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Gianfranco Cercone. “Tra la terra e il cielo” di Neeraj Ghaywan: un'idea dell'India
12 Giugno 2016
 

Sono così rari i film indiani che arrivano sui nostri schermi che quando capita di vederne uno, viene spontaneo interrogarlo come il reperto di un mondo in fondo sconosciuto.

Certo, il comune spettatore e il critico cinematografico in quanto tale non possono sapere se l'idea dell'India che filtra un film indiano sia veritiera, unilaterale o del tutto artefatta. Ma, per esempio, di fronte a un film come Tra la terra e il cielo del regista indiano Neeraj Ghaywan – presentato a Cannes nel 2015 e uscita in Italia soltanto ora – è certo legittimo chiedersi che idea ne esce dell'India odierna, nella quale la vicenda è collocata.

La premessa della storia è violenta, traumatica. Una ragazza e un ragazzo si appartano in un albergo a ore. Mentre sono nudi, a letto, irrompe la polizia. Accusano la ragazza di essere una prostituta (noi sappiamo che non è vero), la fotografano su quel letto minacciando di pubblicare quell'immagine. Quanto al ragazzo vorrebbero trarlo in arresto. E di fronte alle sue disperate resistenze, alle sue suppliche, gli dicono che riferiranno subito l'accaduto a suo padre. E il ragazzo, sentendosi perduto, disonorato, preferisce uccidersi.

È una scena da film di denuncia, che addita il male di leggi e costumi che reprimono assurdamente la libertà dei giovani; e in particolare la libertà sessuale.

Ma la reazione del ragazzo così inerme, rinunciataria fino appunto al suicidio, è sintomatica della mentalità di alcuni dei personaggi del film. Vittime di un sistema oppressivo, condividono intimamente le norme morali che fondano quel sistema. E per questo non hanno la forza interiore di contrapporvisi.

Così, quando il poliziotto che ha guidato l'irruzione nell'albergo, si mette a ricattare il padre della ragazza, lo minaccia di montare uno scandalo, facendo passare la figlia come responsabile del suicidio del suo amante occasionale, e così riduce quel brav'uomo alla miseria facendosi consegnare tutti i suoi risparmi, anche se il loro rapporto è tra un carnefice e una vittima, anche se si tratta di un caso evidente di estorsione, si avverte però una sostanziale affinità tra i due uomini. Tutti e due infatti ritengono che la ragazza, per il fatto stesso di voler fare l'amore liberamente, si è comportata come una depravata. Ed è giusto che il padre paghi lo scotto per averla educata così male.

In questo mondo così fatalisticamente e magari dolcemente abbandonato ad antiche e feroci tradizioni – quelle che per esempio prevedono che gli uomini siano irregimentati in caste rigidamente separate – sono forse nel film le ragazze, e in particolare la protagonista, l'elemento di contrapposizione più vivo.

Lei resta spesso in silenzio. Ma è un silenzio che il film, sottilmente, riesce a farci percepire combattuto. Di chi non parla non perché non ha ragioni da contrapporre a chi lo condanna, ma perché sa che comunque non sarebbe compreso. Ma non chiede perdono, non si giustifica, non accetta un lavoro sottopagato soltanto perché servirebbe a proteggere la sua reputazione, e abbandona il padre, a cui pure vuole bene, per un'altra città indiana forse più progredita.

Tra la terra e il cielo è un film a volte ingenuo, didascalico. Il personaggio di un ragazzo, coprotagonista, colui al quale la ragazza, si intuisce, sarà destinata, è troppo positivo per risultare vero.

Eppure, attraverso le espressioni, gli sguardi, certi comportamenti dell'umanità che raffigura, il film ci trasmette un'idea dell'India che sembra autentica.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da
Radio Radicale il 11 giugno 2016
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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