In Italia, sembra d’essere tornati all’Ottocento, a quando politici o potentati assoldavano scribacchini affinché riempissero le gazzette di accuse (non provate) da rovesciare addosso agli avversari o a quanti tentassero d’intralciare piani non proprio limpidi.
I lettori – che a quel tempo erano i notabili, frequentatori di circoli riservati – commentavano e parteggiavano. Il popolo viveva ai margini, ignaro o al corrente per sentito dire.
Non c’era informazione o, se c’era, era di parte, manipolata. La verità moriva, ogni giorno, neanche fanciulla.
Sovente certe “campagne” finivano in duelli cruenti.
Erano tempi grami. Li stessi che ci pare di vivere in questi giorni, con disagio crescente perché non si vede una via d’uscita. Anzi, par di capire che stiamo andando verso il peggio. Nonostante qualcuno sostenga che vadano abbassati i toni.
Più che abbassare i toni, a dire il vero, dovremmo riappropriarci del senso della democrazia.
Va detto – e questa è l’altra faccia della medaglia – che siamo arrivati a tanto perché viviamo un’anomalia: quella di un premier che ha in mano tutto e pretenderebbe di fare il manovratore senza essere disturbato. Guai a interferire, guai a provare a rivolgergli domande (legittime). Minimo ti becchi una querela. Si fa forte del fatto che l’opposizione è in altre faccende affaccendata e la sinistra deve essere da qualche parte ad agonizzare, ciononostante convinta d’essere sempre utile. Chi sta tentando d’arginare lo smargiasso è la Chiesa. Ma il suo comportamento è ondivago.
Ci vorrebbe uno scatto, un’alzata di testa capace di riportarci a reagire con decisione, in una sorta – almeno - di resistenza culturale: madre di cento, mille, diecimila, centomila, un milione luoghi di controinformazione.
Riccardo Cardellicchio