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Renzo Ruggieri, il jazz e la melodia italiana
10 Agosto 2007
 

«La creatività è un dono di Dio che ci ha voluti diversi da qualsiasi altro essere vivente. La vera creatività è umile, incomprensibile… la creatività è timida», scrive il fisarmonicista jazz Renzo Ruggieri in Timida creatività, volume pubblicato dall’associazione promozione arte in occasione del “Dolci Romori Jazz Festival 2006” (Roseto degli Abruzzi, Teramo).

 

Quest’uomo, jazzista, improvvisatore, creativo e soprattutto profondamente italiano, ha partecipato come docente e special guest al “Valtidone Summer Camp” (Piacenza), che offre un programma di corsi di perfezionamento musicale estivi, finalizzato alla realizzazione di scambi culturali internazionali. Non ho perso l’occasione di seguire le lezioni di questo maestro del jazz italiano. È una persona con idee chiare, irrequieto, giocherellone, con una capacità didattica e una progettualità che i suoi studenti apprezzano e colgono a pieno. Tra di loro ci sono talenti, già raffinati artisti, trentenni pieni di spunti.

Renzo si è fatto conoscere anche al Festival della canzone italiana di Sanremo 2007, quando Antonella Ruggiero (con la “o”: non sono parenti…) ha presentato il brano “Canzone fra le guerre”, che ora possiamo ascoltare nel nuovo album Souvenir d’Italie. La Ruggiero ha voluto recuperare alcuni dei brani più significativi composti dal 1915 al 1945, valorizzandoli in chiave jazzistica. La miscela, indovinata, visto il successo strepitoso, contiene la grande sensibilità di Renzo alla fisarmonica, Paolo Di Sabatino (pianoforte), Massimo Moriconi (contrabbasso) e il tocco del grande… Massimo Manzi alla batteria. Grandi nomi.

 

Per cominciare chiedo a Renzo di parlarmi della collaborazione con Antonella Ruggiero e dell’incontro tra jazz e pop, due mondi dai quali non è semplice trarre un terreno comune.

Io conoscevo già Antonella perché avevo messo la fisarmonica in alcuni suoi lavori. Ho avuto la possibilità di portarla a Pineto (Teramo) ad un festival dove sono direttore artistico. Chiamai Roberto Colombo (marito e produttore di Antonella) e loro accettarono. Da questo incontro nacquero delle idee. Lei aveva un progetto mai realizzato. Era sulla carta.

Dopo aver scelto l’idea della Canzone fra le guerre, che lei amava molto perché le ricordavano le canzoni che le cantava sua madre, abbiamo iniziato a parlare di “sonorità”. È una delle prime cose che si fanno quando si arrangia, soprattutto quando si incontrano più mondi. Abbiamo scoperto che c’era un terreno comune si cui lavorare, ed è stato positivo il fatto che ci hanno raccomandato che sonorità “non” avere. Ho iniziato gli arrangiamenti pensando di ottenere delle canzoni italiane con strutture tipiche della musica jazz, che sono essenzialmente dei mono-temi, quindi non la classica strofa-ritornello. In questo modo abbiamo potuto lasciare spazio ai solisti.

Così è nato il concerto. Non credo si aspettassero un così grande successo. Antonella Ruggiero è un fenomeno e in questa miscela tra pop e jazz viene molto valorizzata. I complimenti sono venuti, grazie al cielo, anche per il lavoro che le stava attorno. La novità di questo progetto è stata che i musicisti avevano spazio per esprimersi (come nel jazz), cosa che nel pop non avviene mai. Stranamente questo elemento ha portato acqua al mulino di Antonella. Ne è venuto fuori, appunto, un lavoro fatto di scelte eleganti. Il 15 agosto 2006, dopo un ennesimo concerto della tournée, Antonella ci comunicò che aveva intenzione di registrare il disco. Un’altra serie di coincidenze ha fatto sì che proprio la Canzone fra le guerre fosse scelta per Sanremo. Ora siamo in tournée con il disco.

 

Renzo Ruggieri ha però un’anima musicale che lo rende unico. Parliamo della tua ricerca musicale come solista, pensando ai tuoi Improvvisazioni guidate del 1998 e Storie di fisarmonica vissuta del 2005. Ma non dimentichiamo il tuo quartetto formato da grandi nomi (penso a Manzi alla batteria, Di Sabatino al piano) con cui hai registrato Accordeon Voyage nel 2000, Spaghetti time (2002), Bends (2005). C’è una linea che accomuna questi lavori?

Ieri sera, nella tua esibizione di fine corso, nel cortile esterno del comune di Agazzano, hai improvvisato su un tuo brano dal titolo Tango italiano. Nella tua improvvisazione hai evitato i cliché del jazz e nel contempo tendi ad inserire una sorta di “italianità”.

Ci sono tante strane ragioni che mi portano in questa direzione. Innanzitutto io suono uno strumento che non è inserito nella tradizione del jazz, quindi non avrebbe senso seguire quella direzione, anche se è chiaro che l’ho studiata, praticata.

 

Effettivamente sei diplomato in pianoforte jazz.

Sì. Ma so bene di essere nato in un periodo lontano da quella musica, in un paese lontano dalla tradizione vera, jazzistica. Forse non ho neanche la faccia per fare la tradizione vera. Io penso che la musica ti deve stare addosso.

Tutto è nato con un disco casuale che feci in Islanda, in preda allo stress più totale per dei repertori con non amavo, ma che mi davano da vivere e tanto risalto. Alla fine di una tournée, alla fine di un’intervista, mi sono accorto che c’era, nello stesso stabilimento, uno studio di registrazione molto importante. Mi dissi che per capirmi dovevo suonare liberamente. Prenotai due ore, suonai due ore.

Ricordo che alla fine avevo un mal di testa enorme. L’ascolto del giorno dopo fu strano e non mi piacque, anche se capii che c’erano cose interessanti.

Due anni dopo iniziai questo percorso di ascolto e mi resi conto che era nato il mio primo disco; mi veniva naturale suonare senza confini: con un’idea in testa da seguire. Il disco si chiamò Improvvisazioni guidate. Feci un tango, ma con un’armonia che non fosse del tango, richiamando degli stilemi tipici di questa musica, suonai un blues evitando gli standard, vidi un metronomo e cercai di fare dei ritmi poggiando le mani, e ne venne fuori un’improvvisazione dedicata al ritmo.

Era una strada che non mi avrebbe dato un risultato finanziario, ma avevo capito una direzione. In quel periodo giravo il mondo facendo il rappresentante per delle aziende e suonavo musica nella quale non credevo. Iniziò una fase nuova, iniziai a suonare la melodia italiana con il jazz per la testa. Per melodia intendo una ricerca metta importanza all’aspetto melodico.

 

Un’ultima considerazione: i tuoi studenti ti stimano moltissimo. Ho avuto il piacere di conoscerli e dicono che hai fatto capire loro quale strada prendere, con grande onestà. Così abbiamo Danilo Di Paolonicola, Salvatore Cauteruccio, Riccardo Salimi che si stanno facendo strada come musicisti, compositori e direttori artistici di diversi festival. Grazie Renzo, dicono.

Come prima cosa… li pago io!! Scherzi a parte… ho iniziato ad insegnare molto presto e ho avuto un iter molto variegato: conservatorio, come privato eccetera. Ho capito alcune cose fondamentali: non esiste l’impossibilità di suonare. Ogni individuo ha le sue problematiche: il compito dell’insegnante è di dire al proprio studente “tu hai questo problema”, ma mai dire “non puoi risolverlo”. Io penso che molti ragazzi mi seguono perché capiscono che io credo in loro, pur essendo onesto. Se un ragazzo ha problemi di ritmo, lui non diventerà un grande se segue la strada del ritmo, ma il mio compito è di portare a sufficienza quel suo difetto facendogli credere che questa cosa è possibile con l’impegno. Naturalmente devo anche guidarlo nella “sua” direzione.

Ho scoperto un ragazzo che ha forti problemi tecnici; l’ho incoraggiato a concludere e oggi ha un progetto di composizione strepitoso perché ha una vena compositiva assolutamente inedita, cosa che lui non avrebbe mai scoperto, se avesse mollato.

Avevo uno studente con problemi di ritmo pronunciati che si è rivelato un insegnante pregiato che ha creato una scuola importante nella sua zona. Insomma, i miracoli non esistono, ma le cose possono cambiare. Lo studente devi farlo sentire come un tuo secondo figlio.

 

L’allegria di Renzo si stacca dal microfono, per invitarci a concludere il seminario assieme, attorno al pianoforte e alle fisarmoniche che bollono di melodia e ritmo. Grazie.

 

Daniele Dell'Agnola

(http://daniteatro.wordpress.com)


 
 
 
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