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Marco Furia: su “Della poesia per frammenti” di Antonio Prete.
Amtonio Prete
Amtonio Prete 
30 Ottobre 2006
 
Acuto, lo sguardo di Antonio Prete, in Della poesia per frammenti (Anterem Edizioni, 2006, Verona), coglie “l’esilio dal senso” del poeta quale ìndice di estrema capacità espressiva, assegnando, dopo la “moderna analogia” del Leopardi, al “pensiero poetante” “un solo scopo”: “salvare la lingua dalla sua impotenza” “senza affidarla” al “buon senso”.
Ci si chiede: può uno scopo conferire senso?
Certamente, a mio avviso, a condizione di ritenere l’istanza poetica un uso di materiale linguistico del tutto autonomo, a patto, cioè, di considerare tale istanza vero e proprio campo di energie nel cui àmbito il poeta compie le sue mosse allentando, a volontà, i legami imposti dai comuni canoni.
I testi raccolti insistono, leggiadri ma risoluti, sul divario tra versificazione (capace di segnalare “come sia inseparabile la fisicità del suono dalla astrazione del senso”) e costume idiomatico: immagini, dal pregnante fascino, si alternano a citazioni proposte con quel garbo tipico di chi individua nella consapevolezza della inesauribilità del discorso la necessità di continuarlo.
Esiste il “tu della poesia”, “le cose stanno nel linguaggio come presenze” ed è “in compagnia del lettore che il poeta” compie il suo arduo viaggio, offrendo specifiche opzioni verbali, vere e proprie custodie “del creaturale”, con riferimento ad un altrove ineffabile e tuttavia avvertito.
La poesia, si suggerisce, opera secondo una duplice direzione: mentre, da un lato, si differenzia dal comune calcolo logico con esiti estetico-artistici, dall’altro mostra l’umana maniera di esistere nell’espressione più tipica, quella della comunicazione.
Una maniera di esistere in cui la lingua , nell’impossibilità di esprimere l’impulso vitale che la fonda, risulta (soltanto!) un complesso, sofisticato reticolo di coordinate tese su muti mondi: non cedendo a disillusioni o pessimismi, Prete si rivela non ignaro di come visioni perspicue possano costituire salvifiche prese d’atto.
Quanto abbiamo costantemente sott’occhi, come l’uso linguistico, spesso ci sfugge nei suoi aspetti più intimi: il verso, con le sue spiccate peculiarità, sottraendo allo sguardo quotidiane apparenze, riesce a richiamare l’attenzione su tale utilizzo, consentendoci di riflettere.
Come “i fiumi” “di Luzi” mostrano “la grazia della pienezza” “in rapporto con l’affanno dell’aridità” e “il vento”, proprio in quanto più o meno intenso, scioglie in specifiche evocazioni le modalità dei suoi aspetti, così il “buon senso”, a contatto con la “riconoscibilità” “del poetico”, viene a mostrarsi in tutta la sua umana valenza, privato di qualunque mitico (o metafisico) alone:
l’originale atteggiamento del singolo, insomma, getta luce su comuni consuetudini.
Delicata, ma incisiva, la scrittura.
 
Marco Furia
 
 
NOTA BIOGRAFICA
Antonio Prete è nato a Copertino, nel Salento, è vissuto a lungo a Milano e ora vive a Siena, dove insegna Letterature Comparate. ha tenuto corsi, conferenze e seminari in molte università di altri paesi. Ha partecipato alla redazione e ideazione di diverse riviste letterarie, tra le quali Il gallo silvestre. Forme privilegiate della sua scrittura sono il saggio, la narrazione, la traduzione. Suoi scritti sono tradotti in diverse lingue.

Foto allegate

Edizioni Anterem, Verona, 2006.
 
 
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