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Anna Lanzetta. Parliamone insieme: A difesa delle donne contro ogni violenza
25 Novembre 2012
 

Le donne sono vittime di una cultura arcaica per la quale, in passato, sono state accusate di fatti atroci e sottoposte a violenze inaudite. Basti pensare alla storia di Hipatia d’Alessandria, filosofa e scienziata del IV-V secolo d. C., fatta a pezzi, perché troppo colta, da uomini fanatici, forse monaci detti “paraboloni”, offesi e umiliati dalla sua cultura e dal potere che esercitava sulle folle, sperando di riscattare nell’orrore il proprio onore. Molte donne nell’antichità sono state esposte a violenze per aver coltivato la passione per lo studio. Ancora oggi persiste la violenza contro le donne che fanno della cultura un’arma per l’emancipazione femminile del proprio paese. Ha solo 14 anni, Malala Yousufzai, l’attivista pakistana gravemente ferita alla testa e al collo dai Talebani per il suo impegno nel promuovere l’istruzione femminile nel suo Paese.

La violenza è indice di grettezza mentale, frutto di un pregiudizio endemico.

La donna è stata sempre e in varie forme esclusa e segregata.

Non è facile mutare il volto di una società, maschilista per antonomasia, ma la donna ha lottato e lotta per la parità.

Come definire la violenza contro le donne? Gelosia, vanità, presunzione, intolleranza, timore? Certo è che il problema è degli uomini arroccati all’idea di possesso.

Nata da una costola di Adamo (come si dice), la donna è considerata subalterna all’uomo. Ha forse un’anima? È forse uno dei pilastri della società? Con tutti i mezzi è stata demolita la sua immagine, dimenticando che fu il grembo di una giovane donna ad accogliere il Redentore.

La donna è stata definita: tentatrice, demonio, strega e quant’altro di negativo si possa immaginare non considerando che la società è stata matriarcale. La donna è stata ritenuta nelle società antiche (e non solo) sottomessa all’uomo ed è prevalsa l’immagine della donna-Penelope, simbolo di fedeltà, di onestà, di moglie, di madre e di angelo del focolare, termine che appagava il gusto maschile di segregazione, di controllo e di comodo. Ma la donna ha lottato con coraggio anche a costo della vita, pur di liberarsi di questo cliché.

L’educazione un tempo si basava sulla netta distinzione tra maschi e femmine e a scuola si insegnavano le attività domestiche separando così ruoli e funzioni. In caso di indigenza era sempre la donna a essere sacrificata. La donna sposata passava dal dominio paterno all’arbitrio del marito ed era esposta senza difesa a ogni sorta di violenza. Erano sempre gli altri a decidere della sua sorte e in caso di trasgressione era punita con la morte; Dante ce ne offre alcuni esempi.

Nel tempo l’educazione della donna è mutata; è riuscita ad accedere allo studio, a ottenere il diritto di voto, a raggiungere ruoli sociali ma il pregiudizio permane ed è ancora esposta a ogni forma di violenza, una condizione che ci induce a riflettere sul concetto di società evoluta per cui una società non può definirsi tale se non tratta tutti i suoi membri in modo paritario e se rende le donne ancora vittime.

Molte sono le iniziative a carattere socio-politico e culturale a tutela delle donne esposte a forme di violenza inaudita che si consuma essenzialmente tra le mura domestiche. Le leggi e i centri di assistenza aiutano e invogliano le donne a denunciare gli aggressori, a superare la paura della ritorsione ma la diffidenza permane ed è ancora limitato il numero delle donne che denunciano. È chiaro tuttavia che il problema è dell’uomo per il quale l’uso della violenza in tutte le sfere sociali è un sistema di difesa, di potere e di controllo. La violenza sia fisica che psicologica e verbale tende a intimorire, a sottomettere, ad annientare, a indebolire la mente e la volontà della donna fino a non avere opinioni, emozioni, possibilità di reazione.

Il problema, segno di un degrado che si acuisce chiama in causa l’intera società. Si parla di un aumento di donne violentate e uccise e se si pensa a quelle oscure ci si rende conto di quanto sia grave il problema che richiede un impegno comune. La donna non deve essere lasciata sola in questa battaglia. Gli interventi politici devono essere sempre più mirati, continui e sistematici. Per poter lottare la donna deve recuperare essenzialmente la stima verso sé stessa e l’orgoglio di essere donna.

Una società potrà evolversi, solo quando sarà l’uomo ad emanciparsi.

 

Contro la violenza, l’educazione.

Avevamo lavorato bene con i nostri ragazzi a scuola, perché mutasse la visione di un mondo in cui la supremazia spettasse al maschio ma la perdita di valori di questi ultimi anni ha vanificato ogni sforzo e l’immagine della donna-oggetto ha preso il sopravvento, azzerando la parola rispetto. Spetta alla donna recuperare il ruolo che le compete e per il quale un tempo ha lottato; urge la sua presenza in ogni sfera della vita sociale. Ma per farlo ha bisogno del sostegno dell’intera società e di un forte impegno culturale a carattere didattico-educativo.

È la scuola la sede in cui bisogna affrontare il problema della violenza contro le donne con gli studenti fin da piccoli attraverso l’ascolto, la creatività, il gioco ma essenzialmente attraverso la conoscenza di donne che hanno segnato pagine importanti della nostra storia. Non è facile scardinare i pregiudizi ma si può attraverso un insegnamento che privilegi in tutte le discipline figure femminili e maschili in modo paritario.

Manca nella scuola una cultura al femminile, un’adeguata conoscenza della donna e del suo intercalarsi nella storia. Sono pochissimi, nei percorsi didattici, i nomi di donne che hanno operato nei vari campi dello scibile e che sono morte per una causa, un’ideologia o per il proprio pensiero. Solo il processo di formazione può garantire un adeguato approccio fino a rifiutare la violenza come barbarie sociale.

È l’informazione la base dell’educazione, il mezzo più idoneo per conoscere e abbattere il pregiudizio.

La violenza contro le donne mina le fondamenta della nostra società che ama definirsi in progress. Molte sono le iniziative a livello socio-politico per combatterla, ma il numero delle vittime è in aumento. Il problema non è semplice e si deve affrontare insieme con la famiglia, perché è in famiglia che si consumano le peggiori violenze di cui i figli sono testimoni. I bambini seguono i modelli con i quali convivono e ne ripetono i gesti: i maschi con la violenza iterata, le femmine subendola. La violenza genera violenza ed è questo l’aspetto più raccapricciante del problema. Siamo sempre noi adulti a ledere i canoni dell’educazione offrendo di noi un’immagine negativa. Il problema non riguarda solo le classi meno abbienti che vivono una condizione di precarietà ma tutti i ceti a dimostrazione di quanto la violenza sia insita nel vivere quotidiano. Il tempo più proficuo a scuola è quello dedicato all’educazione alla convivenza, che assicuri a tutti i membri della società, dignità e rispetto, elementi essenziali perché una società si evolva.

La violenza sulle donne è segno di grave inciviltà che deve spingerci a riflettere affinché i nostri figli non subiscano le nostre negligenze e non ripetano i nostri errori; è questa una nostra responsabilità.

Solo l’istruzione può aprire le menti alla riflessione e abbattere l’oscurità che ci sovrasta. È tra i banchi che si educa e si legittimano principi e regole. I soldi investiti in cultura sono i più fruttuosi perché la formazione pone le basi del vivere civile.

Di fronte alla violenza, sembriamo foglie sparse su un terreno arido portate come automi lontano dalla vita al primo soffio di vento, fragili nella volontà, privi di quel pensiero, di quella volontà che ci consente di compararci e di contrapporci. Ma noi non siamo foglie, siamo realtà pensanti. Noi possiamo, noi dobbiamo agire. La colpa di quanto sta accadendo sta in tutti noi che abbiamo perso i parametri del vivere civile in un mondo in cui la corsa all’avere è sproporzionata all’essere.

Forse incautamente abbiamo allontanato da noi la fonte di ogni conoscenza, il libro, la parola, il sentimento, deviati nelle nostre scelte da miraggi inconsistenti.

Nella lotta alla violenza sulle donne, dobbiamo riscoprire la nostra identità di persone nutrite di forza e di coraggio, capaci di dialogare e di superare lo stato di ferinità che ci attanaglia. Il cammino della donna per rivendicare il rispetto che le è dovuto di diritto è molto arduo e lo sarà fino a quando non sarà l’uomo ad emanciparsi, aprendo gli occhi, deponendo le armi della presunzione e comprendendo che la parità è un diritto di natura dato che gli esseri, pur diversi fisiologicamente, hanno gli stessi diritti e meritano lo stesso rispetto.

Perché si superi questa differenza radicata è necessario applicare la pars destruens e la pars costruens dove la demolizione riguarda le differenze e i pregiudizi maturati nel tempo e la ricostruzione la nascita di un mondo in cui tutti hanno diritto di esistere con pari dignità.

Il rispetto reciproco si insegna da piccoli ed è questa semplice parola che ci rende civili perché riscatta la dignità altrui e la propria onestà.

 

Anna Lanzetta

Responsabile Sezione Didattica Associazione Culturale MultiMedia91

 

 

Immagine

Charles William Mitchell (Newcastle upon Tyne, 1854-1903), Morte di Ipazia (1885). Hipazia d’Alessandria (Alessandria d’Egitto, 355/370-415), matematica, astronoma e filosofa.


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