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La maestra Mara 
di Antonella Fimiani
07 Luglio 2020
 

Mara Barbiero è una giovane maestra che non si è mai persa d’animo. Quando la pandemia ha serrato le porte della sua scuola di Colico, un paesino in provincia di Lecco, lei ha subito aperto quelle invisibili della sua casa. Il legame spezzato con i suoi bambini è stato ricucito dal filo della rete che ha permesso di mantenere un rapporto emotivo, prima che educativo, con i suoi alunni. Le storie raccontate tra i banchi, guardandosi negli occhi, hanno preso vita in un mondo virtuale, attraverso disegni e parole sapientemente intrecciati in video e inviati quotidianamente ai suoi allievi. Un lavoro prezioso che ha provato a restituire un senso di normalità in un momento di angoscia e spaesamento, specie per i più piccoli.

In piena pandemia, mi colpì la foto circolata sui giornali di un bambino di Napoli che aveva chiesto alla mamma di potere indossare il suo grembiulino e di sedere in un banco nell’incontro quotidiano con la maestra davanti al pc. L’immagine del piccolo studente, vestito di tutto punto e seduto come a scuola, incuteva tenerezza e insieme malinconia. Restituiva l’idea di quanto la classe fosse vitale per milioni di bimbi. L’urgenza infantile di normalità, nella richiesta di essere “come a scuola”, rendeva vivida l’assenza di una comunità fondamentale e insostituibile. Il miracolo l’hanno fatto le maestre e i maestri come Mara, intuendo da subito l’urgenza di tenere insieme la loro comunità, anche avvalendosi di mezzi propri, per non perdere il senso di una relazione affettiva fondamentale.

Le favole “da lontano” non hanno avuto lo stesso suono di quando ci si poteva abbracciare ma sono riuscite a tenere uniti. La voce della maestra sussurrata attraverso lo schermo ha preservato, per quanto possibile, l’idea di una parvenza di normalità. La stessa che il bambino di Napoli rivendicava nella richiesta di sedere in un banco con indosso il suo grembiule. In questi ultimi mesi, i più piccoli hanno pagato un prezzo altissimo: quello di vedersi privati di un luogo di riconoscimento imprescindibile.

È stato difficile il tempo dell’infanzia nel chiuso di casa e con il filo della dad, acronimo della “didattica a distanza”, in una forma di relazione non relazione. La rete si è rivelata l’unica soluzione possibile nella tempesta incombente ma rischia, se protratta, di minacciare quel naturale bisogno di contatto fisico ed emotivo proprio dei bambini. La dad non può essere fatta passare per didattica perché rimane uno strumento, come un libro, una penna, un pc. Questo è ancora più evidente per i più piccoli, incapaci di una autonomia di apprendimento, assolutamente bisognosi di una relazione educativa in presenza. Le case hanno eretto barriere tra le famiglie che hanno potuto permettersi una connessione efficiente o meno, uno o più tablet e pc a seconda dei figli, tempo, spazio e disponibilità economica da dedicare allo studio dei più piccoli. La scuola ha tentato disperatamente di arrivare a tutti e non sempre ci è riuscita. Il mondo di internet si è rivelato fortemente discriminatorio.

Tanti sono gli interrogativi sul prossimo autunno. L’urgenza di aule più ampie, la necessità di un aumento del personale scolastico in vista di possibili turnazioni sono problemi annosi ritornati potenziati dalla minaccia Covid. La pandemia ha rivelato una mancanza che l’universo scolastico denuncia da tempo in quanto figlia di decenni di cattiva politica. Sappiamo tutti che l’urgenza di questi mesi ha messo a nudo che non c’è più tempo per aspettare. C’è bisogno che la scuola torni ad essere ai primi posti dell’agenda politica. C’è necessità di una visione in grado di cavalcare la tragedia di questa lunga contingenza per ripensare il futuro. In ballo è il tempo prezioso e insostituibile dell’infanzia di milioni di bambini. L’impegno di maestre e dei maestri di buona volontà da solo questa volta non potrà bastare.


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