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Mario Rigoni Stern: "Il sergente nella neve". Ri-lettura di Maria Lanciotti
27 Novembre 2009
 

«La nostra maniera di vivere è sbagliata, tutto è così rapido e veloce, non c’è più tempo per meditare» disse della società attuale Rigoni Stern autore de Il sergente nella neve, considerato il più famoso libro di guerra uscito in Italia sulla ritirata di Russia. Nato nel 1921 ad Asiago da una famiglia di stampo patriarcale, in una casa ricostruita sulle macerie della grande guerra dove il fuoco era sempre acceso e l’ospitalità era sacra, Rigoni Stern vive la sua infanzia libera scorrazzando tra pascoli montani, boschi e prati, e sciando fuoripista d’inverno. Presto lo afferra la passione per la lettura – da Salgari e Verne a Gorki, Conrad e Tolstoj – e poi per la scrittura, fondata sempre sulle sue reali esperienze. Spirito avventuroso si arruola in marina e in seguito alla Scuola Militare d’alpinismo di Aosta, partecipa alla campagna di Grecia ed alla prima campagna invernale sul fronte russo, nel 1942 parte per il fronte orientale e rimane sul Don fino alla tragica ritirata nel gennaio del ’43. La prima stesura de Il sergente nella neve risale al 1944, scritta nei campi di concentramento tedeschi. Solo diversi anni dopo, nel 1952, Rigoni Stern ne farà una seconda stesura apportando modifiche e correzioni su consiglio di Elio Vittorini, e l’anno seguente Il sergente nella neve si aggiudica il Premio Viareggio opera prima.

Un libro commovente e vero in cui Mario Rigoni Stern – definito anche “un Tolstoj paesano” – racconta la storia come l’ha vissuta, con parole comuni, quotidiane, con l’attenzione alle piccole cose. Con la sua comunicativa semplice e diretta trasmette al lettore sensazioni, desideri e speranze, e la spinta a ricercare sempre un motivo di fiducia per guardare avanti senza cedere mai alla disperazione.

L’immagine finale – una culla, un bambino, il canto di una donna – è un puro atto di fede nei confronti dell’umanità, capace di riscatto qualunque sia il grado di abiezione in cui possa essere sprofondata. E la guerra, ogni guerra, è abiezione estrema. Restare uomini quando tutto converge all’avvilimento della persona e all’annullamento di ogni coscienza, è atto eroico. Necessario. Questo insegna Rigoni Stern.

Contrapporre un quadruccio di vita semplice ad un quadro d’immane distruzione quale fu l’ultima guerra, volendo così rovesciare sorti e prospettive, è la vera forza dell’uomo, la sola salvezza possibile per l’umanità, che Il sergente nella neve suggerisce:

«Il bambino dormiva nella culla di legno, che dondolava leggermente sospesa al soffitto, il sole entrava dalla finestra e rendeva la canapa come oro, la ruota del mulinello mandava mille bagliori, il suo rumore sembrava quello di una cascata, e la voce della ragazza era piana e dolce in mezzo a quel rumore».

Mario Rigoni Stern va letto, riletto e riflettuto. Oggi. La sua voce limpida e schietta è il parlare di un uomo che senza alzare la voce, senza sbandieramenti ideologici, chiamando le cose col loro nome senza giri e raggiri di parole, denuncia, semplicemente raccontando, gli errori e gli orrori ripetitivi della storia. L’opera di Rigoni Stern, l’umile alpino decorato medaglia d’argento “sul campo”, insegna che i valori fondamentali non moriranno mai, a condizione che l’uomo resti uomo. Così egli ammonisce: «Il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e il consumo consuma anche la natura. Consumando la natura, noi consumiamo l’uomo: consumiamo l’umanità».

Una voce, quella di Rigoni Stern – scomparso nel giugno del 2008 – sempre attuale, come attuali restano le conflittualità e le problematiche irrisolte, che insanguinano e inquinano il pianeta e i comportamenti umani.

 

Maria Lanciotti


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