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La città verticale di Mirco Denicolò 
Con breve nota di Patrizia Garofalo
24 Giugno 2014
 

«Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l'altro; senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d'uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.

Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s'è quasi difeso”».

(Da Il labirinto di J.L. Borges)

 

 

Apertura

E allora via tutto, perché questi edifici ci hanno guastato passioni e pensieri.

Via tutto. Le famiglie dalle case, i bambini dai parchi, via i baci scambiati prima di entrare a scuola; via questi monumenti alla corruzione, queste scacchiere di mattoni e piante ornamentali, questi castelli di insegne e divieti.

Via tutto, via gli schiavi e le puttane, via i potenti, via i professori, via l’odore del cibo cotto e quello delle immondizie; via i pianti, via le grida via i dolori, via gli uccelli, e che arrivino gli insetti.

Che vengano le formiche, che frantumino a morsi le fondamenta di tutti i palazzi, i basamenti dei ponti e che riducano in polvere tutte le strade.

Che le acque risalgano dalle loro culle minerali, che invadano le cantine e le gallerie, che si arrampichino sulle rampe delle scale e negli ascensori, che inondino le stanze da letto e le sale riunione e le banche e le fabbriche e gli asili nido.

Che tornino i pesci ad abitare il mondo, e che il sale del mare cristallizzi quello che rimane.

Quando avremo perso tutto ci arrampicheremo sui muri e saliremo sulle cime dei tetti.

Allargheremo le braccia e ci faremo dilaniare dall’aria.

 

Capitolo uno

I parchi erano ormai blocchi di ruggine, sui lati delle strade erano scomparsi gli edifici più fragili, qua e là sbocciavano nuove specie di fiori. I pesci nuotavano senza mai fermarsi lungo percorsi immaginari di treni ed automobili.

 

Capitolo due

La città nuova venne costruita con la ruota di un vasaio, la maggior parte delle case assomigliava ad un forno o ad una pentola e dai camini usciva profumo di biscotti.

 

Capitolo tre

Sbocciano fiori tra le setole dei pennelli.

Gli oggetti più comuni lasciano impronte sulle mani.

Le posate sono fabbricate per creature che hanno dieci dita per mano, tutte opponibili.

Tutti gli oggetti meccanici cambiano forma nelle ore notturne.

 

Capitolo quattro

Nella città edificata dopo il crollo di quella vecchia le sculture più antiche sono diventate luminose come lampade ed i busti dei commendatori finalmente hanno smesso di parlare, le statue nude sono incatenate.

Un angelo ha chiuso per sempre tutti i musei ed ha scritto sulle loro porte e parole “torno subito”.

 

Capitolo cinque

Di tutti i libri andati dispersi si salvarono solo una decina di frasi. Ognuna è stata trascritta in un luogo differente della nuova città, come un buon augurio.

Un’unica frase è rimasta senza destino: ricordava una storia divertente e ridere ora è diventato difficile.

Una infine promette consolazione, e questa è stata mandata a memoria da tutti i nuovi abitanti, pur sapendo che la memoria è una sostanza fragile.

 

Chiusura

Quando crolla una città scompaiono amori che non sapevamo di coltivare. Ci voleva quel disastro perché ci rendessimo pienamente conto di quanto affetto nutrivamo per la fermata del tram, i cani che si azzuffano, e quanto ci manca ora l’odore delle nostre camere da letto.

Forse è per provare queste assenze che abbiamo bisogno ogni secolo di ricominciare da capo: un terremoto per capire quanto eravamo affezionati ai nostri rumorosi vicini, un bombardamento per sapere che le invasioni dei poveri e dei mendicanti ci erano indispensabili per tirare avanti a campare, indispensabili.

Adesso non c’è più nulla, adesso soffia il vento, adesso siamo rimasti soli a sentire il pulsare delle nostre vene. Adesso una nuova città sta nascendo, via da qui, senza di noi. Una città che farà gli stessi sbagli, gli stessi errori che noi abbiamo già fatto, soffrirà le gioie e le pene che noi abbiamo già sofferto e si alimenterà e diverrà cibo come a noi è già successo.

Ma forse in questo ripetersi si nasconde qualcosa, forse nel ricominciare è celato un senso che ci sfugge e che sembrerebbe a portata di mano, forse il cuore pulsante della vita è sempre un passo avanti alle nostre vite.

 

Mirco Denicolò

 

 

 

… “E alla fine ci dilanierà l’aria”… tu dici… “sopra i tetti di case “calcinate” aggiungo io.

Poi tornerà il mare, arriveranno i pesci e i fiori e le città le cui fondamenta saranno costruite da artigiani… e individui con dieci dita opponibili per ogni mano... poi tornerà la fantasia di ricostruire dentro il vortice dell’assenza.

Un mondo che, nella cancellazione avvertirà la nostalgia del passato e nel contempo la necessità del nuovo… insaziabile permarrà quel profondo vulnus preesistente all’uomo… quello spazio di macerie che aveva creduto, in verticale, poter invadere il cielo, conquistarlo e superarlo... e invece ha perso i baci rubati dentro i portoni… e raso al suolo l’arte come essenza, come spiritualità, come esilio e… dopo lo sconquasso… liquame, sporcizia e topi… prima della luce… le transizioni… e le parole che ci interrogano...

Grazie Mirco

Patrizia Garofalo


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