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Erveda Sansi. Piangere Mama Africa 
Miriam Makeba, la voce dell’anima
25 Novembre 2008
 

Miriam Makeba, conosciuta in tutto il mondo come “Mama Africa”, ci ha lasciati il dieci novembre scorso, dopo un concerto a Castel Volturno, dove nemmeno due mesi prima sette innocenti africani, Samuel Kwaku, Alaj Ababa, Cristopher Adams, Alex Geemes, Kwame Yulius Francis, Eric Yeboah, sono stati trucidati dalla camorra. Nonostante la sua salute precaria, aveva voluto partecipare al concerto contro la camorra e il razzismo e regalare la sua voce a chi non è ascoltato. «Ha trascorso sul palco i suoi ultimi momenti, arricchendo i cuori e le vite di altri e ancora una volta a sostegno di una buona causa. Le sue melodie hanno dato voce al dolore dell'esilio, che visse sulla sua pelle per 31 lunghi anni. Allo stesso tempo, la sua musica riusciva a ispirare un potente senso di speranza in tutti noi. Ha meritato appieno il soprannome di Mama Africa. Era una madre per la nostra lotta e per la nostra giovane nazione», così ha reso omaggio Nelson Mandela a una delle madri della lotta contro l'apartheid.

Il concerto era dedicato anche a Roberto Saviano, che l'ha ricordata con un articolo su La Repubblica: “La voce di Miriam Makeba era quello che i sudafricani dell'apartheid avevano al posto della libertà” (www.robertosaviano.it). «La morte di Miriam Makeba, venuta a portarmi la sua solidarietà e testimoniarla alla comunità africana ed italiana che resiste al potere dei clan, è stato per me un enorme dolore». L’autore del libro-inchiesta Gomorra vive sotto scorta dal 2006 a causa delle continue minacce di morte e recentemente, dopo che un pentito ha rivelato l’esistenza di un piano per ucciderlo con un attentato, ha deciso di trasferirsi all’estero.

Miriam Makeba nacque a Johannesburg da madre swazi e padre xhosa; il suo sangue misto rappresentava di per sé una sfida al regime che utilizzava a proprio vantaggio le rivalità etniche. Iniziò a cantare a livello professionale negli anni '50; fondò poi una propria band, The Skylarks, che univa jazz e musica tradizionale sudafricana.

Partecipò al film Come Back, Africa di Lionel Rogosin, un documentario contro l'apartheid che uscì nel 1959 e nello stesso anno, fu invitata al Festival del cinema di Venezia. Prese parte al musical jazz sudafricano King Kong, che ricostruiva la carriera del pugile Ezekiel Dlamini, noto con lo pseudonimo di “King Kong”, a cui era proibito battersi con i bianchi. Lo spettacolo, rappresentato per la prima volta in Sudafrica nel 1959, condannava il regime dell’apartheid e divulgava avvenimenti come il processo per tradimento a cui furono sottoposti a Pretoria Albert Luthuli, Walter Sisulu, Nelson Mandela e Oliver Tambo.

La cantante era divenuta famosa in tutto il mondo per il suo incessante impegno civile. Nel 1963 portò la propria testimonianza all’assemblea delle Nazioni Unite, descrivendo gli orrori dell’apartheid e reclamando il boicottaggio del regime razzista sudafricano. Il governo sudafricano rispose vietando la sua musica, revocandole la cittadinanza e condannandola all'esilio. Possedere i suoi dischi veniva considerata prova di attività sovversiva e bastava per essere fermati dalla polizia bianca sudafricana. Trasferitasi prima in Europa e poi negli Stati Uniti, incise numerosi album, tra i quali Miriam Makeba (1960), An Evening with Harry Belafonte and Miriam Makeba (1965), Pata Pata (1977), Sangoma (1988), Welela (1989), Africa (1991), Homeland (2000).

La musica era una delle armi più potenti di rivolta e di speranza nei bantustan e nelle township. Ora, le canzoni di Miriam Makeba vengono ancora cantate per le strade durante le manifestazioni che rivendicano il diritto alla casa, a un lavoro, a una vita dignitosa.

In seguito al suo matrimonio, nel 1968, con il leader delle Pantere Nere Stokely Carmichael, i suoi contratti discografici furono annullati, dato che “Mama Africa” combatte con la voce, e questo fa paura. Makeba e Carmichael emigrarono in Guinea, dove divennero amici del presidente Ahmed Sékou Touré e di sua moglie. Svolse il ruolo di ambasciatrice della Guinea presso le Nazioni Unite. Dopo la morte della sua unica figlia Bongi, era tornata a vivere in Europa. Ricevette il Premio Dag Hammarskjöld per la Pace nel 1986 e nel 1987 collaborò al tourGraceland” di Paul Simon. Poco tempo dopo pubblicò la propria autobiografia, Makeba, My Story (trad. it. Miriam Makeba – La mia storia, ed. Lavoro, 1989).

Nel 1990, Nelson Mandela convinse Makeba a rientrare in Sudafrica per accompagnare lui e l'African National Congress (Anc) nella difficile costruzione di una nazione libera e democratica. Nel 1992 recitò accanto a Whoopi Goldberg nel film, Sarafina! Il profumo della libertà di Darrell Roodt, incentrato sulla vicenda degli scontri di Soweto del 1976 e nel 1996 in Quando eravamo re, di Leon Gast e Taylor Hackford che attraverso interviste e filmati d'archivio, ricostruisce la carriera di Alì-Cassius Clay e la sua battaglia per i diritti civili. Nel 2002 prese parte al documentario A Revolution in Four-Part Harmony.

La prima volta che acquistai un suo disco, ancora in vinile, ne rimasi sorpresa, perché pur conoscendo le radici africane del blues e del jazz, le melodie e i ritmi di Welela non li avevo mai sentiti altrove. Guidata dalle note, straniere e familiari allo stesso tempo, ritornavo a un mio luogo di origine. Le note di “Mama Africa” erano diventate la mia musica consolatoria e incoraggiante per elezione, un’iniezione di energia e voglia di lottare.

Con la sua voce ha saputo mescolare le sue radici con il soul, l’impianto povero del kwela macinato nelle township e le tecniche vocali tradizionali (come lo schiocco, o click, tipico della lingua xhosa), con un pop dalle coloriture jazzistiche.

Il testo di Soweto Blues contenuto nell’album, è particolarmente struggente: «Parla degli eventi del 16 giugno del 1976, quando i ragazzi sudafricani decisero di dire no all’apartheid. Allora nel mondo li consideravano dei facinorosi. Da quando al nostro popolo è stato imposto lo stato di emergenza dal governo sudafricano, migliaia di persone sono state arrestate e incarcerate senza imputazioni. Il quaranta per cento di essi erano ragazzi dagli otto anni in su; poliziotti armati di mitra li hanno torturati e hanno loro sparato. Ma io penso che sia stato l’inizio della rivoluzione».

Ho trovato la seguente testimonianza di Yvonne Chaka Chaka sul sito dell’Unicef (www.unicef.it): «Il battito cardiaco di Soweto echeggia attraverso tutta l'Africa. Per quelli abbastanza vecchi da ricordarsene, Soweto simboleggia il coraggio. Nel 1976, anno in cui era in pieno vigore la segregazione razziale dovuta all'apartheid, i ragazzi della mia età, (avevo 11 anni all'epoca), furiosi di dover imparare l'afrikaans - considerata la lingua degli oppressori - decisero di protestare e di scendere in piazza. Il 16 giugno 1976 diecimila di loro, principalmente studenti, si riversarono nelle strade di Soweto e sfilarono in dimostrazioni pacifiche. Le autorità risposero con la forza. La polizia armata lanciò gas lacrimogeni sulla folla e gli studenti risposero con il lancio di pietre. Al termine degli scontri, 152 ragazzi giacevano a terra privi di vita. Le proteste continuarono anche nel 1977, anno in cui la repressione aveva già mietuto oltre 700 giovani vite. Il 26 giugno di quell'anno, il governo revocò l'insegnamento dell'afrikaans nelle scuole frequentate esclusivamente dai neri: un trionfo per il movimento anti-apartheid».

Nel 2005 Miriam Makeba fece un tour mondiale di addio alle scene, cantando nei paesi che aveva visitato durante la sua vita. A maggio di quell’anno ho avuto il piacere di assistere a un suo concerto, nell’ambito di “Lingua Madre”, un’iniziativa della Fiera del libro di Torino, durante la quale erano stati presentati scrittori come il somalo Nuruddin Farah, i sudafricani Achmat Dangor e Zakes Mda, il tunisino Samir Marzouki, l'afgana Saira Shah, il congolese Emmanuel Donala, i caraibici Patrick Chamoiseau, Madison Smartt Bell, Raphael Confiant e Dionne Brand.

La sua danza sciamanica rivelava il suo legame con la terra, che passa per il territorio degli antenati e degli spiriti amadlozi e, con la musica, aveva trasformato un non-luogo come quello della fiera, in un angolo di Africa. Non a caso sua madre era una isangoma, sciamana e guaritrice, che le aveva trasmesso la conoscenza di una dimensione “dove le cose cominciano e finiscono, ma non muoiono mai”.

 

Erveda Sansi


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