla grafica e la fotografia.
E’ direttore editoriale delle edizioni Laboratorio delle Arti di Milano, conduce dal 1993 un lavoro sistematico di catalogazione dei beni culturali ecclesiastici per diverse diocesi italiane, musei, comuni, istituzioni bancarie e collezionisti privati. Collabora con diverse società informatiche nella progettazione di piattaforme per i beni culturali e sistemi di digitalizzazione di documenti antichi e archivi fotografici.
Ha scritto per diverse testate giornalistiche e ha ideato e curato alcune mostre d’arte contemporanea in Lombardia tra il 2000 e il 2009.

 

 


 
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