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Piero Cappelli: D’Alema e Veltroni battuti a Firenze. È l’inizio di una nuova politica?
Matteo Renzi
Matteo Renzi 
28 Febbraio 2009
 

È successo ed è una vittoria. Oggi come oggi, forse di Pirro, ma è una vittoria è l’inizio della fine della partitocrazia a sinistra. L’inizio della fine della nomenklatura gerontocraticamente politica che alberga ancora a sinistra e che le facce e le persone di D’Alema e Veltroni non possono esserne che l’emblema più alto e più rappresentativo partiticamente parlando. Due personaggi, agli antipodi, della sinistra italiana post-comunista: l’uno di una freddezza moscovita, l’altro filoamericaneggiante ed espressione del nulla come ebbe a dire D’Arcais molti anni fa su Micromega. Tutte e due signori della sinistra post che non ha raccolto niente se non il segno di un declino da cui si sono sempre voluti dissociare, ma dal quale oggi sembra non poterlo più fare: “muoia Sansone con tutti i filistei!”. Sì, D’Alema la pensa così. Non vuole ‘morire’ da solo. Se vince, vince lui, se perde devono perdere tutti. L’altro non ci dice niente. È il personaggio caro alle macchiette e alla satira: tutto e il contrario di tutto. L’unico atto più dignitoso l’ha fatto in questi giorni, l’ultimo da segretario nazionale del PD, offrendo le sue dimissioni al partito. Ma chi mi fa più pena sono i suoi accoliti. Gente come Tonini che hanno impersonato il rinnovamento della politica solo quando hanno voluto distruggere i Cristiano Sociali pur di diventare l’usignolo dell’imperatore.

 

E così ieri, il giovane candidato Matteo Renzi, presidente della Provincia di Firenze, ha battuto i suoi rivali come Pistelli (Veltroni) e Ventura (D’Alema), sorretti dalla nomenklatura di partito. Ma il bello è che tutto questo è successo a Firenze, il cuore dell’ultimo baluardo post-comunista d’Italia, la Toscana. Forse, anche solo per questo e non per la perdita di Soru in Sardegna, è stata la miccia che ha fatto esplodere il Walter. Non solo. Anche a Prato nelle primarie ha prevalso un personaggio fuori dagli schemi, un bancario cinquantenne, dell’area cattolico-critica. E se succede tutto questo con dei candidati non solo provenienti dall’ex Margherita la dice lunga. Matteo Renzi è risultata una persona molto autonoma ed indipendente, vicino a Rutelli e che qualcuno chiama addirittura ‘il piccolo Berlusconi del centro sinistra’ proprio per quanto avrebbe investito economicamente in campagna elettorale. Ciò vuol dire che il baco è entrato veramente nella ‘mela rossiccia’ che è la Toscana… Guarda caso, la maggior parte dei voti gli è giunta proprio dalle roccaforti dei circoli ex-comunisti. Forse, anche lì, si è rinnovato il parco dei militanti e non stanno più ad ascoltare gente come D’Alema, che tra l’altro sembra abbia ammonito in campagna elettorale per le primarie – senza nominare Renzi e come riportato da l’Unità – ‘certi trentenni’ presuntuosi, riferendosi chiaramente al Presidente della Provincia di Firenze. Come se – sempre nella sua logica di padrino della politica sinistroide italiana – dovesse passare da lui l’autorizzazione per candidarsi. Che pena! E più pena la fanno personaggi come i Filippeschi, altro dalemiano di ferro e attuale e obbediente sindaco di Pisa che ha dovuto a malincuore lasciare lo scranno di Montecitorio per fiondarsi sulla città della Torre e non perdere così il controllo locale del potere dei DS e come lo stesso D’Alema gli avrebbe ‘imposto’. Potere che continua a perpetuare il metodo neo-comunista-dalemiano anche oggi dentro il PD. Come ha fatto anche Fontanelli, attuale deputato del PD – scambiatoselo con Filippeschi - –a Pisa, dove ha fatto il sindaco per due legislature.

 

Ecco come finisce un’era: non per consapevolezza che il proprio tempo è finito e bisogna farsi da parte offrendo liberamente il proprio contributo al miglioramento del paese attraverso forme partitiche o meno. No. Gente come D’Alema, Veltroni e company hanno il criterio della necessità di se stessi, perché altrimenti, senza di loro, il mondo va a rotoli. Andate a vedere cosa ha fatto Veltroni a Roma: l’ha lasciata come l’ha trovata, in uno stato di sbando e abbandonata a se stessa e dove l’organizzazione che funziona veramente è certamente quella che non è cosa pubblica.

 

Oggi c’è il PD che è allo sbando in quest’Italietta da inizio millennio e che grazie proprio a questi D’Alema e a questi Veltroni non c’è da vederne che la fine. E se Renzi li ha battuti tutti e due è perché c’è possibilità ancora di sperare. Non per il PD, ma per l’Italia che si spera nei prossimi anni avvenire, o meglio nel prossimo decennio, possa trovare spazio e idee per ricomporre un’alternativa seria ed efficace allo strapotere conservatore e perbenista del berlusconismo. Occorre ripartire da capo. Come scrivevamo diversi mesi fa sempre su queste pagine: la cosa più importante è come costruire il successore di Veltroni perché gli uomini e donne di struttura partitica oramai hanno fatto il loro tempo e bisogna guardare oltre. O lo si fa, o altrimenti il PdL potrà essere la nuova Dc del XXI secolo.

 

Piero Cappelli


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