Finalmente ha la bicicletta, ora deve dimostrare di saper pedalare. In bocca al lupo a Pierluigi Bersani, neo-segretario di un Partito Democratico che non gli sarà facile governare. È un lupo con zanne affilate e denti aguzzi. Gli occorrerà molta di quella concretezza di amministratore emiliano che gli viene accreditata; al tempo stesso dovrà dimostrare, assieme al pragmatismo solido indispensabile a chi deve costruire una politica con i pochi utensili a disposizione, di essere dotato anche di fantasia e di capacità di visione strategica. Certo: lo attendono un po’ tutti ora, questuanti con ogni tipo di deleghe e cambiali da riscuotere. Dovrà sciogliere parecchi nodi: un partito che si presenta come sommatoria confusa di mille interessi tra loro in contraddizione, un magma che dalla vuota protesta deve apprendere la fatica della paziente proposta; dovrà fare i conti con un Nord sempre più sfuggente: che forse comincia ad essere deluso per le promesse che restano tali di un Berlusconi, che promette paradisi dove scorrono fiumi di latte e di miele, ma che giustamente non si fida di un’opposizione che agita logore parole d’ordine prive di significato; dovrà riuscire credibile a quei ceti medi impauriti e massacrati da un sistema fiscale iniquo, che mortifica chi produce e disincentiva ogni iniziativa produttiva; a giovani e disoccupati, ad anziani il cui potere d’acquisto viene quotidianamente eroso e minacciato; come coniugare sviluppo, ripresa, rigore fiscale, risanamento; dovrà spiegare perché a livello amministrativo spesso i leghisti si rivelano più abili, accorti, capaci degli amministratori del PD; perché nel centro e nel Sud si fatica a distinguerli dagli amministratori di altri partiti, omologati nell’insipienza e spesso nel malaffare, nel tramestio delle tessere e degli appalti; dovrà sudare sangue, Bersani, per recuperare posizioni e postazioni perdute: le elezioni amministrative sono vicine; probabilmente il Lazio lo si può dare per perduto; e così la Campania, la Calabria, la Puglia… Tutto può essere, però al momento appare inevitabile il trionfo del centro-destra, e non sarà il centro-destra liberale che si stringe attorno a Gianfranco Fini quello che si affermerà; piuttosto, sarà l’altro, becero, vorace, rapace, intollerante.
Bersani parla di alternativa all’attuale sistema di potere. Come? Con chi? Su quale base e programma? Si vorrebbe essere smentiti, ma a quel che è dato capire, si offre la logora e perdente formula dell’unità delle forze anti-berlusconiane: un qualcosa che dovrebbe andare dall’UdC di Pierferdinando Casini, ai brandelli di quel che resta di Sinistra e Libertà, passando per l’Italia dei Valori. A chi un tempo – e con assai più spessore e autorevolezza – offriva l’unità delle sinistre laiche, i radicali opponevano l’unità laica delle sinistre; e non era un giochetto semantico. Erano due visioni, due politiche, due proposte politiche opposte; dopo anni siamo, tutto sommato, ancora qui.
Bersani una volta ha riconosciuto che i radicali non sono una forza biodegradabile. Intendeva dire, riconoscendo questa indubbia dote, che con i radicali non c’è e non ci deve essere possibilità di dialogo e di confronto? Perché è questo, finora, quello che è accaduto, e sta accadendo. Appestati ieri, appestati oggi. Le esperienze anche recenti, nulla hanno dimostrato e insegnato? I voti portati con il Pugno e la Rosa che hanno consentito a Prodi di vincere, e quelli strappati alla destra e in settori al PD inaccessibili, come certificano le ultime elezioni europee, sono la prova che un dialogo, un’alleanza, un’intesa con i radicali, frutta e al PD conviene. Il comportamento, esemplarmente leale dei deputati e dei senatori radicali dovrebbe costituire ulteriore elemento di riflessione.
Qui ci sono i radicali, e qui il pragmatico e concreto Bersani dovrà saltare.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 27 ottobre 2009)