Alcune considerazioni in merito alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo - istituzione che controlla l’applicazione della Convenzione Internazionale sui Diritti Fondamentali dei Cittadini - relativa alla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche.
Pressoché unanime è stata la reazione delle forze politiche italiane, sia di maggioranza che di opposizione - fatta eccezione per i radicali e per una minoranza all’interno del Partito Democratico e all’interno di partiti non rappresentati in Parlamento - nel condannare tale sentenza.
In particolare il neo-eletto segretario del PD, Pierluigi Bersani, ha parlato di “buonsenso vittima del diritto” e difeso “l’antica tradizione” del crocifisso. Perché, per una volta, non approfittare dello spunto offerto in Europa per aprire un dibattito all’interno del Paese e del maggior partito di opposizione, per far emergere la questione laicità e provare ad avviare una discussione serena e approfondita sul tema – ferme restando le singole e tutte rispettabili opinioni –? Invece di chiudersi, ancora una volta, al problema (timorosi forse degli strali vaticani?), liquidando la questione con una battuta veloce e, mi si perdoni, banale? Dibattito che potrebbe contribuire alla definizione di un profilo del Partito Democratico, che su molte questioni ci sfugge, più definito, anche per sostenere il confronto con il resto dell’opposizione (per eventuali alleanze) e con la maggioranza (per una trasparente alternanza). Dobbiamo registrare che siamo ancora ostaggio dell’Italia di don Camillo e Peppone?
Il crocifisso fa perno certamente – ovviamente! – su una antica, e rispettabilissima, tradizione. Nel tempo ha assunto molteplici significati, alcuni oggi ancora pienamente condivisibili; uno per tutti: l’immagine del Cristo in croce è uno straordinario simbolo contro la pena di morte, potente inno alla non violenza. La figura storica del Cristo, che ha lottato fino al sacrificio estremo per un ideale, che si creda o non alla sua natura divina, esprime la speranza in un futuro migliore per l’Umanità.
È d’altra parte uno dei simboli possibili che veicolano tali contenuti, e sì, certamente, il più riconoscibile nel nostro contesto culturale. Ma è, altrettanto ovviamente, il simbolo per eccellenza della religione cristiana, ha quindi una appartenenza, è “di parte”, oltre che una “sostanza” universale.
La sentenza offende la nostra identità? Ma il crocifisso è simbolo della Cristianità, non è il simbolo dell’Italia cristiana, non possiamo arrogarci il diritto, come stato laico e sovrano – pur se ospite sul suo territorio dello Stato del Vaticano –, di impossessarci, tanto da esporlo nelle aule delle scuole statali, di un simbolo che appartiene ad una comunità molto più vasta che travalica di gran lunga il nostro piccolo territorio nazionale.
Perché il timore, nel caso tale simbolo si rimuova dalle aule scolastiche, nel rispetto delle differenze religiose e delle posizioni non religiose, della perdita di identità culturale? Della perdita di valori? I così detti contenuti trasversali trasmessi nelle scuole italiane nel regolare svolgimento delle attività didattiche veicolano valori appartenenti alla nostra migliore cultura: rispetto dell’altro, non violenza, pari opportunità… Qualche tempo fa alcune maestre di scuola dell’infanzia, nell’illustrare i contenuti dell’ora di religione, rilevavano che sono in perfetta coincidenza con quelli proposti ai bambini nella quotidianità, in tutti i momenti della esperienza scolastica… E allora perché la necessità di un tempo specificamente dedicato (l’ora di religione), di un simbolo (il crocifisso) più che degno di rispetto da parte di tutti noi, ma inevitabilmente di parte e quindi lesivo, suo malgrado, della libertà di ciascuno e di tutti, come ci ricordano in Europa?
Non va dimenticato infatti che, se viene lesa la libertà anche di un solo appartenente ad una comunità, viene contemporaneamente lesa la libertà di ciascun individuo che in quella comunità vive.
Rossella Baldini per Scuola e Diritti
(per 'l Gazetin, dicembre 2009)