Quello che è accaduto a Salerno è emblematico di come nell'Italia delle troppe leggi esistano vuoti normativi che si trascinano da anni nell'indifferenza consapevole del legislatore.
Un bimbo nasce nel 1990 e prende il cognome della madre. Nel 1994 il padre naturale lo riconosce e nel 1997, su istanza di questo padre, il ragazzo cambia cognome assumendo solo quello paterno. Nel 2000 la corte d'Appello di Salerno conferma. Nel 2001 la Cassazione riapre il caso e stabilisce che il cognome debba essere quello materno e nel 2002, dopo l'adeguamento della corte d'Appello di Salerno il ragazzo tornò a chiamarsi col cognome della madre. Ma nel 2004 la cassazione torna indietro e la corte d'Appello di Napoli nel 2007 stabilì che il ragazzo doveva portare il cognome materno seguito da quello paterno. Il ragazzo intanto aveva 17 anni. Il ragazzo, che voleva solo il cognome materno fece ricorso in Cassazione che, con la sentenza n. 12147, ha respinto la richiesta: se vuole cambiare cognome si deve rivolgere agli uffici dello stato civile come prevede il decreto parlamentare 396 del 2000.
La famiglia patriarcale e il modello maschilista passano anche dalla negazione del doppio cognome e dalla pari dignità del cognome materno rispetto a quello paterno. Sembra difficile da intaccare e altra spiegazione non è possibile sul perché i figli non possano chiamarsi anche o solo con il cognome della madre.
Si può arrivare così alla degenerazione giudiziaria del nostro caso, per cui un padre che riconosce un figlio naturale dopo alcuni anni può spazzare via il cognome della madre, perfino contro la volontà del ragazzo ormai diciassettenne cui i tribunali hanno negato la possibilità di mantenere solo il cognome della madre.
Una mio disegno di legge giace nei cassetti del Senato, dopo una quasi approvazione alla Camera nella scorsa legislatura. Di fronte a questa mostruosità credo sia proprio il caso di ritirarlo in gioco.
Donatella Poretti