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Il buon nome e la faccia dei radicali della Rosa
14 Aprile 2006
 

All'articolo di ieri di Christian Rocca sul «fallimento» elettorale, «clamoroso e ampiamente meritato», della Rosa nel Pugno risponde con un serrato e puntuale intervento Daniele Capezzone: «Si continua a parlare di Silvio Berlusconi in modo a mio avviso astratto, come se "Berlusconi" fosse un'entità virtuale, un "luogo" non visitato e non visitabile, o, ancora di più, uno "spazio" a cui consegnare le proprie speranze».

Si potrebbe a questo punto obiettare che «l'attuale centrosinistra è ben lontano da un livello adeguato di volontà e - soprattutto - di capacità riformatrici e liberali». Vero, ma qui giungiamo al vero nodo. Il problema di certi commenti astiosi nei confronti dei radicali, quasi gongolanti per l'insuccesso della Rosa nel Pugno, è che scaturiscono da un retropensiero che andrebbe discusso. L'incontro con lo Sdi, e il conseguente apparentarsi con il centrosinistra, sarebbe stato un «errore». Chiariamoci allora: si rimprovera ai radicali l'insuccesso elettorale o un «errore» strategico? Sono due critiche diverse e spesso si cerca di far passare la seconda attraverso la prima.

Parlare di «errore» implica che tra diverse opzioni politiche, almeno due, tutte più o meno praticabili, i radicali abbiano scelto quella dalle minori prospettive. In questo caso si sottintendono tre opzioni: allearsi con il centrodestra; entrare nell'Unione, ma senza la coppia di fatto con lo Sdi; andare alle elezioni da soli. Chi volesse sostenere che la strada intrapresa si sia rivelata sbagliata, dovrebbe dimostrare la praticabilità di una alternativa, o sostenere addirittura che fosse preferibile l'inazione.

Nel centrodestra ogni spazio per i radicali era chiuso, ormai l'ha ammesso anche Berlusconi che, stando a quanto riportato dalle cronache, ha confessato il suo rammarico per aver sbagliato a non dedicarsi con più attenzione all'alleanza con i radicali, che ha riconosciuto essere determinanti. «Sapete – si è giustificato che avevo contro l'Udc», e ha aggiunto che da «una serie di ambasciate d'Oltretevere si arguiva che da quelle parti un'alleanza del genere non sarebbe stata gradita». E se non è ingerenza questa! I radicali da soli sarebbero stati difficilmente accolti nell'Unione, come dimostra il veto alle regionali dell'anno scorso, e comunque ancor più ostracizzati. Di andar da soli neanche a parlarne (2001 docet).

Allora dai Rocca e dai Diaconale mi sarei aspettato editoriali post-elettorali che, pur continuando a elencare i motivi di compatibilità dei radicali con il centrodestra, molti condivisibili, puntassero l'indice nei confronti di Berlusconi e della miopia degli alleati, che hanno fatto di tutto - attraverso scelte politiche e candidature - per espungere non solo Pannella & Bonino, ma qualunque forza liberale e libertaria dalla coalizione.

Sento già balenare nell'aria l'obiezione. “È naturale, se non ci fosse stata la deriva 'laicista' dei radicali e se Pannella non avesse optato per una linea libertaria che esaltava i contrasti con il centrodestra...” Ma ammesso e non concesso che nella destra italiana non abbia cittadinanza un partito laico e libertario, non scordiamoci che da quando Berlusconi è sceso in campo, per tutti questi dodici anni, i radicali erano lì, con la loro «piattaforma elettorale liberale e liberista», pronti al dialogo, a fare tratti di strada insieme. Ricordiamo i referendum sull'articolo 18 e la separazione delle carriere, definiti «comunisti» da Berlusconi; il dialogo che vi fu per le regionali del 2000, un anno prima dalle politiche; i "contratti" con il governo che Pannella proponeva di stipulare su singole iniziative; e ancora, un anno fa, l'iniziativa dell'ospitalità, l'ultima occasione non colta. C'è sempre qualcosa o qualcuno che convince Berlusconi che l'accordo "non conviene".

Nel frattempo, andrebbe ricordato che i liberali della CdL si sono guardati bene dallo spendere la loro autorevolezza per aprire uno spazio ai radicali, per convincere Berlusconi. Come pure andrebbe registrato che alcuni radicali la strada della CdL l'hanno tentata anche in queste elezioni, andando incontro a un fallimento sul quale non vedo altrettante attente analisi. I radicali "veri", così li ha chiamati Berlusconi, anche a volerli votare era persino impossibile trovarli, perché neanche quelli Berlusconi ha avuto la grazia di "ospitare". Così, i radicali che come Rocca non ce l'hanno fatta a votare le liste della Rosa chi hanno eletto al posto di Pannella? L'operazione che Berlusconi ha compiuto con il movimento di Della Vedova è sotto gli occhi di tutti e l'avrebbe tentata anche con Pannella & Bonino: offrire qualche seggio, ma inglobare l'elettorato radicale in Forza Italia.

Ci troviamo d'accordo con Filippo Facci dunque, quando scrive che «quei commentatori che ora si compiacciono di un voto radicale giudicato comunque inferiore alle aspettative (forse le loro) personalmente mi paiono stucchevoli, e fanno il paio con chi ha fatto di tutto per mortificare ogni pulsione libertaria che pure nel centrodestra c'è, e continuerà a esserci. La sostanza è che a sinistra hanno Emma Bonino e noi Bruno Tabacci».

Riguardo la laicità, cadono in contraddizione Della Vedova & Co., che non riescono a vedere nel Vaticano, al pari dei sindacati, una corporazione che vive di privilegi, invece che una lobby legittima in un contesto liberale, come dovrebbe essere.

Ebbene, è comprensibile che il simpatizzante radicale visceralmente allergico a Prodi e alla sinistra non ce l'abbia fatta a sostenerne, seppure indirettamente, la vittoria. Rispetto a questi voti mancati Christian Rocca espone molte buone ragioni che sicuramente hanno determinato una parziale erosione di elettorato radicale degli ultimi 10-15 anni. È stato sottovalutato l'impatto dello slogan statalista sulla scuola pubblica concesso allo Sdi ed erano fuori luogo i toni scontatamente anti-berlusconiani che a volte si sono sommati ai tanti cori già esistenti e, come si sa, controproducenti, senza aggiungere nulla in chiave "radicale".

Tuttavia, il politico ha il dovere di ragionare in altri termini: da una parte di percorrere le strade praticabili nelle condizioni date, dall'altra di fare tutto il possibile per convincere l'elettore delle ragioni della sua scelta. Fallire nel primo compito vuol dire commettere un «errore» strategico; fallire il secondo spiega un insuccesso elettorale. Ammettendo pure che si assolvano al meglio questi due compiti, rimangono variabili imponderabili.

Il risultato della Rosa è nettamente deludente, perché la percentuale del 2,5 per cento è inferiore alla somma degli zoccoli duri radicale e socialista, ma non credo che sia composto da voti socialisti. Se soprattutto al Nord i radicali hanno perso i voti dei loro simpatizzanti più liberisti, anche i socialisti al Sud hanno disatteso le aspettative. Le indubbie doti da vero combattente di Berlusconi e la totale incapacità di Prodi nelle ultime fasi della campagna, giocate proprio sui temi sensibili a molti radicali, non hanno sicuramente giovato.

Tuttavia, non si può disconoscere il risultato positivo del ritorno dei radicali in Parlamento con un numero di seggi cui da tempo non erano abituati. Di una necessità "disperata", grazie alla loro abilità politica, hanno fatto virtù e speranza concreta, di nuovo sfuggendo alle maglie della partitocrazia. Alla Rosa nel Pugno si possono fare mille contestazioni, ma occorre riconoscergli di aver saputo, in questi mesi, aprire nel centrosinistra contraddizioni laiche e liberali - sia nei confronti del compromessino storico Ds-Margherita, sia della sinistra comunista - che nessuna forza liberale ha saputo aprire nel centrodestra. Ora la sfida è se sapranno tenere aperti questi fronti anche con la loro attività parlamentare. Qui si giocano il nome e la faccia. Vogliamo scommettere?


Federico Punzi
(da Notizie radicali, 14/04/2006)

 
 
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