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“L’unico filosofo che mi piace leggere è Montaigne”: la scettica e pungente malinconia di Hans Raimund
17 Ottobre 2008
 

«Nel 1984 lasciai Vienna. Ho vissuto tredici anni in Italia, a Duino, nei pressi di Trieste: non proprio nel sud, ma vicinissimo al mare, non sempre sotto un cielo azzurro e un sole caldo, e neanche lì era tutto semplice … Ma era l’Italia!».

Questo racconta di sé in un’intervista, Hans Raimund, poeta scrittore e traduttore nato nella provincia austriaca nel 1945, e che oggi divide la sua vita fra Vienna e un piccolo borgo del Burgenland, vicino alla frontiera ungherese. Nonostante questo lungo soggiorno nel Carso, Raimund si sente profondamente viennese, legato com’è a questa città in cui ha vissuto i suoi primi quarant’anni di vita. E benché per un verso la consideri un luogo mefitico e irritante - come già il suo conterraneo Thomas Bernhard, al quale fa volentieri riferimento come modello -, per l’altro non può misconoscere che lì siano le sue radici. Impietoso è tuttavia sempre lo sguardo dello scrittore su se stesso, il proprio mondo, le cose; e tutto viene da lui descritto, dopo una lenta e paziente osservazione1 - tecnica che Raimund, deridendo le pose di tanti intellettuali, dichiara di aver appreso dal suo amatissimo cane e non da Adorno - in maniera essenziale e quasi riottosa, guardinga e mai animata dal desiderio di piacere alla massa. Perché, come predilige i luoghi di frontiera, in cui le culture si oppongono e sovrappongono, così Raimund ama scrivere nei modi che non appartengono ai dettami della cosiddetta industria culturale ufficiale, ma si situano in quella “terra di nessuno” che sta fra musica, la sua prima passione, e letteratura.

Un esempio:

 

Sentiero Rilke 5 aprile 15.31

 

Il sole brilla

Gli alberi frusciano

Il vento soffia

I cespugli odorano

 

Il mare luccica

I gabbiani stridono

Il cane ansima

La pietra scalda

 

Frasi semplici:

Soggetto

Predicato

Niente Complementi

 

La poesia, di una semplicità quasi irritante eppure capace di restituire in poche pennellate le molteplici suggestioni di un paesaggio (non va dimenticato che Raimund ha tradotto in tedesco i poeti triestini Umberto Saba e Virgilio Giotti), è proposta nella traduzione di Luisa Varesano, curatrice di un’antologia che offre al pubblico italiano un’ampia panoramica della produzione di Hans Raimund. Fuggiasco… ma con amore (Faenza; Mobydick 2008), s’intitola il volume, e raccoglie saggi, racconti, articoli, poesie, che, proposti in successione cronologica, permettono di ricostruire il percorso umano e artistico di un autore che è insieme un timido e un provocatore, un dissacratore di miti (p. es. quello di una Trieste che secondo Claudio Magris è il ricettacolo di una secolare cultura mitteleuropea, mentre ai suoi occhi non è che un obsoleto, mefitico reliquiario) e un poeta sensibile alle meraviglie e alle devastazioni della natura e dell’amore, che sa alternare un’amarezza mordace ai toni della più intensa elegia. L’ambivalenza2 caratterizza Raimund anche come “fuggiasco”, ossia come persona che coltiva, per assurdo, una sorta di nomadismo stanziale: «Col mio modo restio, recalcitrante di cambiare luogo, io non appartengo […] né alla categoria del viaggiatore né a quella del turista», dichiara Raimund, che preferisce considerare se stesso un «villeggiante a lungo termine», che ovunque prenda dimora non si sente mai a proprio agio: «Io sono sempre stato uno straniero - e oggi lo sono nuovamente - anche nella mia città natale, Vienna».

Legato da un rapporto sempre anche di repulsione per i luoghi in cui si è dipanata la sua vita, Raimund resta cioè sempre un Fuggiasco… ma con amore, consapevole che, come dice una poesia di Lucio Piccolo3 da lui tradotta in tedesco:

 

Di soste viviamo: non turbi profondo

cercare, ma scorran le vene,

da quattro punti di mondo

la vita in figure mi viene.

 

Sulla sua attività di traduttore, «un nobile dono», come la definisce Mario Erschen nella “Presentazione” al volume, Raimund torna spesso, confermando con questa sua passione la sua vocazione di Grenzgänger, di frontaliere e mediatore fra due mondi.

Il volume evidenzia nel complesso quel tratto di ruvidità4 che caratterizza la vita e l’opera di questo scrittore ombroso e scontroso, sempre diffidente anche verso se stesso e quindi sempre all’erta, attento a non cadere mai nelle banalità della retorica, a conservare una sobrietà stilistica che si faccia veicolo, senza orpelli e superflui arzigogoli, delle sue emozioni, del suo disagio e della sua fierezza di intellettuale che non si piega alla logica e alle mode di un’industria culturale insulsa, sempre alla ricerca di persone e oggetti di culto.

 

Gabriella Rovagnati

 

 

1 Der lange geduldige Blick [Il lungo sguardo paziente] è il titolo di una raccolta poetica di Raimund del 1989.

2 Cfr. Gabriella Rovagnati, L’enigmatica stabilità dell'incertezza, in Hans Raimund, Stanze di un matrimonio, Faenza: Mobydick 1997, pp. 7-12.

3 Lucio Piccolo, Von Rasten leben wir. Ausgewählte Gedichte, aus dem Italienischen von Hans Raimund, Klagenfurt: Wieser Verlag 2004.

4 Hans Raimund, Das Rauhe in mir. Aufsätze zur Literatur und Autobiographisches 1981-2001, St. Pölten 2001.


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