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Marisa Cecchetti. “La tua assenza è tenebra” di Jón Kalman Stefánsson
07 Luglio 2023
 

Jón Kalman Stefánsson

La tua assenza è tenebra

Traduzione dell’islandese di Silvia Cosimini

Iperborea, 2023, pp. 608, € 21,50

 

Siamo su un fiordo nel nord dell’Islanda, il tempo della storia va dalla fine del 1800 al tempo del Covid. Ma si parte dall’oggi, dal silenzio di una chiesa dove un uomo è seduto su una panca senza sapere perché si trova lì, senza avere coscienza di sé e del suo passato. Tutto cancellato. Alle spalle ha un individuo non ben identificato - un sacerdote? - che conosce i suoi pensieri e la sua vita, che non lo molla mai, come un alter ego o la sua stessa coscienza. Il cimitero accanto ha lapidi antiche ricoperte d’erba, alcune più recenti sono leggibili: “Il tuo ricordo è luce, la tua assenza è tenebra”.

Chi lo incontra lo riconosce e lo accoglie tra sorpresa e contentezza, lui ascolta sperando di ricostruire qualche pezzetto di sé.

Inizia così un sorprendente percorso nella creatività di Jón Kalman Stefánsson, che intreccia le generazioni che si sono succedute nel lungo arco temporale aprendo capitoli che portano lontano, non solo nel tempo, ma anche nello spazio dell’isola, e costringono il lettore a farsi domande. Chi è stato e chi è quest’uomo senza memoria che fissa parole di altri? “Credo che l’oblio, ho detto con prudenza con lo stomaco annodato per il timore di dire qualcosa di sbagliato, sia un buco nero assopito in mezzo a tutte le galassie, che annienta la luce emanata dai ricordi. Forse me la rammento la loro storia, ma non per intero. Raccontamela, dai”.

Una pila di fogli si fa sempre più alta sotto le mani dello scrittore che avanza con la storia, chiuso nello spazio di una roulotte insieme allo strano individuo multiforme, e intanto guarda il fiordo davanti a sé con i movimenti degli ospiti nell’albergo di Sóley e i preparativi per una festa.

Chi è Sóley, bionda esile creatura che cattura lo smemorato al primo sguardo e si stupisce di vederlo di nuovo dopo tanto tempo? Che parte ha avuto nella sua vita? Lui non ricorda. E non lo sapremo mai, perché tante domande rimangono senza risposta e attendono un seguito, così Stefánsson ha abituato i suoi lettori.

Il romanzo si costruisce piano piano, compaiono figure energiche di agricoltori, di pescatori, di donne sicure e decise esperte di meccanica ma anche di mucche e di tori, forti come quei ghiacci richiedono nella lunga notte d’inverno e nella luce dell’estate, nel silenzio e nell’isolamento, sempre compagni fedeli la musica e i libri. Molti personaggi ormai riposano nel cimitero tuttavia la loro storia narrata li salva dall’oblio.

Skúli e Hafrún sono marito e moglie. Hanno avuto due figli, Halldór e Páll, e hanno cresciuto un nipote, Eiríkur: se lo sono visto consegnare a pochi mesi di vita da una donna che ha scelto di rimanere nella propria famiglia, nonostante l’amore per Halldór e il figlio avuto da lui. Al bambino hanno detto che la madre è morta, solo a quarant’anni lui scoprirà di essere stato ingannato. Come ha portato avanti questa finzione suo padre Halldór, e quanta ombra è scesa su loro due per la mancanza di verità?

Ma anche Skúli è stato accompagnato dal postino sul fiordo a otto anni -il postino ha un grande ruolo in queste terre di ghiacci e di brughiere. Di chi è figlio Skúli?

E c’è Pétur, il pastore protestante che ha per moglie Halla “dalle mani di luce” ma nutre una incontenibile passione per una fattoressa dell’est, lontana dalla sua parrocchia sei ore a cavallo. La fattoressa è una donna del popolo, senza cultura ma con grandi intuizioni, che scrive articoli dove le intuizioni scientifiche si uniscono alla poesia.

Come sono legati a chi è ancora vivo questi due personaggi che vivono alla fine dell’ottocento? Stefánsson non svela se non seminando briciole sul percorso, con la voce narrante che entra ed esce, seguendo e commentando i personaggi che crea.

C’è anche una giovane donna, negli anni ’70 in viaggio sul fiordo insieme al suo promesso sposo, e una gomma che si fora, e il loro chiedere aiuto, e l’incontro di due sguardi: lei si chiama Aldís e vuole andare all’università e non ha mai pensato di fermarsi su un fiordo sperduto; lui è Haraldur, che eredita la fattoria di famiglia alla morte improvvisa del padre, ma avrebbe preferito l’università. Intanto guida un trattore, ascolta musica a tutto volume e ha occhi di un azzurro mai visto. Balza giù dal trattore e la guarda: saranno loro i genitori di Sóley e Runa, la donna che il nostro uomo senza passato incontra, che racconta storie bevendo con lui del rosso sul poggio del cimitero.

Vita e morte sono saldamente intrecciati nel romanzo ma in una visione serena, in una continuità di esistenze diverse, come in universi paralleli.

La musica riempie le pagine e le parole delle canzoni accompagnano e spiegano stati d’animo e momenti di vita. L’amore è dovunque, quello dei rapporti umani, dell’amicizia, dei legami familiari, l’amore per il proprio lavoro e per quella terra affascinante e inospitale; ma al di sopra di tutto c’è la potenza della passione con la sessualità che trabocca, potente e naturale, come vita della stessa Natura.

Impossibile e inutile una sinossi, il lettore deve sapere che parte per una avventura. Ne uscirà emozionato e umanamente arricchito.

Il registro di Stefánsson è leggero, alimenta la riflessione, l’immaginazione e il sogno. Trabocca di poesia e crea stupore fino all’ultima pagina.

 

Marisa Cecchetti


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