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Camilla Spadavecchia. Donne nel mondo: Da Pechino (1995) a New York (2010) il cammino verso l’equità e la riduzione della povertà nel mondo
10 Marzo 2010
   

È in corso, e si concluderà venerdì 12 marzo, presso la sede delle Nazioni Unite a New York il terzo processo di revisione della Conferenza di Pechino che nel 1995 sancì, seppur con alcuni limiti, un importante cambiamento di prospettiva relativo alle questioni di genere, grazie soprattutto all’approvazione, da parte dei governi presenti, della Piattaforma di Azione, testo politico che tutt’oggi rimane il documento di riferimento mondiale in materia di uguaglianza di genere.

Fu proprio a Pechino che si parlò per la prima volta di “punto di vista di genere”, di mainstreaming e di empowerment di genere. Concetti che ancora oggi, seppur inflazionati nei dibattiti degli esperti, non fanno parte di un linguaggio e di una presa di coscienza comune della popolazione.

In quell’occasione si riunirono a Beijing (Pechino) 189 Capi di Stato e di Governo di tutto il mondo che lavorarono sulla definizione degli obiettivi da traguardare in vista del nuovo millennio ormai alle porte, tra i quali spiccò il diritto delle donne a diventare parte attiva nelle decisioni che riguardano, su vari livelli, politico, sociale e lavorativo, la comunità. Si partì dal presupposto che, nonostante gli sforzi cominciati vent’anni prima a Città del Messico (in occasione della Prima Conferenza Mondiale sulle Donne) avessero portato ad un generale miglioramento della condizione delle donne su scala mondiale, ma soprattutto occidentale, questi non furono sufficienti a cambiare la struttura di base dell’ineguaglianza. Si sancì pertanto un nuovo principio su cui basare le future discussioni in materia e si stabilì che l’uguaglianza tra uomini e donne doveva appartenere alla sfera dei diritti umani.

«L’uguaglianza tra donne e uomini appartiene alla sfera dei diritti umani ed è una condizione necessaria per la giustizia sociale, ma è anche un requisito essenziale e fondamentale per l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace. Una collaborazione rinnovata, basata sull’uguaglianza tra donne e uomini, è la condizione necessaria per uno sviluppo durevole al servizio degli individui. Un sostegno di lungo periodo è essenziale affinché donne e uomini possano lavorare insieme per se stessi, per i loro figli e per la società, in modo da poter affrontare le sfide del XXI secolo». (Programma d’Azione della Conferenza di Pechino, 1995)

Per la prima volta nella storia delle Conferenze Mondiali sulle Donne, vennero individuate, a seguito di un’analisi del contesto mondiale, 12 aree critiche di intervento sulle quali si sarebbe dovuto lavorare, attraverso il raggiungimento di obiettivi strategici, tesi a migliorare la situazione delle donne su scala globale. Agli obiettivi furono affiancate poi le disposizioni finanziarie che impegnavano, secondo i diversi gradi di competenza, la comunità internazionale e i governi nazionali.

«Le risorse umane e finanziarie sono state generalmente inadeguate per ciò che concerne il progresso delle donne. Ciò ha contribuito ad un lento progresso fino ad oggi nell’applicazione delle Strategie future per il progresso delle donne. La piena ed effettiva applicazione del Programma d’Azione, richiederà un impegno politico per rendere le risorse finanziarie e umane disponibili per rafforzare il potere di azione delle donne. Ciò richiederà un’ integrazione della specificità dei problemi delle donne nelle decisioni di bilancio, nelle politiche e nei programmi e si dovrà prevedere un finanziamento sufficiente per i programmi destinati specificatamente alla realizzazione della parità tra uomini e donne». (Dichiarazione di Pechino, 1995)

Se l’aver fissato gli obiettivi economici fu di per se importante, perché permetteva di tradurre in concreto le disposizioni politiche definite, l’aver concesso ad ogni singolo governo di decidere come e quali voci di bilancio destinare a questi obiettivi fu uno dei “buchi neri” di Pechino.

 

Tab. 1 Aree di intervento e obiettivi strategici (FONTE: Piattaforma di Pechino, 1995, rielaborazione)

 

Aree di intervento

Obiettivi

Donne e povertà

Adottare politiche macroeconomiche per lo sviluppo rivolte alle donne povere, assicurare alle donne accesso al risparmio e agli istituti di credito; sviluppare strategie differenziate per sesso e condurre ricerche sulla femminilizzazione della povertà

Donne e salute

Incrementare l’accesso delle donne a istituti sanitari e centri di informazione, rafforzare programmi di prevenzione; intraprendere iniziative differenziate per sesso che affrontino il problema delle malattie quali HIV/AIDS; promuovere la ricerca e diffondere informazioni sulla salute delle donne.

Istruzione e formazione delle donne

Eliminazione dell’analfabetismo femminile; garantire uguale accesso all’istruzione; migliorare l’accesso delle donne alla formazione professionale; promuovere educazione e formazione permanente per donne e ragazze

Violenza contro le donne

Adottare misure concrete per prevenire ed eliminare la violenza nei confronti delle donne, studiare le cause e le conseguenze della violenza contro le donne e l’efficacia delle misure di prevenzione; eliminare la tratta delle donne e assistere le vittime delle violenze legate alla prostituzione e alla tratta.

Donne e conflitti armati

Incrementare la partecipazione delle donne alla soluzione dei conflitti a livello decisionale; proteggere le donne vittime di conflitti; ridurre le spese militari eccessive, promuovere forme non violente di soluzione dei conflitti e ridurre le violazioni dei diritti fondamentali in situazioni di conflitto; promuovere il contributo delle donne allo sviluppo di una cultura della pace; fornire protezione e assistenza e formazione alle rifugiate e alle donne profughe; fornire assistenza a donne che vivono in territori non autonomi.

Donne ed economia

Promuovere i diritti e l’indipendenza economica delle donne (accesso all’occupazione e ad adeguate condizioni di lavoro), facilitare accesso paritario delle donne alle risorse, occupazione, mercati e commercio, fornire servizi professionali e tecnologie; eliminare discriminazione sul lavoro; permettere alle donne e agli uomini di conciliare responsabilità familiari e professionali.

Donne, potere e processi decisionali

Adottare misure che consentano pieno e paritario accesso e partecipazione delle donne a strutture di potere e decisionali; incrementare la capacità delle donne di partecipare ai processi decisionali e di assumere ruoli dirigenti;

Meccanismi istituzionali per favorire il progresso delle donne

Integrare il tema di parità fra i sessi in leggi, politiche pubbliche, programmi e progetti; rafforzare e creare i meccanismi nazionali e gli altro organismi governativi

Diritti umani delle donne

Promuovere e proteggere i diritti umani delle donne attraverso l’applicazione di tutti gli strumenti sui diritti umani; garantire l’uguaglianza nei fatti; diffondere nozioni basilari di diritto

Donne e media

Promuovere una immagine equilibrata e non stereotipata delle donne nei media; permettere alle donne esprimersi e accedere ai processi decisionali nei media

Donne e ambiente

Coinvolgere attivamente le donne nei processi decisionali relative all’ambiente a tutti i livelli; integrare le attività, le preoccupazioni e le opinioni delle donne nelle politiche e nei programmi per lo sviluppo sostenibile; creare meccanismi a tutti i livelli amministrativi per valutare l’impatto delle politiche di sviluppo e delle politiche ambientali sulle donne.

Le bambine

Eliminare tutte le forme di discriminazione nei confronti delle bambine in tutti i campi (istruzione, formazione, salute, nutrizione); eliminare atteggiamenti e pratiche culturali negative nei confronti delle bambine; eliminare lo sfruttamento economico dei bambini e proteggere le bambine che lavorano, eliminare la violenza nei confronti delle bambine; rafforzare il ruolo della famiglia nel migliorare la condizione delle bambine; sensibilizzare le bambine e favorire la loro partecipazione alla vita sociale, economica e politica.

 

Nonostante gli sforzi fatti, molte furono le lacune di Pechino, date anche dalla volontà di proporre obiettivi mondiali circa una questione, quella della disuguaglianza di genere, che si connota in maniera assai differente nei diversi contesti socio-territoriali. Sono profonde le differenze e le esigenze tra le aree dei cosiddetti “Nord” e “Sud” del mondo, a causa soprattutto delle diverse condizioni economiche, ma anche culturali, in cui i due “emisferi sociali” riversano. Mentre nell’area occidentale le questioni di genere riguardano il riconoscimento dell’uguaglianza di uomini e donne, nelle aree “in via di sviluppo” prioritaria risulta essere l’eliminazione della povertà, come momento imprescindibile per il rispetto dei diritti umani, tra i quali figurano appunto quelli delle donne. La pretesa poi di universalità dei diritti della donna, quasi esistesse una unica “donna universale” risulta un po’ forzata. Le differenze socio-culturali e quindi valoriali di ciascuna regione antropica, fanno si che esistano diverse idee di donna nel mondo, che devono essere rispettate, qualora queste non ledano i diritti umani, per cui l’imporre dall’alto un concetto generale che non appartiene alle diverse popolazioni corre il rischio di diventare solo un getto di inchiostro nero su carta bianca.

Aspre furono le critiche mosse alla Conferenza dal parallelo forum delle ONG (Organizzazioni Non Governative) che si riunì nel distretto cinese di Huairou in concomitanza con il vertice internazionale e che vide la partecipazione di 47.000 persone; fra tutte si ricorda quella di DevaKi Jain, economista indiana e presidente della rete internazionale DAWN (Development Alternatives with Women for a New Era) che sostenne mancasse a Pechino un’analisi coerente dei meccanismi che perpetuano la povertà e le discriminazioni nel mondo. «Intendiamoci l’eguaglianza è un obiettivo importante. Ma il punto per noi è analizzare i fattori esterni che producono povertà e discriminazione tra uomini e donne. I fattori culturali e materiali, la mancanza di scuole, di servizi sanitari, di opportunità economiche (...). Certo vogliamo l’eguaglianza, ma questo non ci aiuta nell’analisi. Parliamo di “prospettive delle donne nello sviluppo” perché non si tratta di integrare le donne in un processo in cui erano emarginate, ma di cambiare lo stesso concetto di sviluppo». (Devaki Jain, Huairou 1995)

 

Beijing + 15

Quindici anni dopo siamo di fronte alla Terza revisione della Conferenza di Pechino (Beijing +15) dove le NU lavorano per stimolare lo scambio di esperienze e di buone pratiche tra i Paesi firmatari della Piattaforma del 1995, guardando agli ostacoli non ancora superati e alle nuove sfide da traguardare, incluse quelle relative agli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OsM) delineati dal Vertice ONU del 2000. Tali Obiettivi, fissati per il 2015, rappresentano l’impegno delle Nazioni Unite e dei Governi nazionali per il conseguimento di uno sviluppo sociale, economico ed ambientale sostenibile, su scala regionale, nazionale e mondiale.

Lo stretto rapporto tra il raggiungimento degli OsM e la prospettiva di genere è insito proprio nella relazione tra sviluppo e partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e politica della comunità. Non a caso all’interno degli OsM figura la Promozione dell’uguaglianza fra i sessi e il conferimento di potere e responsabilità alle donne quale obiettivo da raggiungere per lo sviluppo mondiale, così come nella Dichiarazione del 1995 si parla di eliminazione della povertà per mezzo della partecipazione attiva delle donne.

«L’eliminazione della povertà per mezzo di una crescita economica sostenuta, dello sviluppo sociale, della protezione dell’ambiente e della giustizia sociale, richiede la partecipazione delle donne allo sviluppo economico e sociale, la parità delle opportunità e la piena e uguale partecipazione delle donne e degli uomini, in qualità di protagonisti e beneficiari di uno sviluppo durevole al servizio degli individui». (Dichiarazione di Pechino, 1995)

 

Tab. 2 Millenium Development Goals 2015 (Fonte: ONUITALIA)


Obiettivo 1

Eliminare la povertà estrema e la fame

Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno.

Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che soffre la fame.

Obiettivo 2

Raggiungere l'istruzione elementare universale

Garantire che, entro il 2015, tutti i bambini e le bambine, ovunque vivano, completino il ciclo degli studi elementari.

Obiettivo 3

Promuovere l'uguaglianza fra i sessi e conferire potere e responsabilità alle donne

Eliminare, preferibilmente entro il 2005, e a tutti i livelli entro il 2015, le disparità di genere nell’istruzione elementare e secondaria.

Obiettivo 4

Diminuire la mortalità infantile

Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità fra i bambini al di sotto dei cinque anni di età.

Obiettivo 5

Migliorare la salute materna

Diminuire di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna.

Obiettivo 6

Combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie

Fermare entro il 2015 e cominciare a invertire la diffusione dell’HIV/AIDS. Fermare entro il 2015 e cominciare a invertire l’incidenza della malaria e di altre importanti malattie.

Obiettivo 7

Assicurare la sostenibilità ambientale

Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi nazionali e invertire la tendenza al depauperamento delle risorse naturali. Dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che non hanno un accesso sostenibile all’acqua potabile e ai servizi fognari. Raggiungere entro il 2020 un significativo miglioramento nelle esistenze di almeno 100 milioni di abitanti dei quartieri degradati.

Obiettivo 8

Sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo

Sviluppare ulteriormente un sistema finanziario e commerciale che sia aperto, equo, basato su delle regole, prevedibile e non discriminatorio.

Occuparsi delle particolari esigenze delle nazioni meno sviluppate.

Affrontare le speciali necessità dei paesi in via di sviluppo privi di sbocchi al mare e degli stati in via di sviluppo delle piccole isole.

Trattare in maniera efficace i problemi del debito dei Paesi in via di sviluppo.

 

Nel 2010 a quindici anni dalla Dichiarazione di Pechino (1995) e a cinque al 2015, limite prefissato per il raggiungimento degli OsM, la situazione mondiale non sembra particolarmente migliorata.

L’indice di povertà umana (IPU) elaborato dal Programma delle Nazioni unite per lo Sviluppo (UNDP) mostra una povertà ancora fortemente diffusa in alcune regioni quali, ad esempio l’Africa sub-sahariana, i cui Paesi hanno un IPU relativamente alto. In Togo, a titolo d’esempio, il 37,9% della popolazione vive al di sotto della soglia minima di povertà, definita dall’Organizzazione Mondiale delle Sanità a 1,25 $ al giorno. L’analfabetismo primario permane, con valori diversi, in molti Stati, quali ad esempio l’ Afghanistan, dove il 71,9% della popolazione non sa ne leggere ne scrivere.

La disparità di genere nell’istruzione elementare è largamente diffusa, ed aumenta sensibilmente con l’accesso al secondo grado scolastico. L’idea secondo la quale far proseguire gli studi alle bambine sia uno spreco di denaro e di tempo è ancora diffusa, soprattutto nelle aree rurali e suburbane del Pianeta. Questa convinzione deriva dal fatto che per molte società la figlia femmina appartiene alla famiglia del marito, per cui finanziarne l’istruzione superiore diventa uno spreco di denaro.

La mortalità infantile è poi inversamente proporzionale alla speranza di vita alla nascita. In Bangladesh il tasso di mortalità infantile (dati al 2006) è del 60,8‰, mentre la speranza di vita è di 66 anni per le femmine e 65 per i maschi. Nella Repubblica Democratica del Congo la speranza di vita è di 59 anni per le femmine e 55 per i maschi, mentre la mortalità infantile raggiunge il 67‰.

Il tasso di mortalità materna è ancora elevato nell’Africa sub-sahariana. Le cause sono molteplici e da ricercarsi nella scarsa igiene, nell’inadeguatezza delle strutture sanitarie, nella scarsità di accesso all’acqua, nelle malattie endemiche, quali soprattutto l’aids, la malaria e la tubercolosi.

Infine l’Indice di Partecipazione delle donne, o indice di empowerment di genere (GEM), elaborato annualmente dall’UNDP, dimostra che la partecipazione delle donne alla vita politica e sociale della comunità è ancora piuttosto scarsa in tutte le aree del pianeta. La Norvegia, che è situata al primo posto nella classifica mondiale del GEM (0,906), ha una presenza di donne in parlamento del 36%, mentre il 31% delle posizioni manageriali e legislative è occupato da donne. L’anno in cui per la prima volta una donna norvegese divenne presidente del Parlamento fu il 1993. Per tutti gli altri Paesi la situazione è, ovviamente, assai diversa, a partire già dall’Europa.

La strada per una reale equità di opportunità e una maggiore partecipazione alla vita pubblica della comunità delle donne è ancora lontana, così come lungo è il percorso per una effettiva diminuzione della povertà umana, ma il cammino, almeno istituzionale, è segnato. Non resta che aspettare l’esito del Processo di Revisione di Pechino per vedere in quale senso saranno compiuti i prossimi passi, con la speranza che le decisioni prese non restino parole sterili, ma si traducano in azioni concrete.

 

Camilla Spadavecchia


 
 
 
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